Keywords: Cure palliative, Hospice, Burnout, Psicoterapia psicodinamica di gruppo.
Abstract: In questo lavoro si vuole proporre un modello psicodinamico di terapia di gruppo orientato a ridurre il rischio di burnout nelle professioni sanitarie che operano nell’ambito delle cure palliative negli hospice oncologici. Attraverso il modello di Bion, viene proposto un intervento clinico che mira a favorire l’organizzazione di un gruppo di lavoro e contrastare gli assunti di base che possono minare l’efficienza dell’equipe. Il monitoraggio della qualità della vita lavorativa e del rischio di burnout degli operatori è stato effettuato attraverso due scale: LBQ e CORE-OM.
Risultati: a distanza di due anni dall’inizio del trattamento la valutazione dei membri dell’equipe ha evidenziato un ridotto rischio di burnout e un buon livello di soddisfazione connesso alla vita lavorativa.
Introduzione
Il presente lavoro vuole descrivere l’esperienza clinica di supporto psicologico effettuata per quattro anni in un contesto d’equipe multidisciplinare operante nell’ambito di un hospice oncologico territoriale del Lazio.
In merito alle linee guida del Ministero della Salute (2010), è obbligatorio garantire, da parte di un’azienda sanitaria, il supporto psicologico a chi opera nel campo delle cure palliative e rimane quotidianamente in contatto col tema della morte e della perdita. Il lavoro nell’hospice implica, per gli operatori coinvolti, un costante confronto con l’esperienza della malattia, con la sofferenza e le angosce connesse al lutto. Questo tipo di confronto avviene con un significativo coinvolgimento umano, esistenziale, spirituale, personale e professionale di tutti gli operatori della salute. L’impegno relazionale che ne scaturisce risulta essere intenso e carico di vissuti emozionali che interessano sia la relazione col paziente che le dinamiche d’interazione tra i membri dell’equipe. Questo contesto può essere caratterizzato da una serie di fattori di rischio che possono portare gli operatori a vivere esperienze di stress, ansia e rischio di burnout.
Hospice e cure palliative
Le cure palliative sono l’insieme di cure fisiche e psicologiche finalizzate ad alleviare la sofferenza derivante da una malattia.
Le cure palliative affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale, non accelerano né ritardano la morte, favoriscono il sollievo dal dolore o da altri sintomi, integrano gli elementi psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza, garantendo il supporto alla famiglia durante la malattia e il lutto. Le cure palliative sono volte a migliorare il benessere e la dignità della persona.
La terapia del dolore è l’insieme degli interventi diagnostici e terapeutici rivolti alle forme morbose croniche, in cui vengono proposte adeguate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, per la soppressione e il controllo del dolore.
Nel 2010 è stata emanata la Legge 15 marzo 2010, n. 38 concernente “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010). Si tratta di una legge che garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell’ambito dei Livelli Essenziali di Assistenza – LEA.
Le cure palliative in hospice sono rivolte a persone affette da una patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie, oppure sono inadeguate o inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia e di un significativo prolungamento della vita. Sono costituite da un sistema integrato di prestazioni sanitarie di tipo medico, psicologico, infermieristico e riabilitativo. Inoltre sono proposti interventi sociali, tutelari e alberghieri, di sostegno spirituale, a favore della persona malata.
Le cure palliative domiciliari, nell’ambito della rete di assistenza ai malati terminali, sono costituite dal medesimo complesso di prestazioni sanitarie e sociali. Parliamo d’interventi che forniscono la continuità assistenziale, sono programmati e articolati sui sette giorni, garantiscono la disponibilità medica sulle 24 ore, anche per la necessità di fornire supporto alla famiglia e/o al caregiver.
La descrizione di come è organizzata la continuità assistenziale nell’ambito di un hospice oncologico territoriale ci configura più chiaramente il livello d’impegno fisico e psicologico che gli operatori sanitari debbono sostenere quotidianamente.
Riferimenti teorici
Il modello teorico di riferimento principalmente utilizzato in questo intervento clinico si riferisce al lavoro effettuato da Bion coi gruppi terapeutici (1961).
Secondo Bion il gruppo è caratterizzato da una vita mentale. Nella mentalità di gruppo confluiscono gli apporti, gli impulsi e i desideri dei membri. Questi contenuti individuali divengono uniformi in un modo di pensare che appartiene al gruppo. Pertanto la mentalità di gruppo non corrisponde agli obiettivi consci e razionali dei partecipanti, ma si caratterizza per bisogni inconsci che possono contrastare gli obiettivi razionali del gruppo.
