Lo sguardo rivolto al cielo di giovani e anziani dissipa le nubi dell’egoismo e dell’autoreferenzialità. <br> di Grassi A., Berivi S., Casamassima S., Russello C., Lucchese F., Cantiano A., Cuzzocrea G., Franquillo A.C., Guccione C., Caretti V.

Dipinto olio su tela: “Il vecchio e il bambino” di Roberto Metz http://www.robertometz.it

Lo sguardo rivolto al cielo di giovani e anziani dissipa le nubi dell’egoismo e dell’autoreferenzialità.
di Grassi A., Berivi S., Casamassima S., Russello C., Lucchese F., Cantiano A., Cuzzocrea G., Franquillo A.C., Guccione C., Caretti V.

Parole chiave: Senex – Puer – Gioco – Comunicazione intergenerazionale

Abstract:

Gli autori, preso atto dell’attuale insanabile frattura della comunicazione intergenerazionale nella società contemporanea, propongono il Gioco come unico strumento disponibile per colmare questo divario. Hanno ritrovato nella cultura analitico-psicologica di C.G. Jung i concetti operativi indispensabili per una ripresa del dialogo intergenerazionale con particolare riferimento alla polarità archetipica senex et puer, e hanno reso operativi nel Gioco questi concetti con l’obiettivo di dimostrare il valore che ciascuna generazione, anziani e giovani, hanno l’una per l’altra. I giovani aprono le finestre della mente degli anziani sul panorama del mondo contemporaneo attraverso l’acquisizione da parte  loro di un’alfabetizzazione informatica, gli anziani possono fungere per i giovani come supporto valoriale su cui radicare le proprie energie che tendono all’innovazione e alla creatività .

Il successo dell’iniziativa, finanziata dal Ministero del Lavoro, sostiene  le prospettive future di una prosecuzione sperimentale del progetto. Il Gioco, riconosciuto come una dimensione della vita psichica di tutti gli esseri umani dalle origini della vita fino alla fase finale di quest’ultima, si rivela come una base non teorica, ma biologica, di supporto alla sostanzialità operativa del progetto.

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Introduzione

Negli ultimi 20 anni, il mercato del gioco d’azzardo in Italia è cresciuto vertiginosamente e inesorabilmente. Se all’inizio degli anni ’90 il suo fatturato lordo si attestava su circa 5 miliardi di lire, nei primi anni 2000 l’importo era triplicato e nel 2005 sfiorava i 30 miliardi di Euro. In seguito alla riforma Bersani-Visco nel 2006[1], che favoriva l’entrata dei competitor stranieri, la raccolta[2] nel 2010 ha raggiunto oltre 60 miliardi di Euro. Neppure la crisi economica degli ultimi anni ha arrestato tale crescita. Nel 2016 la più grande Azienda italiana è stata proprio quella del Gioco d’azzardo con un fatturato complessivo di 96 miliardi di Euro, di gran lunga superiore a quello ad esempio dell’Enel che risultava essere, nello stesso periodo, di quasi 74 miliardi di Euro[3]. Ossia il 4,4 % del PIL, poco meno di quanto lo Stato investe per l’istruzione o per mangiare. Un fiume di denaro, uscito direttamente dalle tasche degli italiani, che si conta abbiano perso negli ultimi undici anni 181 miliardi di Euro[4].  Tale denaro finisce per di più in un indotto che solo parzialmente ritorna in servizi, visto che all’aumentare del volume d’affari esiste l’effetto paradosso di una diminuzione del gettito fiscale. Non esiste in Europa una nazione che perda denaro in azzardo quanto l’Italia[5].

Se si vuole osservare il fenomeno alla luce della recente pandemia da Covid 19 che ha travolto il mondo intero e l’Italia in particolare, nel 2020 il volume complessivo di gioco era sceso a 88,38 miliardi di Euro, ossia circa il 17,3% in meno rispetto al 2018. Purtroppo, però, nel 2021 il dato è tornato a crescere sino a 107,5 miliardi: un anno da record! Questo non si è trasformato per un affare per lo Stato che vede invece perdere il 35% degli incassi derivanti dalla tassazione [6].

Il fenomeno del gioco è infatti in grande mutamento. Se in questi ultimi anni si stava assistendo già ad un progresso della tecnologia Internet nell’ampliamento dell’offerta, al pari del mercato delle droghe, e, soprattutto, al graduale passaggio al digitale (Gandolfo e De Bonis, 2013), con la pandemia c’è stata un’impennata. Non solo il gioco si è spostato on line, come si può desumere dal dato fornito dalle Dogane che vede il 44,30% della raccolta provenire dal gioco fisico e il 55,70% dal gioco a distanza (Libro Blu, 2020). Questa migrazione investe almeno tre aspetti inquietanti ed estremamente pericolosi: il primo è rappresentato dal fatto che i giochi on line rispetto ai giochi della tradizione (Lotto, SuperEnalotto, Totocalcio, ecc.) prevedono per lo Stato un gettito fiscale minore, passando dal 12,6% al 4%, in altri termini determinano una diminuzione del PIL; il secondo è l’estrema accessibilità dei giochi on line sia legali che illegali, e quindi un vero fenomeno di cannibalizzazione del nuovo rispetto al vecchio (Gandolfo e De Bonis, cit); il terzo, maggiormente insidioso, è rappresentato dal fatto che la ridotta pressione fiscale consente di ottenere un tasso di pay out (rapporto tra entità delle vincite e somme giocate) molto più favorevole stimolando il gioco e, prevedibilmente, la dipendenza: ossia nei giochi tradizionali, più tassati e quindi meno ricchi, si vince di meno e, dunque, si gioca sempre di meno.

 

Psicopatologia del gioco d’azzardo

È noto che il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder – DSM 5, uscito in Italia nel 2014, ha inserito il Disturbo da Gioco d’azzardo – DGA – nei Disturbi da Dipendenza non correlati alle sostanze. Il GAP era precedentemente inserito nel DSM IV – TR nei Disturbi da discontrollo degli impulsi. Il passaggio all’addiction ha riconosciuto di fatto la complessa e articolata patologia legata al gioco che non può esaurirsi tout court in un problema di controllo degli impulsi deficitario, ma che presenta una sintomatologia molto affine a quella riscontrata con le droghe tradizionali. Molto importante risulta la definizione diagnostica della gravità della patologia. Fermo restando il riconoscimento del gioco d’azzardo come attività ludica presente in molte culture, in alcuni individui questa può diventare un “comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo che porta disagio o compromissione clinicamente significativi” (ib.).

A ciò si aggiunge che molti giocatori patologici hanno rilevanti problemi fisici, come tachicardia e angina, e una scarsa salute in generale. Altresì presentano spesso comorbilità psichiatriche, quali disturbo depressivo e/o d’ansia, disturbi di personalità, soprattutto del Cluster B e uso di sostanze. I costi sanitari diretti da DGA ammontano a circa 85 milioni di Euro l’anno (Scala N.M, 2016). In più, si aggiungono i costi “indiretti” come il crollo della capacità lavorativa, la perdita di beni di proprietà, il precipitare in situazioni di prestiti a oltranza fino all’emergenza sociale rappresentata dal ricorso all’usura (Scala N.M., cit).

Il DSM 5 definisce anche che l’incidenza del Disturbo da Gioco d’azzardo nella popolazione americana è 0,2% per le femmine e lo 0,6% nei maschi. Più alta negli afroamericani, arrivando allo 0,9% meno negli ispanici 0,3%. In Italia, nel 2016, gli italiani che hanno effettuato almeno una giocata sono stati 1,79 milioni, il 15% in più dell’anno precedente[7]. Eppure si calcola che appena 24.000 persone nel 2015 risultavano in cura c/o le strutture del SSN, laddove il Dipartimento delle Politiche Antidroga stimava nel 2016 approssimativamente il numero di giocatori patologici da un minimo di 300.000 ad un massimo di 1.300.000. Se consideriamo che nel 2014 la Relazione Annuale sulle Dipendenze, sull’Addiction e GAP stimava la prevalenza sulla popolazione italiana del 2% di giocatori a rischio e l’1,9% i giocatori patologici per le classi di età che vanno dai 19 ai 79 anni, e che nel 2020 i soggetti in trattamento nei SerD del Lazio con DGA erano 718, con il 50% di over 50, molti già noti, mentre risultano praticamente assenti gli under 20, risulta evidente la grossa discrepanza esistente fra la popolazione a rischio e gli interventi effettuati dal SSN.

