Le quattro modalità di temporalità <br> Murray Stein

Le quattro modalità di temporalità
Murray Stein

LE QUATTRO MODALITA’ DELLA TEMPORALITA’ ED IL PROBLEMA DELLA VERGOGNA

di Murray Stein

La connessione psicologica tra temporalità e vergogna quantomeno non è semplice, specialmente quando si considera l’inconscio.

Innanzitutto, l ’argomento temporalità è complesso e il suo legame con la vergogna va la di là della semplice registrazione di azioni vergognose commesse nel presente e nel passato.

Hinton cita Serres quando parla della temporalità come di “un fazzoletto piegato e sgualcito” (Hinton, p.365) in cui inevitabilmente troviamo le macchie della vergogna.

In questo saggio vorrei in qualche modo stendere e stirare questo pezzo di stoffa sgualcito per provare a guardare i fili che lo compongono e vedere come e quando la vergogna è intessuta in esso e possibilmente come si possa risolvere il problema della vergogna.

Yiassemides comincia il suo studio del tempo e dell’eternità con la frase: “Il tempo è un concetto estremamente oscuro” e cita il Cappellaio Matto da Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll.
“Se tu conoscessi il Tempo come lo conosco io…non ne parleresti…E’ lui” (Yassemides, p.xiii).
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Abbiamo già due metafore per il tempo: fazzoletto e Padre Tempo.

Se ne potrebbero aggiungere altre, come le grandi immagini archetipiche del fiume (o serpente), della processione (o treno) e della ruota (von Franz, p.136).

Ciascuna metafora offre una prospettiva sull’esperienza umana della temporalità.

Tuttavia il mio approccio sarà più analitico e astratto e non tenterà di rispondere alla domanda di cosa sia la temporalità ma piuttosto suggerirà di considerarne quattro modalità
che insieme formano la totalità delle esperienze della temporalità nella coscienza umana.

In questo saggio, quindi, offrirò un contributo per un’ulteriore riflessione sulla stessa temporalità nella prospettiva della “psicologia del profondo” e tenterò di mettere in relazione la temporalità con la vergogna con tutta la complessità che ne deriva.

Mi arrischio a proporre che ci siano quattro modalità basilari di temporalità, ognuna delle quali può forse assumere un ruolo nella coscienza umana in vari modi ed in diverse fasi della vita: acronicità, cronicità, sincronicità e discronicità.
Per chiarezza le dividerò in due coppie polari come si vede in questo diagramma:

L’asse orizzontale indica la temporalità in una scala che va dall’assenza alla presenza del tempo cronologico.

L’asse verticale indica le linee temporali parallele e divergenti che esistono nel tempo reale (ii) e possono essere presenti insieme nella coscienza.

Tutte condividono il termine “cronicità” dalla parola greca chronos che significa “tempo”.

Le quattro modalità – Definizioni

La più semplice e la più vicina al quotidiano senso comune dei quattro modi di temporalità psicologica è “cronicità”, che indica il senso normale della continuità tra passato-presente-futuro nello stato di veglia una volta che la persona ha acquisito il senso del tempo reale e la continuità della memoria.

Temporalità come cronicità è lo stato conscio di consapevolezza del movimento regolare di oggetti come il sole e le lancette dell’orologio nel mondo intorno a noi.

Von Franz cita Macrobius (Saturnalia): “In quanto solida misura, il tempo deriva dal movimento del cielo. In esso inizia il tempo, da esso scaturì, a quanto sembra, Crono, che è Chronos (tempo). Questo Crono-Chronos è il creatore del tempo” (Von Franz ,p.74).

Da tempo immemorabile gli umani hanno osservato e registrato i cambiamenti delle stagioni, i movimenti delle stelle nel cielo di notte, la mutevole inclinazione della luce che cade su una meridiana ed i cambiamenti che avvengono nel corpo col passare degli anni.

Usando questa modalità cronologica di temporalità ,è possibile costruire una narrazione personale basata su una struttura temporale con date specifiche e relativi contesti che possono assomigliare ad un pezzo di stoffa nel quale sono intessuti ricordi del passato ed anticipazioni di un possibile futuro.
Ricordi personali di esperienze dolorose di vergogna possono lasciare segni scuri ed indelebili in una tale narrazione.

Un modo correlato ma contrastante di temporalità psicologica è ciò che chiamo “cronicità”.

Questo è un tipo di modalità negativa di temporalità, un tempo zero, un punto d’inizio del mito e dello sviluppo psicologico, sperimentato come senza tempo ed al di fuori di strutture temporali.

Prima del numero uno, che potrebbe rappresentare la cronicità, c’è il numero zero, acronicità.