Gli aspetti consci del gruppo posso essere considerati il fondamento del “gruppo di lavoro”, ossia l’organizzazione razionale del gruppo, volta alla realizzazione di obiettivi condivisi, come potrebbe essere la risoluzione di problemi. Scrive Bion: «La cooperazione è volontaria e si basa su un certo grado di abilità intellettuale del singolo. La partecipazione a una attività dì questo tipo è possibile solo a persone con anni di esercizio e che si siano sviluppate intellettualmente per la loro disponibilità ad apprendere dall’esperienza».
«L’organizzazione e la struttura sono strumenti del gruppo di lavoro. Sono il prodotto della cooperazione tra i membri del gruppo e, una volta consolidate nel gruppo, hanno l’effetto di esigere uno sforzo di cooperazione ancora maggiore da parte dei singoli» (Bion 1961).
L’insieme di bisogni, impulsi e tendenze inconsce che può manifestarsi nel gruppo, ed essere parallelo al gruppo di lavoro, viene definito “assunti di base”. Sono comportamenti che hanno la funzione ridurre le sensazioni spiacevoli derivanti dal dover affrontare la realtà. La gestione della realtà attraverso il gruppo di lavoro è dolorosa, gli assunti di base creano un senso di sicurezza attraverso il soddisfacimento di bisogni primitivi, riducendo la frustrazione. In tal modo si strutturerebbe una mentalità di gruppo in cui si immagina che i problemi vengono risolti in modo magico.
Nei gruppi, pertanto coesistono aspetti del gruppo di lavoro, più efficiente e razionale, e il gruppo fondato sugli assunti di base, più regressivo e irrazionale. Pertanto il gruppo può sperimentare due stati mentali: uno cosciente e razionale, l’altro incosciente e pulsionale.
Gli assunti di base sono fantasie inconsce di tipo magico-onnipotente, che come abbiamo detto, sono orientate a non far provare al gruppo la frustrazione legata all’apprendimento dall’esperienza, che di per sé è sempre uno sforzo doloroso.
Gli assunti di base sono tre: accoppiamento, dipendenza e attacco/fuga.
L’assunto di base dell’accoppiamento è caratterizzato dalla speranza che una coppia riesca a garantire la sopravvivenza del gruppo. Una figura salvifica, di tipo messianico, viene immaginata come colei che risolverà tutti i problemi del gruppo. Emerge una costante attesa da parte del gruppo che arriverà un Messia a salvare tutti. L’immagine messianica non deve essere certamente una persona, può anche essere un’idea o una situazione a cui aggrapparsi, che proteggerà dai sentimenti di odio e distruzione.
Nell’assunto di base della dipendenza il gruppo si lega ad un capo che lo protegga, un oggetto esterno con la funzione di dare sicurezza, nutrimento e supporto ad un organismo fragile ed immaturo.
Nell’assunto di base definito attacco-fuga, il gruppo si organizza come se dovesse fuggire o attaccare qualcuno o qualcosa, ci si coalizza contro un’entità esterna, la salvezza viene ricercata nell’evitare il problema. Il leader di questo gruppo è colui che meglio sa organizzare un piano di attacco o di difesa verso questa entità esterna.
L’oscillazione tra i due stati mentali, quello razionale e quello irrazionale, è definita “cultura di gruppo”, s’intende la prevalente struttura organizzativa del gruppo.
Scrive Bion: «Gli stati emotivi associati agli assunti dì base possono esser descritti con i termini correnti di ansia, paura, odio, amore e simili. Ma gli stati emotivi comuni a ciascun assunto di base sono impercettibilmente influenzati gli uni dagli altri, come se si trovassero in una combinazione particolare per l’assunto di base attivo. In pratica cioè l’ansia che compare nel gruppo di dipendenza ha una qualità diversa da quella che compare nel gruppo di accoppiamento, e così via per gli altri sentimenti…» (Bion 1961).
Alla luce di queste osservazioni teoriche possiamo immaginare come la sofferenza che caratterizza il lavoro in un contesto di cure palliative in ambito oncologico possa generare reazioni di difesa dal dolore negli operatori sanitari, e come il gruppo possa facilmente oscillare da una cultura di gruppo più razionale ed orientata ad apprendere dall’esperienza a una cultura che funziona in maniera primitiva e che evita il dolore attraverso la soddisfazione di bisogni irrazionali.
Obiettivi
L’intervento clinico proposto puntava a individuare e contenere tutti i fattori psico-emozionali e relazioni che possono essere all’origine di vissuti stressanti, ansiogeni e depressivi all’interno dell’equipe. Allo stesso tempo era orientato a far sviluppare ai membri del gruppo di lavoro una serie di competenze e a rinforzare quelle già esistenti per poter gestire in autonomia tali vissuti stressanti.