 

Le popolazioni a rischio DGA: giovani e anziani

È noto che le popolazioni a maggior rischio di sviluppo della dipendenza da gioco sono i minori e gli anziani (Piano Regionale 2017-2018 Gioco d’Azzardo Patologico – Regione Lazio). Anche l’Osservatorio Gioco d’Azzardo 2021, studio realizzato da Nomisma, si è focalizzato infatti su questi 2 target di età: i giovani fra i 14 e i 19 anni e gli over 65. Per i primi non solo risulta che il 29,2% degli studenti ha giocato d’azzardo almeno una volta e che il 3% ha un comportamento di gioco problematico, ma vieppiù che il 40% di tutti giocatori problematici inizia a giocare fra i 9 e i 12 anni[8]. Ne consegue che la vera prevenzione deve iniziare da tale età. Secondo l’ultima indagine ISS sebbene il gioco fosse diminuito nella pandemia Covid 19 è aumentato di quasi un’ora non appena si sono allentate le restrizioni. Inoltre, sebbene nel 2020 il 42% dei giovani abbia giocato con giochi di fortuna contro il 48% del 2018 e il 54% del 2014, questo dato che appare in decrescita non ci può fa gioire perché in realtà il gioco si è solo in qualche modo evoluto passando dal gioco in presenza a quello in remoto. Secondo il Libro Blu redatto dall’Agenzia delle Dogane nel 2020, il gioco fisico si attestava su 39,15 Miliardi di Euro contro il 49,23 Miliardi del gioco a distanza. Una stima davvero impressionante valutava che l’ammontare globale del gioco d’azzardo on line arrivasse a 1 trilione di dollari per il 2021[9], considerando che il 73% dei giocatori usa lo smartphone.

Sempre per ciò che riguarda il gioco e i minori, in una recente ricerca effettuata dall’Istituto Piepoli per il Moige del 2021 (Moige, 2021), emerge che solo l’1% dei ragazzi gioca nelle sale da d’azzardo, ma anche che il 65% dei rivenditori non verifica mai l’età del giocatore. Inoltre, si evince che il 23% dei minori gioca d’azzardo on line e che l’88% ci gioca o perché non è stata verificata l’età oppure perché ha mentito, mancando evidentemente modalità di accertamento dell’età oggettiva. 

Si evidenzia quindi per i minori un sommerso a cui vanno aggiunti i problemi legati al Gaming e all’Internet Dipendenza[10]. Per un approfondimento sulle relazioni fra dipendenza e giovani esiste una vasta letteratura cui si rimanda (Caretti e La Barbera, a cura di, 2010; Giacolini e Leonardi, 2016; Berivi et altri, 2019; Berivi et altri, 2020).

Per gli anziani, il problema non è meramente numerico. Se guardiamo infatti i dati relativi ad una ricerca del 2014 effettuata dal Gruppo Abele in associazione con Libera, nella quale era stata intervistata la popolazione under 65 su un campione casuale di 1000 soggetti, era stata riscontrata una prevalenza del 14,4% di giocatori a rischio e il 16,4% di giocatori con DGA. Nei servizi, invece, gli under 65, così come i minori, sono i grandi assenti. Nel rapporto Dipendenze Lazio del 2021 nei soggetti in trattamento nelle strutture pubbliche erano 718 e la distanza fra il periodo di esordio di 26,4% e l’età di media di primo accesso di 41,7%, il gap era di circa 15% di uso non trattato, con un’età medi di 42 anni. Per la fascia anziani a ciò si aggiunge un aspetto importante da valutare e cioè che i disturbi correlati alle dipendenze tendono ad essere spesso sottostimati. Da un lato ciò può essere dovuto all’isolamento in cui gli anziani vivono e in cui giocano, quindi un fenomeno estremamente sommerso, dall’altro perché si pensa che il rallentamento proprio della terza età e un maggior controllo degli impulsi dovuto all’esperienza, li rendano immuni dallo sviluppo di una dipendenza (Del Corno, Plotkin, 2017). In realtà, non solo l’isolamento e la solitudine possono funzionare da terreno fertile per uno sviluppo problematico del gioco, ma anche gli effetti dell’invecchiamento sul cervello in tale contesto possono diventare un trigger per il gioco problematico. Infatti, come abbiamo visto, il fenomeno del gioco d’azzardo nella popolazione di soggetti anziani è in progressivo aumento, diventando una vera e propria emergenza sociale[11].

Tra i fattori di vulnerabilità finora individuati emergono la perdita di un ruolo definito in società avvenuta con il passaggio al pensionamento per chi lavorava oppure l’isolamento affettivo e il vissuto inutilità e di perdita di un ruolo all’interno della propria realtà familiare per la crescita dei figli, quella che una volta gli psicologi relazionali chiamavano la sindrome del nido vuoto. Situazioni che possono costituire motivo di grande sofferenza per gli anziani perlopiù silente. Ancora, possibili separazioni senza la ricostituzione di una nuova realtà familiare, il possibile impoverimento economico determinato da pensioni basse, la morte del coniuge, possono costituire l’humus per così dire dove può nascere la propensione al gioco che magari si unisce all’illusione di vincere in modo facile o di riempire il vuoto con l’eccitazione del gioco (Savron, 2014; Zaranek, Lichtenberg, 2008).

Nel 2013, Serpelloni sintetizzò i diversi profili delle 2 popolazioni a rischio come si può vedere nella seguente tabella.

Tab. 1: Profili di giocatori d’azzardo in base all’età (tratto da Serpelloni, 2013)

 

 

Prevalenza

Principale motivazione al gioco

Tipo

di gioco

Frequenza di gioco

Motivazione

Giovani

% maggiore

Competizione

Denaro

Carte

Internet

Minore

Minore tempo

 

Anziani

% minore

Socializzazione

Antinoia

Bingo

Slot Machine

Maggiore

Maggiore tempo

Maggiore disponibilità di denaro

 

Una visione essenzialmente corretta, ma forse semplificata, come abbiamo potuto accennare.

Abbiamo finora considerato alcuni dei fattori di rischio per lo sviluppo di un DGA nei giovani e negli anziani. Passiamo ora ad individuare brevemente i fattori di protezione.

Tra i fattori protettivi che riducono la probabilità di sviluppo di un DGA, o che “moderano” l’effetto di possibili fattori di rischio, si riscontrano: la presenza di un coniuge, possedere un livello di istruzione e un reddito più elevati, poter far affidamento ad una rete di sostegno sociale e familiare (Zaraneck, Chapleski, 2005). Così come la stabilità emotiva, un senso di sé positivo, un più alto livello di soddisfazione di vita e la partecipazione a riti religiosi possono altresì rappresentare possibili risorse protettive (Hong, Sacco, Cunningham-Williams, 2009; Lai, 2006). 

La famiglia e la comunità, se offrono supporto e la possibilità di sviluppare relazioni positive e competenze sociali adeguate, possono incisivamente contribuire a contrastare per gli anziani il rischio del gioco. Inoltre, strategie cognitive (come il rendersi conto del pericolo associato all’azzardo e delle reali probabilità di perdita), o strategie comportamentali (come definire una quantità prestabilita di denaro da scommettere e fermarsi quando questo è finito, il non reinvestire le vittorie o il non giocare da soli), aiutano a prevenire e contenere i problemi legati al gioco d’azzardo (Tse, Hong, Wang, et al., 2012).

