Key Words: Misure alternative alla detenzione – Recidiva – Affidamento in prova al Servizio Sociale – Ordinamento Penitenziario – Risocializzazione.
Abstract: Il presente articolo si propone di esplorare l’efficacia delle misure alternative alla detenzione, con particolare attenzione al fenomeno della recidiva e alla sua interpretazione come mancata socializzazione. L’analisi si concentra principalmente sull’Affidamento in prova al Servizio Sociale, considerato una delle misure meno restrittive dell’Ordinamento Penitenziario, destinato a soggetti condannati in esecuzione di pena. L’obiettivo è comprendere la correlazione tra l’efficacia di questo specifico intervento rieducativo e la riduzione della recidiva. L’articolo si focalizza anche sugli effetti dell’affidamento sui beneficiari e sull’ulteriore miglioramento dell’intervento del servizio sociale nel promuovere una condotta di vita distante dal comportamento criminale.
Introduzione
A partire dagli anni ’70, l’ordinamento penale italiano ha subito un’evoluzione significativa nella concezione e nell’applicazione delle pene, mirando non solo alla punizione, ma anche alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. Questo cambiamento ha trovato espressione nella legge del 1975, n. 354, che ha introdotto mutamenti istituzionali, politici e culturali nel sistema penitenziario italiano. La legge, sebbene modificata nel corso degli anni, ha rappresentato un rinnovamento radicale nell’esecuzione penitenziaria e nel trattamento della persona condannata, introducendo misure alternative alla pena principale.
La legge del 1975, n. 354, si articola in due titoli: il primo tratta il trattamento penitenziario, il regime, i principi direttivi e le condizioni generali, oltre alle misure alternative alla detenzione; il secondo disciplina l’organizzazione penitenziaria, il ruolo degli istituti penitenziari e del magistrato di sorveglianza, il procedimento di sorveglianza e l’esecuzione penale esterna.
La centralità della persona nel sistema carcerario è sottolineata, richiedendo che il trattamento sia conforme al concetto di umanità e assicuri il rispetto della dignità individuale. L’obiettivo è l’introduzione di un trattamento rieducativo che favorisca il reinserimento sociale attraverso il contatto con l’ambiente esterno.
La legge riconosce l’importanza dell’individualizzazione del trattamento, enfatizzando la necessità di un’osservazione scientifica della personalità del detenuto per adattare il programma rieducativo alle sue specifiche esigenze. Questa osservazione è affidata a un’équipe di trattamento composta da professionisti con competenze specifiche.
Le modifiche successive, come la legge del 1986, n. 663, e la legge del 1998, n. 165, hanno ampliato le misure alternative alla detenzione, introducendo benefici come detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale e semilibertà. L’approccio si è ulteriormente evoluto con il D.P.R. 230/2000, che ha introdotto nuove disposizioni sull’ordinamento penitenziario, focalizzandosi sulla sensibilità del detenuto.
Il cambiamento più recente è rappresentato dal D.P.C.M. n. 84 del 2015, che ha separato gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, riflettendo un’idea di pena da scontare nella comunità e con la comunità, in linea con l’approccio europeista.
L’introduzione delle misure alternative alla detenzione emerge come uno degli aspetti più significativi della Legge 354/75, delineando un panorama di opzioni al Capo VI del Titolo I. Quando la pena detentiva non supera i quattro anni, la possibilità di affidamento al servizio sociale (U.E.P.E.) si configura come un’innovazione chiave, collocando il condannato sotto una serie di prescrizioni finalizzate al suo reinserimento sociale. Questa modalità, integrata dal controllo del servizio sociale e dalla periodica relazione al magistrato di sorveglianza, enfatizza il ruolo attivo del condannato nel processo di rieducazione.
Il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 309/90 sostituisce l’art. 47 bis della Legge 354/75, introducendo l’Affidamento in prova in casi particolari, rivolto a tossicodipendenti o alcool dipendenti. Questa misura, definita “terapeutica”, mira a evitare la detenzione e a fornire un trattamento terapeutico mirato a superare la dipendenza. Si evidenzia la transizione da una risposta detentiva a un approccio terapeutico, sottolineando la natura preventiva speciale della pena.
La detenzione domiciliare[3] emerge come un’alternativa quando la pena non supera i tre anni. Questa forma di esecuzione consente al condannato di scontare la pena nella propria abitazione o in luoghi di cura, con autorizzazioni per uscite concordate col Giudice di Sorveglianza. Le categorie di persone idonee a questa misura riflettono un approccio incentrato sulle esigenze specifiche, come salute, età, e situazioni familiari.