Strumenti
Con cadenza annuale i membri dell’equipe venivano valutati rispetto al rischio di burnout e al benessere e qualità della vita lavorativa attraverso due scale di valutazione.
– Link Burnout Questionnaire (LBQ), uno strumento per la valutazione del burnout nelle professioni di aiuto. Si tratta di un questionario self-report costituito da quattro scale ognuna definita da tre item con polarità positiva e tre item con polarità negativa. Le quattro scale sono: Esaurimento psicofisico (EP), Deterioramento della relazione (DR), Inefficienza professionale (IP), Disillusione (DIS).
– Clinical Outcomes in Routine Evaluation – Outcome Mesure (CORE-OM), uno strumento utilizzato per valutare gli esiti dei trattamenti clinici, esaminando i cambiamenti “core domains of problems”. È un questionario self-report, costituito da 34 item cui il soggetto risponde con una scala a 5 punti. Vengono valutati quattro domini: Benessere, Sintomi/Problemi, Funzionamento e Rischio auto-eterolesivo.
Gruppo
I partecipanti al gruppo erano tutti gli operatori impiegati con varie funzioni nell’hospice, sia a livello residenziale che per gli interventi domiciliari. L’equipe si componeva di 32 operatori, medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri, fisioterapisti, operatori socio sanitari e personale amministrativo.
Metodo
Il gruppo terapeutico è stato pensato come uno spazio aperto, che poteva essere fruito da tutti i membri dell’equipe. La durata del percorso clinico è stata di quattro anni. Gli incontri con il gruppo dei curanti erano organizzati su più livelli d’intervento, al fine di mantenere un setting di gruppo che si riuniva con frequenza settimanale.
- Gruppo di discussione del caso clinico. Lo “staff support case” era organizzato con cadenza bisettimanale ed era aperto a tutti i membri dell’equipe. Lo scopo di questo gruppo era quello di discutere un caso clinico che l’equipe stava gestendo in reparto o in assistenza domiciliare e valutare, attraverso la descrizione fatta dagli operatori, se erano presenti elementi su base emozionale che rendevano il lavoro difficoltoso o esponevano a fattori di stress (Balint, 1957).
- Sottogruppi di categoria. Si trattava di un intervento mirato ai sottogruppi che caratterizzavano l’equipe. Nello specifico erano stati individuati i seguenti sottogruppi:
- Responsabili dei vari ambiti d’intervento clinico (Primario, Caposala e Psicologa);
- Medici;
- Infermieri;
- Operatori socio-sanitari;
Il gruppo era tenuto con cadenza bi-settimanale, pertanto l’impegno di ogni sottogruppo, in questo ambito, era di un incontro ogni due mesi. L’obiettivo era quello di discutere e approfondire eventuali dinamiche emozionali difficoltose e stressanti che potevano interessare in maniera specifica una categoria di professionisti che operava nell’hospice.
- Colloqui clinici individuali. Finalizzati al sostegno individuale dell’operatore e alla valutazione del rischio di burnout, si basavano sul confronto libero e tematico. Erano effettuati a rotazione con tutti gli operatori con una frequenza di un mese-un mese e mezzo.
- Seminari psico-educativi. Venivano proposti seminari di discussione sui temi della psico-oncologia e della comunicazione col paziente oncologico e la sua famiglia, su come gestire le situazioni complesse e dare le informazioni a pazienti e familiari in maniera adeguata.
Interventi terapeutici
L’obiettivo principale del lavoro terapeutico è stato favorire l’insight rispetto al riconoscimento di come il gruppo funzionava, al fine di evidenziare gli elementi disadattivi di una cultura di gruppo basata su assunti di base e favorire la manifestazione del gruppo di lavoro. Gli interventi terapeutici nel gruppo sono stati organizzati sia su un versante supportivo che espressivo (Gabbard, 1990).
Una serie di tecniche della psicoterapia psicodinamica sono state utili per favorire questo processo, vediamole insieme.
-Interventi psicoeducazionali: si riferivano alla lettura e conoscenza delle emozioni nell’ambito della relazione di cura, inoltre sono stati forniti elementi di psico-oncologia applicata all’hospice, al tema del fine vita e alle cure palliative.
-Consigli ed elogi: questo tipo d’intervento, nell’ambito del gruppo, raramente venire espresso dal terapeuta, molto più frequentemente i consigli e gli elogi erano una modalità di auto-aiuto che gli operatori mettevano in campo fra loro, rispetto ad eventi e situazioni difficili.