Oltre a ciò, in linea con l’ottica bio-psico-sociale proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, emerge la definizione di “invecchiamento attivo”, coincidente con un “processo di ottimizzazione delle opportunità relative a salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane”. Tale definizione si pone in continuità con il progressivo emergere di una nuova cultura dell’invecchiamento che, alla dimensione della perdita e del decadimento, accosta, integrandola, la promozione di nuovi interessi. La diffusione del significato di invecchiamento attivo, oltre ad aver stimolato l’interesse di molti lavori scientifici, ha valorizzato la possibilità di fruire di percorsi finalizzati alla promozione della salute psico-fisica, dunque l’opportunità di pianificare interventi preventivi ad hoc. L’aumento dell’età media della popolazione in Italia e nel mondo sta richiedendo un ripensamento dell’assistenza sanitaria in cui il benessere psicologico dell’anziano diventi un elemento centrale. In particolare un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University e dei New England Research Institutes hanno studiato gli effetti dell’uso dei videogiochi non soltanto per la velocità dell’elaborazione delle informazioni che rallenta nella vecchiaia, ma anche la riduzione della possibilità di sviluppare una demenza. Gli esiti sono stati esaltanti: per ciò che riguarda la possibilità di sviluppare una demenza questa era diminuita del 48% (Medina, J, 2017:159). Oltre a ciò, Bryan James (su Medina, cit) ha accertato il legame fra declino cognitivo e socializzazione, laddove gli anziani con socializzazione intensa avevano il 70% in meno di possibilità di sviluppare la demenza (Medina, cit. 31).

Per i giovani, come per molte altre patologie, i fattori di protezione sono la famiglia, la scuola e la rete sociale (Serpelloni, G, 2013).

Le linee di azione GAP redatte dall’Osservatorio Nazionale per il Gioco d’Azzardo (2017) per ciò che riguarda la prevenzione nei i minori ribadiscono 3 aree di azione: la prevenzione universale, quella selettiva[12] e, infine, la prevenzione indicata. In base a ciò, all’interno di esse si registrano alcuni capisaldi: l’aumento delle conoscenze è importante, ma non modifica il gambling, se non combinato con strategie di sviluppo di comunità; campagne come il “Do not” oppure solo sulla conoscenza dei rischi possono essere persino dannose (Messerlian & Derevensky, 2006), come già dimostrato da Progetti internazionali importanti come Unplugged[13]. La conoscenza dei dati non produce modificazioni durature (ad esempio Bala, Strzeszynsky, Cahil, 2008; Bala MM, Strzeszynski L, Topor-Madry R, Cahill K., 2013). Importanti gli interventi sulle Life Skills, ma meglio la peer education che risulta migliore con la presenza di una rete adulta (Croce M, Lavanco G, Vassura, 2011). Il recente Decreto n. 136 del 16 luglio 2021, sempre in materia di prevenzione, ribadisce la necessità di una prevenzione diretta su target specifici, la prevenzione selettiva, il proporre alternative al gioco e non solo una mera demonizzazione del gioco d’azzardo e, infine, la necessità di metodiche che abbiano riferimenti scientifici EB, nonché lo sviluppo della ricerca scientifica[14].

Il Progetto In.Tra. si inserisce dunque nella prevenzione selettiva, ha come focus i giovani e gli under 60, propone come metodologia quella del gioco relazione come alternativa al gioco d’azzardo, indica come azione psicologica e sociale il confronto/incontro fra generazioni nell’ottica junghiana dell’integrazione fra l’archetipo del Senex e quello del Puer e vuole fornire una ricerca pilota che possa contribuire all’individuazione di metodologie efficacie e scientificamente supportate.

 

Il Gioco come trattamento clinico

Il gioco come espressione nella persona della vita psichica e del dialogo con gli altri è una concezione antica[15]. Tuttavia, le prime immagini che sicuramente sono evocate da questo termine nel nostro immaginario di psicoanalisti sono quelle del piccolo Ernst, nipote di Freud, descritto dallo psicoanalista viennese a giocare con il suo rocchetto che appariva e spariva accompagnato dai suoi “o-o-o” all’atto del gettare lontano il suo giocattolo e da “da” alla sua ricomparsa, disegnando così una delle vignette cliniche più famose della psicoanalisi infantile (Freud, 1920). Oppure vediamo Melanie Klein alle prese con il 1° bambino analizzato di nome Fritz, che si saprà essere suo figlio (Grosskurth, 1987), e con le sue ansie di terapeuta alle prime armi in questo ambito. O ancora Winnicott con il suo gioco dello scarabocchio (squiggle game) che in una sorta di ping pong del disegno non solo permetteva al bambino di delineare il suo mondo interno, e nel frattempo anche stabilire un’alleanza terapeutica, ma introduceva la necessità nel trattamento infantile che l’analista entri nella relazione in modo attivo, disegnando con lui (Winnicott, 1968). A parte queste affascinanti ed evocative immagini, il gioco resta per la psicoanalisi un tramite comunicativo a carattere derivativo che può consentire al clinico soprattutto nei casi più complessi, in particolare i traumatici, la possibilità di accesso anche al bambino e all’adolescente più difficili.

Sul fronte cognitivo, invece, il contributo di Piaget ci indica che il gioco segue l’evoluzione del bambino e le sue capacità di affrontare la realtà nella sua complessità. Per l’autore il bambino cerca di sottomettere il mondo a sé stesso proprio attraverso il gioco. Nel gioco dunque prevale il processo di assimilazione[16] sull’accomodamento (Piaget, 1945). Significativamente, Piaget teorizza 3 fasi fondamentali del gioco. I giochi di esercizio che vanno dalla nascita al 1° anno di vita, nel quale è primaria l’imitazione attraverso la quale il bambino in parte si illude di dominare la realtà come i genitori e dall’altra può costruire un senso di continuità e di identità. Seguono i giochi simbolici o di finzione che dai 2 ai 6 anni accompagnano il bambino nel suo processo di crescita mentale ed emotivo. Propri nello stadio dell’intelligenza simbolico-prelogica gli oggetti possono rappresentare altro da quello che sono. La funzione è molteplice: dall’imitazione il bambino può passare alla rappresentazione delle emozioni oppure alla messa in scena delle componenti relazionali della propria realtà e di quella delle persone che si prendono cura di lui. Il fare finta permette al bambino il passaggio dal piano immaginario, intrapsichico e relazionale, a quello della realtà, alternando impotenza e potere, sentimento e scarica. Seguono i giochi con le regole dai 7 agli 11 anni. Essi corrispondono allo stadio dell’intelligenza logico-concreta. Il passaggio dalla regola sacra perché dettata dagli adulti alla regola dovuta al consenso reciproco fra pari segna precisamente il passaggio dalla famiglia ai coetanei, dalla obbedienza dovuta alla punizione alla regola come organizzatore sociale (cit).

Riprenderemo l’uso del gioco come fattore terapeutico più avanti.

Guardando più da vicino al problema del gioco d’azzardo, viene citato spesso Roger Callois, sociologo – antropologo – critico letterario francese, che definisce lo spazio di gioco come spazio puro (1967). In particolare, l’autore divide il gioco in 4 categorie principali:

– l’agon, ossia il gioco come competizione, gara, rispetto delle regole come negli scacchi, il calcio, la corsa, le competizioni sportive in genere;

– la mimicry, quindi il gioco come simulazione, ricerca dell’illusione, come il gioco delle bambole, il mascherarsi, il teatro, il travestimento;

– l’ininx, la ricerca del brivido, il rischio, cadere nel vuoto come danza, giostre, montagne russe, sport estremi;

– l’alea, ossia il gioco dove prevale il caso, la fortuna, l’azzardo, la sfida del destino. La vittoria è dovuta alla sorte che viene sfidata più e più volte.