Il regime di semilibertà[4], applicabile a pene fino a sei mesi, presenta una soluzione intermedia. L’ammissione si basa sui progressi nel trattamento e l’idoneità al graduale reinserimento sociale. Questo regime si distingue come una modalità speciale di esecuzione, con lo stato detentivo intervallato da contatti giornalieri con l’ambiente esterno.
Le norme sulla liberazione condizionale[5], radicate nella legge n. 1634/62, offrono un beneficio legato al comportamento del detenuto. La valutazione si basa su criteri di pentimento e comportamento durante la pena, con un focus sulle relazioni intra-carcerarie, l’interesse per le vittime, e la richiesta di perdono. Questa misura, oltre alla funzione rieducativa, può contribuire alla prevenzione speciale, stimolando il ravvedimento degli altri condannati.
In sintesi, l’evoluzione delle misure alternative nella normativa italiana riflette una transizione verso approcci più orientati alla rieducazione e al reinserimento sociale, sottolineando il ruolo attivo del condannato nel processo di cambiamento.
Il ruolo chiave del Servizio Sociale nella gestione delle Misure Alternative
L’operato degli operatori di servizio sociale negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) si caratterizza per un orientamento culturale al servizio delle persone, con un’impostazione metodologica centrata sul compito, finalizzata alla messa in rete e integrazione delle risorse esistenti. Questo approccio professionale è strettamente allineato alle finalità dell’Ordinamento Penitenziario, che ne riconosce il ruolo di coordinatore e attivatore di risorse per il conseguimento degli obiettivi istituzionali.
Come sottolineato precedentemente, l’obiettivo delle misure alternative è quello di accrescere le responsabilità dei condannati, incentivandoli a scontare la pena in un ambiente libero, dove possono instaurare rapporti positivi con la comunità. Questo approccio, in linea con la legge europea contro il sovraffollamento carcerario, mira a prevenire il contatto tra condannati per reati minori, promuovendo un ambiente meno de-socializzante rispetto al sistema carcerario. L’affidamento in prova al servizio sociale diviene, per i condannati, una modalità di espiazione della pena che implica vincoli sulla libertà e l’obbligo di mantenere contatti con i servizi sociali, operanti nel contesto di controllo e supporto umano.
Il Regolamento Penitenziario (D.P.R. 230/2000) delinea i principi che regolamentano l’intervento del servizio sociale durante il trattamento in ambiente esterno. L’azione professionale assume la forma di un processo personalizzato unificato con caratteristiche chiave: l’offerta al soggetto per sperimentare un rapporto autorità-beneficiario basato sulla riconquista della fiducia, il supporto nell’utilizzo delle risorse familiari e sociali, il controllo del comportamento del soggetto per garantire il rispetto degli obblighi fissati dalla Magistratura di Sorveglianza, e la sollecitazione a una valutazione critica dell’individuo.
L’assistente sociale, munito di un mandato conferitogli dal Tribunale di Sorveglianza, svolge svariate attività presso gli istituti penitenziari e gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna. Ciò include la partecipazione all’équipe di osservazione e trattamento, colloqui periodici con i detenuti, mediazione tra il contesto interno e quello esterno, assistenza alle famiglie dei detenuti, e collaborazione con i servizi territoriali per favorire il reinserimento sociale. Gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna vedono l’assistente sociale impegnato in indagini socio-familiari, inchieste sociali, predisposizione di programmi individualizzati di inclusione sociale, controllo dell’esecuzione dei programmi di trattamento, sostegno ai soggetti in misura alternativa, e collaborazione con servizi pubblici e privati.
L’inchiesta sociale, condotta attraverso metodi e tecniche di servizio sociale, si focalizza sulla raccolta e organizzazione di dati sulla vita del soggetto, con l’obiettivo di comprendere le dinamiche familiari e sociali. L’assistente sociale svolge un ruolo cruciale nel processo di progettazione, lettura delle criticità e individuazione di nuove risorse. Tuttavia, emergono criticità nella professione, incluse difficoltà legate a un contesto normativizzato e organizzativo, il carico di lavoro elevato e la natura forzata della relazione tra l’operatore sociale e l’utente in ambito penitenziario. La gestione del binomio aiuto-controllo richiede un’azione costante di chiarificazione del mandato professionale e del ruolo svolto, al fine di garantire la riuscita del progetto individualizzato e la responsabilizzazione del percorso di cambiamento del condannato.
Inquadrandoci nell’ampia prospettiva delineata dalla Legge 354/75 e considerando il pensiero di Beccaria sullo scopo delle pene, la crescente adozione di misure alternative alla detenzione, in particolare l’affidamento in prova al servizio sociale, pone al centro dell’attenzione la valutazione dei risultati conseguiti. Due indicatori chiave in questo contesto sono il numero e le cause di revoca delle misure e le percentuali di recidiva da parte dei soggetti ammessi.