-Osservazione: è stato il fondamento del lavoro terapeutico, in quanto l’analisi dei comportamenti dei membri del gruppo durante il lavoro, che veniva raccontata nella seduta di gruppo, forniva importanti elementi che permettevano la comprensione della dinamica di gruppo prevalente.
–Validazione empatica: anche questo tipo d’intervento era spesso effettuato non solo dal terapeuta, ma anche da altri membri del gruppo, quando si trattava di definire e valorizzare una dimensione emozionale espressa da un membro del gruppo vero l’utenza, i familiari o i colleghi. Forniva importanti informazioni sul livello di funzionamento del gruppo.
-Chiarificazione: spesso è stata la modalità per chiarire e comprendere più adeguatamente cosa stava succedendo e come si definivano le dinamiche di gruppo.
Incoraggiamento a elaborare: si invitavano i membri del gruppo a focalizzarsi su un particolare flusso associativo per definire insieme i significati che lo caratterizzavano.
-Confrontazione: intesa come portare il gruppo ad osservare temi emozionali che di solito evitava, come i conflitti tra operatori, i non detti o elementi di tensione su base relazionale.
-Interpretazione: in alcune occasione è stata la forma più efficace d’intervento, volta a svelare le dinamiche inconsce che si potevano definire dietro i comportamenti dei membri del gruppo.
Risultati
La somministrazione degli strumenti a distanza di uno e due anni di trattamento psicoterapico evidenzia un miglioramento globale del benessere autopercepito e una riduzione dello stress connesso all’attività lavorativa.
Tabella 1. – LBQ
–LBQ. La valutazione dei punteggi medi delle scale evidenzia alla prima somministrazione una criticità rispetto a due variabili: Esaurimento Psicofisico (EP) e la scala Deterioramento delle Relazioni (DR). Nella seconda e terza somministrazione, a uno e due anni di trattamento, è possibile vedere un abbassamento di questi valori, indicatore di un guadagnato benessere generale rispetto all’attività lavorativa.
Tabella 2 – CORE-OM
– CORE-OM. La valutazione dei punteggi medi delle scale evidenzia alla prima somministrazione un livello di funzionamento, sintomi, benessere e rischio auto-eterolesivo che non ha una rilevanza clinica. E’possibile comunque osservare, attraverso la scala “Benessere” come, a uno e due anni di trattamento, i soggetti abbiano la percezione di un miglioramento della propria qualità di vita nel contesto lavorativo.
Conclusioni
L’intervento clinico proposto vuole esprimere l’esigenza di strutturare interventi di supporto al personale che opera in campo delle cure palliative e nello specifico degli hospice territoriali. Si tratta di un tipo di lavoro che espone al rischio di un lento deterioramento psicologico che può sfociare in manifestazioni di sintomi psicopatologici più o meno gravi e nel rischio di sviluppare la sindrome da burnout.
L’intervento clinico proposto può essere pensato come una modalità preventiva, orientata ed evitare che si manifestino questi elementi di sofferenza nell’equipe.
Il setting deve essere necessariamente concepito come un modello multiplo, dove in alcuni momenti si vede tutta l’equipe riunita, in altri, in base alle criticità del momento, si convocano i sottogruppi che costituiscono l’equipe. Uno spazio va anche pensato per fornire elementi di psicoeducazione sulle emozioni e sul tema della malattia oncologica. I colloqui individuali garantiscono al singolo operatore uno spazio di ascolto, in cui poter approfondire il proprio rapporto personale con il tema della malattia, del lutto e della morte, al fine di costruire una propria storia personale ed avvicinarsi a comprendere le motivazioni inconsce alla base della scelta di quel tipo di lavoro.
Questi elementi, se gestiti adeguatamente, riducono il rischio che il gruppo funzioni con una cultura di gruppo primitiva, in cui la sofferenza viene allontanata attraverso agiti aggressivi, di accoppiamento e/o dipendenza immatura. Il funzionamento del gruppo su base di cultura di assunti di base rischia di esporre l’utenza e i familiari a carenze assistenziali date dai crescenti livelli di stress.
Il senso di questo impianto terapeutico di supporto psicologico al personale è quello di garantire al meglio il funzionamento dell’equipe come un gruppo di lavoro, orientato ad un obiettivo razionale, che in questo caso è l’assistenza a pazienti oncologici.
Si vuole proporre questo approccio proprio perché oggi le sfide che caratterizzano il Sistema Sanitario Nazionale sono sempre più crescenti a causa della diffusione di tutta una serie di manifestazioni cliniche e patologie che richiedono un grande impegno in termini di infrastrutture, personale, risorse economiche e, non ultime, risorse emozionali.
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