Secondo il nostro modo di vedere, Callois intuisce che il gioco d’azzardo è un gioco che si allontana dai giochi intesi secondo la prospettiva di Piaget o della psicoanalisi per come abbiamo accennato prima. Proprio perché riferito al caso, alla fortuna o ad un illusorio destino, il gioco d’azzardo finisce per rappresentare un oggetto autistico[17] così come la sostanza psicotropa. Riprendendo la concezione di Bergler (1958), che parla del giocatore d’azzardo come colui che vuole vendicarsi del potere della coppia genitoriale sul bambino impotente, il gioco diventa lo spazio dove il potere è illusoriamente tenuto in mano dal giocatore che come il tossicodipendente crede di dominare la sostanza laddove non pensa di poter dominare l’altro da sé, da cui si sente continuamente dominato e minacciato.

Ecco perché nel caso di una prevenzione selettiva su popolazioni a rischio, il passaggio dal gioco solipsistico al gioco solitario in presenza di un altro e, successivamente, al gioco di collaborazione può preparare la strada al passaggio da una dimensione di evitamento dei contenuti problematici emotivi e relazionali a quello di elaborazione derivativa[18] preparatoria a poter eventualmente affrontare laddove necessario i contenuti problematici.

 

Il gioco d’azzardo come gioco autistico

Vorremmo ora approfondire, sebbene brevemente, l’idea del gioco come prevenzione e trattamento del gioco d’azzardo patologico. A tal fine riprendiamo il concetto di oggetto autistico della Tustin (1972). Per l’autrice la fase autistica, che il bambino attraversa nei primi 5 mesi, ha la finalità di evitare al bambino l’esperienza angosciosa del vuoto e della separazione. In questa fase il bambino riduce persone vive allo stato di cose morte, mentre per contro l’animismo dà vita ad oggetti inanimati (Tustin, cit). Si tratta di 2 tendenze contrapposte: l’una favorisce la regressione e induce a trattare gli altri non come persone ma come cose da manipolare a proprio piacimento; l’altra, l’animismo, costella invece lo sviluppo, la maturazione ed il riconoscimento dell’altro come persona umana e vivente, diversa da sé. Le immagini che si profilano nello scenario del bambino, quando ancora non si è formata un’immagine interna dell’altro assente, sono immagini disumane, con un aspetto spaventoso, onnipotente e persecutorio. Generalmente, esse sono modificate in forme sempre più umanizzate attraverso il rapporto affettivo con i genitori reali. L’oggetto autistico, per contro, blocca proprio questa fondamentale componente emozionale del rapporto, per cui il solco scavato tra percezioni e fantasmi persecutori non viene colmato e il bambino è sempre più angosciato e difeso nei confronti degli altri. L’oggetto autistico non determina modificazioni della trasmissione degli impulsi nervosi lungo le vie sensitive, ma inibisce l’esperienza del dolore e blocca, alterando i potenziali elettrici normalmente registrati nel sistema limbico, sede organica della vita emozionale, proprio l’eco affettivo delle percezioni dolorose.

La funzione di barriera al contatto emozionale tra l’Io percettivo e il mondo fantasmatico del bambino è stato a suo tempo (Grassi, 1998) evidenziata nella descrizione di Paolo, tossicodipendente, che nella scena allestita della Sand Play Therapy pose 2 animali preistorici che avanzavano minacciosi verso la zona occupata dalle altre miniature. Paolo, riferendosi all’uso autistico dell’eroina, così commentava: “La barriera è l’eroina. Riesco ad evitare quegli animali facendomi l’eroina, perché con la “roba” non sogno”. Alla domanda: “Nella scena dove sei?”, rispondeva: “Io mi muovo continuamente, così non sono catturato dai mostri… E se pure uno di essi riesce ad attraversare il mio corpo, io mi immobilizzo. Non sento nulla ugualmente”. Quest’ultima affermazione evidenzia bene, a nostro parere, il blocco delle emozioni operato dall’oggetto autistico, che serve inoltre, così come è concepito dalla Tustin, a tappare il buco nero della disperazione evocato dalla perdita nei rapporti umani. In più, esso blocca il passaggio all’animismo ossia la fase della capacità di rappresentarsi gli altri con immagini viventi e/o con oggetti della realtà immaginati come viventi, cioè è vissuto come assoluta parte corporea del sé e la sua assenza comporta l’esperienza di una mutilazione.

La Tustin, a proposito dell’azione stupefacente dell’oggetto autistico, scrive: “Esso induce sensazioni estatiche segretamente rappresentando un ritiro dagli incubi e quando fallisce, per il contrasto, l’incubo ne viene ingigantito. Vengono promosse aspettative al di là di mezzi umani per soddisfarle, conduce ad un periodo di frustrazione e la situazione diventa cumulativa […] Promuove sensazione all’interno del corpo tali da far sembrare come se la necessaria autosoddisfazione e pseudo autosufficienza siano presenti” (1972). D’altra parte, lo spazio autistico è uno spazio vuoto che si apre sull’abisso del nulla infinito, in quanto manca un oggetto che possa riempirlo, tranne i fantasmi primordiali persecutori. Quindi rappresenta uno sviluppo psicopatologico di quell’area che invece potrebbe riempirsi di immagini dell’oggetto, laddove il bambino potesse avere già costituito dentro di sé delle immagini oggettuali interiorizzate.

Riassumendo, per tutte queste sue caratteristiche descritte, consideriamo il gioco d’azzardo come un oggetto autistico e crediamo dunque che il compito della prevenzione e della terapia psicologica del giocatore sia la trasformazione di queste difese in oggetti e fenomeni transizionali.

La tecnica del gioco introduce vieppiù nel campo terapeuta-paziente un terzo fattore. Quest’ultimo promuove l’abbandono dell’oggetto assolutamente me-gioco d’azzardo, a favore di altri oggetti soggettivi e già parzialmente oggettivi, quelli del gioco transizionale.

Per Winnicott l’oggetto transizionale, è noto, è un oggetto del mondo esterno, materiale, prima forma e primo possesso “non-me” del bambino. Può essere un orsacchiotto, una bambola, un giocattolo soffice o uno duro. Le sue precipue caratteristiche, riprendendo l’autore, sono: la natura dell’oggetto; la capacità del bambino di riconoscerlo come non-me e di inventare l’oggetto stesso; l’iniziale rappresentazione dell’altro come altro da sé, da cui l’inizio di un rapporto oggettuale (Winnicott, 1971:13). Lo spazio transizionale, d’altro canto, è un’area in cui si sviluppano i fenomeni transizionali che sono costituiti dalla trasformazione di oggetti materiali inanimati in oggetti animati; precisamente la prima forma con cui si configura il rapporto dell’Io del bambino con la realtà esterna. Nella relazionalità orgasmica si realizza la dimensione istintuale di rapporti che un individuo può stabilire attivamente o subire passivamente. È definita orgasmica perché riconosce in sé un acme, presume una distanza e perciò si fonda sulla categoria della separazione. Nella fase definita dalla Tustin come autistica, i bisogni istintuali e le relative risposte della madre sono vissuti e strutturati in termini di fenomeni corporei e sostanze di natura materiale. In caso di madre sufficientemente buona detenzione e soddisfazione sono espresse non più in termini di sostanze materiali, ma da immagini vive che dallo sfondo del buco nero della disperazione emergono nella mente primordiale del bambino come persecutorie o soccorritrici. Queste immagini caratterizzano la successiva fase allucinatoria e sono una evoluzione psicologica rappresentativa di fenomeni precedentemente sperimentati come corporeo-materiali. Sono inoltre i precursori delle immagini mentali, quale è ad esempio l’idea del seno buono assente; le allucinazioni negative tenderanno invece a far regredire verso l’esperienza dell’assenza come presenza di una “puntura cattiva”. Scrive Winnicott: “La relazionalità orgasmica integrata nello schema della relazionalità dell’io rafforza un io immaturo invece di distruggerlo. In carenza di una relazionalità ludica o le pulsioni istintuali sommergono e travolgono l’io o il bambino è costretto a ricorrere all’oggetto autistico” (1965:37).