Il tasso di recidiva in Italia, definito dall’art. 99 del Codice Penale, rappresenta una misura fondamentale. Tuttavia, questa definizione specifica che, per essere considerati recidivi, i soggetti devono commettere un delitto non colposo e aver già subito una condanna per un delitto simile. In termini di valutazione dell’efficacia delle misure alternative, la recidiva costituisce un parametro critico: l’assenza di recidiva è indicativa di successo nella riabilitazione, mentre la ricaduta nel reato suggerisce l’insufficienza dell’intervento.
Esaminando l’evoluzione dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) negli ultimi anni, emerge un quadro più completo della presa in carico dei soggetti beneficiari di misure alternative. Al fine di comprendere appieno l’efficacia di tali misure, è cruciale considerare non solo il numero di casi gestiti ma anche la qualità degli interventi. La ricorrenza di revoca delle misure può essere associata a fattori organizzativi e alla complessità del carico di lavoro nei centri di servizio sociale, rivelando la necessità di una valutazione approfondita e di interventi mirati per ottimizzare l’efficacia del sistema. La relazione tra il lavoro dell’assistente sociale e la percezione del soggetto sottoposto alla misura può influenzare significativamente l’esito dell’intervento, richiedendo un equilibrio tra urgenza e qualità delle azioni professionali.
Tabella 1 – Adulti in area penale esterna in misura alternativa alla detenzione, secondo la tipologia di misura. Anni dal 2014 al 2022. Situazione alla fine dell’anno.
Grafico 1 – Adulti in area penale esterna in misura alternativa alla detenzione, secondo la tipologia di misura e il sesso. Valori percentuali. Situazione al 31 dicembre 2022.
Grafico 2 – Adulti in area penale esterna in misura alternativa alla detenzione, secondo la tipologia di misura e la nazionalità. Valori percentuali. Situazione al 31 dicembre 2022.
Sarebbe opportuno anche valutare i dati di flusso degli esiti di tali misure alternative, per comprendere ancor di più l’efficacia delle misure alternative. I dati degli esiti sono riferiti alla data dell’elaborazione dei dati.[6]
Alla presente data, si registra quanto segue per i diversi tipi di incarichi:
Affidamento in prova al servizio sociale: il 99% degli incarichi del 2018, il 98% del 2019, il 93% del 2020, l’80% del 2021 e il 60% del 2022.
Detenzione domiciliare: il 99% degli incarichi del 2018, il 98% del 2019, il 95% del 2020, l’89% del 2021 e il 74% del 2022.
Semilibertà: il 97% degli incarichi del 2018, il 97% del 2019, il 90% del 2020, l’83% del 2021 e il 61% del 2022.
Conclusioni
In conclusione, la riforma dell’Ordinamento Penitenziario introdotta con la legge n.354 del ’75 ha segnato una svolta significativa nel contesto penitenziario, spostando l’attenzione da una concezione punitiva della pena a una centrata sul recupero, la rieducazione e il reinserimento del condannato. Questo cambiamento di prospettiva ha portato a un ampio sviluppo delle misure alternative al carcere, con impatti positivi non solo sul sistema penitenziario e giudiziale, ma anche per l’individuo autore di reato e per l’intera comunità in cui esso è inserito.
Contrariamente alla percezione comune che le pene detentive siano indicative di una maggiore sicurezza sociale, i risultati positivi ottenuti con le misure alternative sfidano tale convinzione. Il sistema delle misure alternative, in continua crescita, non solo non compromette la sicurezza dei cittadini, ma rafforzando i percorsi di inclusione, contribuisce in modo significativo a rendere più sicure le comunità.
L’implementazione dell’affidamento in prova al servizio sociale ha evidenziato i vantaggi della detenzione all’interno della comunità, ampliando la funzione rieducativa e ri-socializzante nei confronti del condannato. La riduzione della recidiva associata a queste misure sottolinea la necessità di superare un approccio esclusivamente retributivo alla pena, proponendo un paradigma in cui la condanna diventa un’opportunità di recupero anziché una mera punizione.
L’incremento dell’uso delle misure alternative richiede non solo risorse logistiche e tecniche, ma anche personale specializzato capace di interagire con i molteplici soggetti coinvolti. Coinvolgere il reo nella comunità, offrendogli l’opportunità di riparare alla violazione del patto sociale, riflette una concezione di pena riparativa che contribuisce a restaurare il legame tra individuo e collettività.
I dati positivi sulle recidive non sono solo il risultato di normative favorevoli, ma anche della presenza di istituzioni efficienti come l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.), all’interno del quale operatori qualificati e professionali contribuiscono all’efficacia di tali misure. L’U.E.P.E. emerge come un apparato funzionale, sottolineando l’importanza di risorse umane qualificate per il successo delle iniziative di riabilitazione e reinserimento sociale.
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