 

La relazionalità ludica (o dell’Io)

Sempre seguendo Winnicott, nella categoria esistenziale del senso di identità (relazionalità ludica) non esistono pulsioni istintuali in atto, manca l’acme relazionale orgasmico, si realizza l’a priori antropoanalitico della continuità. La relazionalità dell’Io apre nel gioco la personalità del bambino ai fenomeni ed oggetti transizionali: essi appartengono al mondo esteriore, fuori dell’individuo, implicano quindi un oscuro riconoscimento del loro essere un reale non-me, pur essendo espressione di realtà psichiche interiori. Il bambino fa così un’esperienza oggettuale, cioè distaccata, delle proprie pulsioni e, analogamente, della separazione dell’oggetto di cui l’istinto fa uso. L’esperienza della pulsione nell’oggetto transizionale si accompagna al distacco della sua immagine dalla figura materna, che viene perciò riconosciuta come essere umano. La madre persona dapprima è una presenza attendibile, cioè attenta al gioco solitario del bambino; successivamente entrerà in un rapporto di reciprocità con lui, interagendo con la sua area transizionale. La tolleranza delle frustrazioni consentirà alla madre da un lato il controllo delle proprie risposte istintuali, dall’altro lato la capacità di attenzione, indispensabile allo sviluppo di fenomeni transizionali. L’attenzione non è un fenomeno naturale: essa “contiene” psicologicamente l’istintualità del bambino nella “sua sfera cosciente” e questo contenimento costella nel bambino un senso interiore di coesione e unità. Questa situazione viene definita da Winnicott come “holding situation”: in essa l’attenzione-contenitore si struttura come una configurazione, cioè una forma, che riproduce il ritmo vitale dei bisogni istintuale del bambino. L’attenzione è l’elemento padre contenitore che permette alla madre di sostenere il figlio nei confronti di terrori e tensioni rabbiose legate all’esperienza della separazione come minaccia alla propria esistenza e della dipendenza assoluta da un oggetto esterno (Tustin, 1972). Viene così stressata l’importanza dell’elemento padre-maschile nella concezione della Tustin, apparentemente solo femminile, tramite “la regolarità delle sedute, l’aderenza ad una tecnica disciplinata, l’attenzione e la vigilanza analitica, le interpretazioni” (Tustin cit) che provvedono a fornire un contenitore all’interno del quale il sé bambino piccolo di John (il caso clinico citato dalla Tustin) potè cominciare a crescere. La capacità di attenzione in psicoterapia è assimilata dalla Tustin ad una componente maschile nella comunicazione terapeutica. Infatti nel caso clinico citato, la perdita del bottone lo stabilizzava come costrutto della mente, equiparato ad un onnipotente capezzolo-pene-padre. Di esso la situazione analitica non concedeva nessuna esperienza reale, ma lo aiutava solo a tollerare i sentimenti evocati dalla loro perdita.

L’archetipo del Senex/Puer

I concetti di Senex e Puer, come il concetto di gioco autistico e gioco relazionale sopra esposto, sono i fondamentali alla base del nostro progetto pilota di ricerca proprio perché colgono ed evidenziano nella bipolarità la nostra proposta di connessione intergenerazionale indissolubile.

Sul versante psichico gli archetipi del Senex e del Puer si esprimono con Figure Divine attinenti al “mondo immaginale” (Hillman, 1967). Queste divinità fanno parte di un universo di immagini psichiche caratterizzato da specifiche strutture, peculiari processi, caratteristiche tonalità affettive e figurazioni drammatiche. Ognuno di noi, nell’arco della sua esistenza, si trova nel mezzo tra le due polarità, quella della permanenza e quella del cambiamento ed è costretto in ogni istante ad operare una sintesi di questa antinomia. Solo quando questi opposti tra loro in conflitto si incontrano per l’individuo può scaturire il proprio significato personale e quello della propria sofferenza.

Il primo assunto di base quindi, fondamentale nella nostra ricerca, è che l’archetipo Senex/Puer si manifesta in ogni individuo indipendentemente dalla sua età biologica. Sottolineiamo l’importanza della coesistenza di entrambi i poli Senex e Puer in ogni individuo indipendentemente dalla sua età biologica. Consideriamo pertanto che nella personalità di ciascuno di noi, sin dalla più tenera età e fino alla età più avanzata, sono presenti un vecchio e un giovane, ciascuno con le sue peculiari caratteristiche positive e negative.

In questa prospettiva, Jung propone che l’aspetto Senex dell’archetipo rappresenti l’individuo così come si trova ad essere a seguito della sua storia personale. Non solo come “si trova adesso”, ma anche come ciò lo caratterizza per la sua permanenza, cioè specifiche strutture, caratteristici processi, peculiari tonalità affettive. Il Puer, invece, incarna la spinta, la tendenza e l’energia psichica orientata verso l’innovazione e il cambiamento. La natura stessa del concetto bipolare Puer/Senex implica che la sua sussistenza nell’essere umano sia del tutto indipendente dall’età biologica (Hillmann, 1967). È effettivamente un paradosso nella sua realtà, perché il bambino è giovane e vecchio contemporaneamente e così, come muore e cresce di continuo, è anche portatore di una configurazione che si modifica durante il ciclo vitale, per cui è sia esperienza passata sia apertura al nuovo. Proprio la consustanziale bipolarità dell’archetipo sin dall’inizio della vita consente a Hillman di criticare in parte Jung quando fa la differenza tra la mission del soggetto nella prima metà della vita, da destinare soprattutto allo sviluppo e al consolidamento del suo adattamento sociale, e la seconda metà della vita che andrebbe dedicata per l’autore svizzero alle prospettive di significato della medesima. Ciò si attua, secondo Jung, con una scelta individuale operata nell’ambito delle prospettive di significato che si dispiegano dinanzi agli orizzonti interiori del soggetto, ad esempio: un’iniziazione spirituale e religiosa, il perseguimento di un ideale sociopolitico oppure con un’affermazione di valori culturali o di contenuti individuali. Relativamente al tempo il Senex è il passato, il già realizzato, mentre il Puer è il futuro, ciò che dovrà essere realizzato. La polarità Senex/Puer fornisce l’archetipo necessario per fondare la storia dal punto di vista psicologico. Ad esempio, la dialettica tra Kronos, il tempo cronologico, e l’eterna giovinezza del Puer, che si manifesta nelle prospettive potenziali del futuro, può tradursi nel tempo giusto cioè il Cairos. In esso la coincidenza tra tempo cronologico e eternità si traduce in storia. Se questo non avviene, se non si perviene ad una sintesi creativa tra le due polarità il Senex diventa il passato sclerotizzato, composto da credenze e da istituzioni fatiscenti, mentre il Puer si libera del tempo e diventa “antistorico come protesta e rivolta” (Hillman, cit), come futuro senza direzione. Senza l’entusiasmo dell’eros del Puer, il Senex perde il suo “idealismo” e aspira solo alla sua “auto perpetuazione”, tramite il cinismo e la tirannia (Hillmann, cit). Contestualmente il Puer si manifesta contrapposto ai valori del Senex, con l’inganno, la loquacità, la calunnia, l’egoismo, inganno.

Un uomo può venire catturato dall’attività Puer della ribellione sociale, della rivoluzione tecnologica o dell’avventura fisica con energia doppia ma con perdita di scopo. Ogni innovazione è adorata perché promette l’originale, mentre ciò che è già storico, cioè che già appartiene al Senex, diventa ora il nemico da abbattere. Non su questo atteggiamento può agire il gioco che conduce la personalità dall’onnipotenza alla iniziazione alla realtà che per di più non produce una cancellazione del rapporto intrattenuto dal Puer con le origini primordiali, ma solo un’affermazione del significato mitico presente in tutta la realtà. Gli strati di prospettiva mitologica rendono la “crudezza” della realtà significativa e tollerabile e, di conseguenza, indistruttibile. Hillmann sostiene che il problema di fondo del Puer non è l’assenza di “realismo”, ma la mancanza di realtà psichica (1967, cit). Secondo noi questa mancanza può essere colmata dal gioco perché l’aspetto anima del gioco, cioè l’animazione prodotta dal gioco, così come sostiene la Tustin (1972), fa sì che ogni nuova ispirazione, ogni “nuova idea” del Puer, necessitante di mentalizzazione (Fonagy, Target, 2001; Allen, Fonagy, Bateman, 2008) possa subire l’iniziazione all’aspetto ordine del Senex in modo che i suoi nuovi valori e significati possano essere storicizzati.

Hillman (1967:33) a questo punto sostiene però la sussistenza di un modo di “essere” dell’ambivalenza che “può comprendere l’archetipo nella sua interezza bipolare e guidare giù fino al livello psicoide profondo”.

 

Fondamentali metapsicologici del Progetto In.Tra.

Come abbiamo avuto modo di esporre finora, sebbene sinteticamente, il Progetto In.Tra. parte da tre fondamentali metapsicologici propri del pensiero psicoanalitico: il gioco e l’uso clinico e creativo che se ne può fare, l’archetipo del Senex/Puer visto nel suo dialogo interno tra le polarità, sia in termini evolutivi sia individuativi, e mediato sul piano cognitivo dall’Io e sul piano emotivo dall’archetipo dell’Anima (Jung, 1921), quindi la psicoterapia.

Accertato che proprio nel nostro mondo attuale assistiamo a gravi conflitti intergenerazionali che però, non a caso, possono esitare in comportamenti disfunzionali e/o patologici molto simili, vedi il fenomeno delle dipendenze, abbiamo rilevato che sia tra gli adolescenti e i giovani adulti da un lato sia negli over 60 sussiste un difetto enorme di comunicazione, in termini psicanalitici di relazione transgenerazionale. In entrambi i casi, in luogo di una relazionalità vivificatrice dell’archetipo dell’Anima (Jung, 1921; 1946; 1951; 1957) assistiamo ad una caduta della relazionalità a favore di un ritiro solipsistico e autoreferenziale che viene alimentato proprio attraverso il gioco d’azzardo e tutte le forme di addiction, senza o con uso di sostanze. Il gioco d’azzardo, così, finisce per assumere lo stesso ruolo dell’oggetto autistico così come viene descritto dalla Tustin, e fa da barriera ad una comunicazione e ad una relazionalità animica specifica del sentimento, nel suo ruolo di funzione psicologica così come viene descritto da Jung (cit).

Le ricerche neuropsicologiche confermano questo stato di cose: nella nostra realtà contemporanea i sistemi neurologici sottocorticali della ricompensa, che a livello limbico esercitano proprio il ruolo di soddisfazione pulsionale, sono fortemente potenziati a discapito dei sistemi corticali che, fondati sulla relazionalità dell’Io, non riescono più a controllare e a contenere l’esuberante dominio della istintualità primitiva nell’essere umano. Ciò si traduce di fatto nell’esercizio sempre più intenso delle soddisfazioni istintuali, accompagnato da una atrofizzazione sempre maggiore delle strutture corticali, comprese le funzioni esecutive di problem analysis, problem solving e decision making. Il ritiro autistico degli over 60 e degli adolescenti e giovani adulti può essere quindi alimentato proprio dalle forme di dipendenza da oggetti materiali che sono vissuti come assoluto me: internet, shopping compulsivo, gioco d’azzardo, video-porno dipendenze. Questo stato di cose configura non solo una incomunicabilità transgenerazionale, ma vieppiù una conflittualità Senex/Puer, a cui abbiamo accennato nella descrizione dell’archetipo.

Sono state seguite dunque due prospettive operative principali. La prima ha inteso offrire alle generazioni più avanti negli anni gli strumenti teorici e pratici necessari per operare più efficacemente nell’universo informatico (digital skills), contribuendo al perfezionamento della loro capacità di comprensione della realtà circostante. Dall’altro lato si è puntato all’uso etico riabilitativo del gioco conferendo all’azione un orientamento di significato etico.

Nello specifico del gioco, la psicologia analitica di matrice junghiana, integrata dall’approccio psicoanalitico al gioco proposto da Winnicott, dalle recenti ricerche e scoperte della scienze neurocognitive realizzate sui soggetti split-brain da Michael Gazzaniga (2005; 2009)  e dall’attività referenziale della mente individuata dalle ricerche sul codice multiplo condotte da Wilma Bucci (2021), ha dimostrato storicamente che il gioco rappresenta una dimensione funzionale della mente e del cervello. In particolare l’emisfero destro con la sua specializzazione funzionale di attivazione della sfera emotiva, seguendo la Bucci e della sfera psicosensoriale, le operazioni di sintesi visuo-spaziali di Gazzaniga, rappresenta precisamente il laboratorio psicobiologico della cosiddetta “Intelligenza Emotiva”. La scoperta fondamentale è stata la seguente: la “Logica Formale”, correlata all’attivazione intellettual-cognitiva dell’emisfero sinistro, ci fornisce interpretazioni della realtà (nell’80% dei casi distorte) e falsi ricordi (nell’80% dei casi distorti), a differenza dell’emisfero destro che con la sua mentalità simbolico-analogica processa la verità[19] comportandosi come uno “spettatore emotivo della realtà” e dei ricordi autentici (Grassi, 2000; 2012). L’emisfero destro è attore di scelte comportamentali secondo principi etici attinenti alla consapevolezza della realtà e alla verità degli eventi. Il gioco è l’espressione di questa intelligenza emotiva sin dai primi anni di vita e fino agli ultimi della stessa; è quindi un patrimonio funzionale che non è solo appannaggio dei bambini, ma delle persone di qualsiasi età. Esiste evidentemente una profonda differenza tra gioco creativo e gioco d’azzardo[20]: il primo stimola le aree sensoriali emotive dell’emisfero destro, il secondo si manifesta solo come una scarica pulsionale erotico-aggressiva al servizio di vissuti di onnipotenza e di evacuazione pulsionale da parte del sistema inconscio di sinistra determinata dal senso del limite quale componente essenziale del funzionamento psichico dell’essere umano. Nel giovane, così come nell’anziano, il senso del limite produce un’angoscia intollerabile di morte che viene espulsa dalla coscienza con il Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA), ma inconsapevolmente conduce entrambi alla propria rovina determinata proprio dall’azzardo e dalle sue conseguenze sia in termini intrapsichici di alienazione emotiva, sia relazionali con le drammatiche conseguenze per le relazioni affettive, e sociali.

Considerando Senex et Puer come due parti in gioco, orientare le scelte di vita dell’adolescente giorno per giorno e rinforzare negli anziani modelli di comportamento coerenti con le scelte etiche, in modo da funzionare per i giovani come modelli identificatori di valori e di scelte comportamentali coerenti è una strada che noi abbiamo considerato e consideriamo molto interessante da imboccare. L’incremento della comunicazione tra generazioni tramite l’acquisizione di un linguaggio condiviso da entrambi secondo noi è lo “svincolo” giusto: il linguaggio informatico, del web in generale e dei videogames in particolare, come fattore socializzante per il Senex può essere la scelta vincente per l’indubbio merito di partire dal problema e rappresentarne anche la sua soluzione. Ancor più se il gioco assume funzioni neuroriabilitative non solo sui processi pensiero ma vieppiù se diventa neuro riabilitativo nei confronti della sfera visuo-spaziale ed emozionale, cioè attivante le strutture neurobiologiche che processano le emozioni. [21]

Per ciò che concerne l’Anima, è noto che per Jung tale archetipo non solo favorisce la comunicazione fra conscio ed inconscio in un processo dinamico simbolico (Jung,1916). Il dialogo con l’Anima, che costella tutto il Libro Rosso (2009), ha accompagnato Jung lungo tutto l’arco della propria vita. Per lo psicologo analista proprio perché l’uomo nell’arco della sua evoluzione ha sacrificato il contatto con l’inconscio e i suoi simboli con la coscienza, ne ha pagato un prezzo altissimo vivendo in modo unilaterale con il rischio reale che l’inconscio poi irrompa nella coscienza con disastri personali e sociali che molte volte sono stati affrontati dall’umanità. Affrontare l’archetipo dell’Anima, nei suoi correlati teorici, metapsicologici, clinici e etici esula dal presente lavoro[22]. Basti dire che la psicoterapia è stata considerata come un passaggio fondamentale che accompagnasse il lavoro sperimentale del gioco teso all’elaborazione dei contenuti emotivi e simbolici suscitati dal gioco stesso e dai passaggi relazionali previsti.

 

Conclusioni e prospettive

Con il progetto che presentiamo abbiamo pertanto creato un contesto sperimentale di gioco in cui i partecipanti potessero sperimentare tutte quelle dinamiche intrapsichiche e relazionali che caratterizzano per somiglianza la vita sociale di tutti noi. I membri del gruppo sperimentale, infatti, una volta ingaggiati nella realizzazione del progetto hanno dovuto attraversare una fase preliminare di familiarizzazione sia interumana reciproca sia con lo strumento operativo informatico. Questa fase iniziale ha presentato aspetti di estremo interesse euristico, considerato che tutti hanno dovuto partecipare attivamente alla costruzione di un ambiente umano fondato sulla sicurezza nei rapporti reciproci. In tal senso sono risultati preziosi i contributi neurocognitivi di S. Porges (2017), per quanto attiene alla primitiva elaborazione delle informazioni sullo sviluppo di relazioni umane fondate sulla sicurezza. La neurocezione[23] come iniziale processo di conoscenza del mondo circostante, sia nei suoi aspetti di pericolo sia in quelli di sostegno soccorrevole, ha rappresentato un concetto basilare per tutte le fasi successive di sviluppo del progetto. Abbiamo così sperimentato l’importanza del corpo nelle relazioni umane, anche le più elementari, e quella del coinvolgimento neurovagale del corpo ai fini dello sviluppo di una socialità e di una cooperazione condivisa. Il successivo passaggio alla fase del gioco propriamente detto, cioè transizionale,  ci ha permesso da un lato di affrontare le sacche autistiche in cui il gioco rischiava di essere intrappolato a causa della loro azione autoisolante ed autoreferenziale per il sé; dall’altra parte vieppiù di verificare come lo spazio transizionale operasse a favore di una ripresa del rapporto creativo-animico tra gli over 55 e gli under 30, non solo come espressioni di due dimensioni generazionali in termini umani, ma anche come rappresentanti simbolici delle due dimensioni temporali: passato e futuro. Abbiamo individuato conseguentemente 3 stadi evolutivi:

  1. A) Passaggio dall’oggetto (informatico) utilizzato autisticamente all’oggetto (informatico) transizionale utilizzato come forma di accesso alla socialità: alfabetizzazione informatica degli “anziani” facilitata dai giovani;
  2. B) Realizzazione di giochi interattivi tesi a realizzare situazioni di antagonismo tra giovani e anziani;
  3. C) Realizzazione di giochi interattivi tesi a realizzare situazioni di solidarietà e di cooperazione tra i due poli Senex/Puer ai fini della soluzione collaborativa di problemi.

Questa sequenza è stata così definita perché:

  1. L’aiuto iniziale dei giovani si trasforma in una loro inversione di ruolo con gli over 60, fortemente innovativa proprio nell’ottica propostaci da Hillmann: il giovane non fa più solo da Puer, ma anche da Senex per l’anziano che invece è chiamato a fare da Puer. Abbiamo verificato l’efficacia del capovolgimento della polarità dell’archetipo. I giovani erano entusiasti di poter fare da docenti informatici per gli anziani e questi ultimi erano estremamente stimolati nel loro aspetto Puer dall’apprendimento e dalla alfabetizzazione informatica che apriva loro nuove prospettive;
  2. Abbiamo poi riservato la 2ª fase al gioco di antagonismo, proprio nel rispetto della sequenza evolutiva dello sviluppo psichico delineata da Freud e anche da altri autori. La prima forma di approccio al mondo esterno è caratterizzata da immagini di pericolo, di insicurezza; il mondo esterno è quindi un mondo pericoloso e l’approccio antagonista è il primo modo di incontrare il “mondo”; le nuove concettualizzazioni di Porges ci hanno permesso di lavorare con la finalità di stabilire e consolidare un’atmosfera di sicurezza necessaria per “un coinvolgimento sociale” (Porges, 2017)[24];
  3. La verifica dell’assenza di un pericolo o di una minaccia reale ha potuto condurre quindi i partecipanti all’esperienza prima della immobilizzazione senza paura e, subito dopo, all’esperienza del coinvolgimento sociale (S. Porges, cit) che, alimentando il senso di sicurezza di tutti, permettesse loro di conseguire importanti risultati relazionali.

I risultati attesi per quanto concerne gli anziani sono stati conseguentemente pensati come un significativo recupero di funzioni mentali in via di atrofizzazione e una successiva scoperta di ulteriori potenzialità di sviluppo, inesplorate fino a quel momento. Per quanto concerne i giovani, invece, i risultati attesi sono stati una significativa ripresa di un linguaggio valoriale (etico e culturale) che rischiava di non essere sviluppato nella maniera adeguata alle loro esigenze evolutive. In altri termini, riabilitanti gli under 30 e riabilitati gli over 55 e viceversa; altresì verificata la stretta connessione tra funzionamento mentale e sviluppo ed incremento del “coinvolgimento sociale”.

Come accadeva ciò? Tramite il confronto con la modalità comportamentale di gioco dell’over 55, la natura delle istanze psichiche da quest’ultimo messe in gioco, nonché tramite la valorizzazione o meno delle istanze medesime. Il personaggio protagonista di uno specifico gioco diventava uno stimolo evocante sia nell’anziano sia nei giovani riflessioni, emozioni, sentimenti e nuove intenzioni comportamentali. Il gruppo psicoeducazionale provvedeva alla elaborazione di queste tematiche emergenti dal gioco.

In contrasto con l’oggetto autistico, che si oppone all’apporto del mondo esterno vissuto come troppo minaccioso, la funzione transizionale del gioco appare essere uno strumento prezioso per la promozione di un rapporto intergenerazionale che preveda una integrazione creativa tra giovani e cosiddetti anziani e non una conflittualità che possa esitare nella “rottamazione degli anziani” a discapito proprio del contributo indispensabile che essi devono offrire in termini culturali e valoriale alle giovani generazioni;

La psicoterapia vieppiù ha la funzione di elaborazione dinamica delle emozioni e delle correlate immagini (sogni, derivati) che tale confronto comporta, soprattutto le angosce correlate allo sviluppo psicologico.

È in funzione di questo scenario di medio termine che la partnership si è proposta di realizzare un’azione sul gioco che possa trasformarlo da azzardo patologico, a rischio o conclamato, in riabilitazione neurofunzionale per l’anziano e di assunzione di senso del coinvolgimento sociale di tutte le giovani generazioni a cominciare dagli adolescenti e giovani adulti.

Secondo la prospettiva Junghiana qualsivoglia conoscenza dell’uomo non può diventare tale se non è stata prima vissuta come una forma di esperienza, ciò vale a dire che conosciamo veramente solo ciò che viviamo in prima persona. Gli archetipi come categorie esperienziali conoscitive rappresentano precisamente il tessuto neuropsicologico del nostro funzionamento mentale. Jung intende per archetipo una categoria apriori di esperienza e di conoscenza della psiche, con radici neurobiologiche nel genoma umano, esprimentisi in comportamenti che assumono la funzione di patterns of behaviour e dimensione immaginale, e radici psicologiche nel mondo degli istinti di base dell’essere umano e universo immaginale legato alle emozioni, oggetto della ricerca sul funzionamento mentale come lo intende la Bucci (2021).

Per concludere, la sintesi operativa dei principi teorici di questi autori – Tustin, Winnicott, Hillman, Jung, Bucci, Porges -, realizzata con il nostro Progetto Intergenerational Transfer, sembra dimostrare l’essenziale importanza del Gioco come dimensione funzionale della mente per tutto il nostro ciclo vitale sia per i suoi effetti relazionali sulla mente sia per quelli biologici sul corpo in un’ottica intrapsichica. La dynamis Senex/Puer sembra aver manifestato la sua importanza per quanto concerne le prospettive di una soluzione del DGA sia per quanto attiene allo sviluppo di relazioni intergenerazionali creative dotate di senso per i più giovani, sia per quanto concerne i meno giovani il recupero di loro abilità relazionali informatiche con il mondo, con incremento della loro incidenza su di esso, quindi in termini preventivi. Per i più giovani inoltre il gioco costella e vivifica la dimensione del senso (specifico della funzione paterna e del sistema di valori ad essa connesso). Siamo ora più convinti che il Gioco transizionale, sia di importanza essenziale per lo sviluppo intrapsichico e relazionale della persona. Non solo! Abbiamo potuto rilevare quanto sia di fondamentale importanza una stabile relazionalità intergenerazionale, anzi, addirittura come essa sia all’origine del nostro benessere anche fisico. Ipotizziamo come un nuovo criterio prognostico in riferimento anche a possibili future malattie fisiche.  Il gioco si presenta pertanto come un elemento cardine di un intervento di prevenzione selettiva non solo del Gioco D’Azzardo Patologico, ma, a causa delle sue capacità predittive, anche di potenziali interventi preventivi nei confronti di malattie gravi, pure fisiche, finora affidate solo e tout-court alla fase della cura, quando gli interventi possono spesso risultare tardivi.

Se il gioco, come sostiene Winnicott in tutti i suoi scritti, è alla base dello sviluppo culturale, l’impoverimento attuale di quest’ultimo nella nostra società attuale sembra essere fortemente correlato alla notevole mancanza/carenza di gioco transizionale nel nostro attuale assetto sociale per come è strutturato, frenetico e incalzante. Proprio perchè il gioco transizionale richiede tempo da dedicare non solo al gioco con il bambino fuori di noi, ma anche a quello con il bambino dentro di noi, se, come sostiene Winnicott, a quest’ultimo è correlata la nostra vita culturale, l’odierna vita sociale rema drammaticamente contro questa nostra fondamentale necessità.

Affiora, tra le righe dei risultati del Progetto, l’indispensabilità indifferibile dell’incremento del recupero dell’area del gioco transizionale. Ma occorre anche dire che solo una sensibilizzazione cooperante tra associazionismo giovanile e gruppi “anziani” può dare una iniziale risposta adeguata in termini di impatto ad un fenomeno, che trova nel Gioco D’Azzardo solo un epifenomeno di sottostanti turbolenze conflittuali nascoste, quindi anche più pericolose nel loro potere di devastazione personale e sociale.

 

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[1]Decreto Legge n. 223 del 4/07/2006 convertito in Legge il 4/08/2006 n. 248.

[2] La Raccolta rappresenta l’ammontare complessivo delle puntate effettuate dalla collettività dei giocatori.

[3] Dossier di Filippo Torrigiani dal titolo “Gioco d’azzardo: i numeri di un mercato fuori controllo” del 2017

[4] F. Torreggiani, cit

[5] Lo dice un Progetto di Avviso Pubblico, Associazione Nazionale degli Enti Locali e delle Regioni “Lose for Life” del 2016.

[6] www.avvenire.it del 4 gennaio 2022

[7] Ricerca Osservatorio Gioco On Line realizzata con il contributo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (AAMS), della Sogei et altri nel 2016/17

[8] ISS dati 2018 (2021), www.iss.it

[9] Www.lamiafinanza.it/2021/le-entrate-globali-del-gioco-dazzardo.online

[10] Per ciò che riguarda il Gaming e per l’Internet Dipendenza accenniamo che il 6% dei minori dichiara di giocare ai videogiochi oltre 4 ore al giorno, di cui il 45% dallo smartphone e che il 13% ha scaricato videogiochi non adatti alla loro età senza controllo da parte degli adulti (Moige, 2021).

[11] Indagine “Anziani e Azzardo”, Gruppo Abele, Auser Nazionale 2014.

[12] Vedi anche Capitanucci, 2012.

[13] UNPLUGGED è un programma scolastico per la prevenzione dell’uso di tabacco, alcol e sostanze tra gli adolescenti, basato sul modello dell’Influenza Sociale e dell’Educazione Normativa. Unplugged è stato creato e valutato nel progetto multicentrico europeo EU-Dap (European Drug addiction prevention trial), coordinato dall’OED Piemonte in collaborazione con l’Università di Torino, a partire dal 2004. Il trial randomizzato e controllato che ha valutato l’efficacia del programma per la prima volta ha coinvolto più di 7.000 studenti di 143 scuole di 7 paesi europei tra cui Italia, Spagna, grecia, Austria, Belgio, Germania e Svezia.

[14] Ministero della Salute – Decreto n. 136 del 16/07/2021 G.U. Serie Generale n. 238 del 05/10/2021.

[15] Per una disamina vedi Castellazzi LC, Il gioco in età infantile, 2019, Libreria Ateneo Salesiano, Roma

[16] L’assimilazione e l’accomodamento sono i 2 concetti fondamentali dello sviluppo evolutivo secondo Piaget: il primo consiste nella capacità del bambino di selezionare e incorporare nuove informazioni negli schemi già in possesso, mentre l’accomodamento gli consente la modifica degli schemi cognitivi preesistenti in relazione all’esperienza dei nuovi schemi cognitivi appresi.

[17] Ci riferiamo al concetto di Oggetto autistico della Tustin (1972), secondo la quale l’oggetto autistico è un oggetto vivente reso una “cosa morta” mentre l’animismo rende vivi oggetti inanimati.

[18] Nella prospettiva teorica di questo progetto il derivato rappresenta la forma più avanzata e più vicina alla coscienza di contenuti problematici e di conflitti inconsci (Freud, 1915-17; Langs, 1973-74; 1988).

[19] Con il termine verità intendiamo riferirci al concetto così definito come da Gazzaniga (2005; 2009) e Langs (1973-74; 1988).

[20] Alcuni autori hanno ipotizzato che il gioco d’azzardo rappresenti una forma di gioco per adulti orientata al divertimento, all’eccitazione e alla socializzazione (Shaffer, Korn, 2002; McVey, 2003). Oppure come una soluzione all’ansia e alla depressione (Vander Bilt et al, 2004) senza che questo minacci il loro benessere (Hope e Havir, 2002). Fino ad arrivare a poter indicare il gioco d’azzardo come cura per l’Alzheimer (Sobel, 2001). Noi crediamo che sia difficile affrontare semplicisticamente tale contrapposizione che ricorda quella relativa all’uso ricreativo delle sostanze psicotrope. Per ora resta chiarito che nel ns lavoro ci si riferisce al gioco d’azzardo come gioco problematico e/o gioco patologico.

[21] Secondo questa prospettiva è stato utilizzato NeuroRacer, un gioco che richiede l’attivazione contemporanea di pensiero matematico (emisfero sinistro) e di sintesi visuospaziali connesse alle emozioni (emisfero destro). Si è così incrementata la connessione tra i due emisferi cerebrali, e , di conseguenza, tra attività di pensiero e sentimento (Medina, 2014; 2017)

[22] Per una trattazione approfondita rimandiamo ai nostri precedenti lavori (Grassi, 2011; Berivi, Carabini, 2006; Berivi 2010; 2011)

[23] La neurocezione è il processo attraverso cui il sistema nervoso autonomo effettua una valutazione del rischio senza ricorrere alla consapevolezza (Porges, 2017:19).

[24] “Il sistema di coinvolgimento sociale è un insieme funzionale di vie neurali…proietta le sensazioni corporee e costituisce una finestra attraverso la quale possono essere modificate le sensazioni corporee lungo un continuum che si estende da uno stato di sicurezza e di calma, che promuoverebbe la fiducia e l’amore, a uno stato vulnerabile, che promuoverebbe le reazioni difensive” (Porges, 2017:41).

 

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