Acronicità si riferisce all’assenza nella coscienza del senso del tempo oggettivo (“tempo reale”). Tutto ciò che avviene è il tempo presente ed il tempo, se registrato completamente con questa modalità, è come una ragnatela, un velo sottile leggermente drappeggiato sulla coscienza, ma senza lasciare una profonda impressione.

Qui la memoria può entrare in gioco o meno. Mentre l’orologio continua a ticchettare sul tavolo, la psiche è inconsapevole del suo movimento. Ciò è sperimentato da bambini, persone addormentate, persone che sognano ad occhi aperti, persone immerse profondamente nella lettura, meditativi e mistici, anziani e dementi, persone creative al lavoro, in breve da tutti noi.

Se si manifesta la vergogna, essa tende ad essere vaga e generalizzata, magari non connessa a specifici eventi, soggetti o persone, ma piuttosto a qualcosa che sia più uno stato d’animo che una sensazione legata ad un contesto.

Se la vergogna si collega ad uno specifico ricordo, allora si tratta di un ricordo represso.

Acronicità e cronicità si trovano in uno spettro con molte gradazioni tra i due estremi e possono fluire più o meno facilmente dentro e fuori l’una dall’altra. Ciò è rappresentato dall’asse orizzontale nel disegno di prima.

L’asse verticale è psicologicamente più complesso. Le due modalità di temporalità qui rappresentate sono in grado di creare alcune delle pieghe più profonde nel tessuto della temporalità e possono spiegare la vergogna provata da un punto di vista inaspettato e impersonale o trans generazionale.

Le due temporalità sull’asse sono composte da una complessità di simultanee linee temporali. Diventare completamente consapevoli di esse richiede l’osservazione ed il ricordo dei propri sogni e fantasie cioè i temi e le trame nell’inconscio.
L’estensione verso l’alto di questo asse al di sopra della linea orizzontale consiste in una modalità di temporalità psicologica che Jung ha chiamato ”sincronicità” intendendo con questo termine “corrispondenze acausali che consistono in una disposizione parallela dei fatti nel tempo” (Adler, p.46).

La sincronicità si manifesta in una sorprendente e inaspettata ma significativa convergenza di sequenze cronologiche tra:
a) il mondo interiore della psiche e il mondo esterno degli oggetti materiali
ovvero tra:
b) due sequenze parallele causalmente non connesse nel mondo materiale
(per discussioni dettagliate vedi Atmanspacher, Cambray, Connolly, Jung 1952/1969, Main, von Franz 1974, Yiassemides).

La sincronicità crea una piega nel tessuto della temporalità che unisce due linee del tempo separate.

La vergogna può o non può avere un ruolo importante in questa modalità di temporalità. Poiché non c’è connessione causale tra le sequenze, nessuna colpa può essere derivata specificamente da questa piega nel tempo: é piuttosto attribuibile prettamente al caso, forse non a un caso del tutto arbitrario, come aveva ipotizzato Pauli (Pauli, p. 127), ma pur sempre “il caso”.

Sull’estensione verso il basso dell’asse verticale si allunga la temporalità psicologica che io chiamo “discronicità” ovvero il contrario della sincronicità, una specie di “temporalità-ombra”: due sequenze parallele nel tempo sono esperite e vissute simultaneamente ma non come convergenti.

La vergogna si ritrova con frequenza in questa modalità temporale, ma spesso non come emozione personale.
La coppia di modalità di temporalità “acronicità-cronicità”

A. Acronicità

L’universo inizia da uno stato di oggettiva acronicità. Questo è ciò che precede il Big Bang, quando il tempo non esiste (Stein 2016, p.3).

La caratteristica cronologica della realtà è assente nella modalità di temporalità. È una specie di spazio solo per Dio, che nel libro mazdeano della Genesi, per esempio, si chiama “il tempo illimitato … il luogo e dimora di Ōhrmazd. Alcuni lo chiamano la Luce infinita … Il Tempo dell’indumento [di Ōhrmazd] è infinito” (Corbin, 121).

I miti della creazione raccontano il momento in cui il mondo nacque come avvenuto in illo tempore, “in quel tempo” (Eliade 1958/1968, p. 395).

In effetti, l’acronicità è in generale la modalità della temporalità nel mito. Il mito non è contenuto nel tempo cronologico, ma piuttosto contiene una caratteristica simile al tempo, come una specie di “coerenza interna”.

Essenzialmente, il mito è sincronico in quanto non richiede
consapevolezza storica o contesto per essere significativo.

Piuttosto, il mito si erge da solo come “icona costante”,
come osserva Blumenberg: “La costanza iconica è il più caratteristico elemento nella descrizione dei miti. La costanza dei suoi contenuti di base consente al mito di apparire, incorporato come elemento “erratico”, anche in contesti tradizionali di un diverso genere … La sua robustezza ne garantisce la diffusione nel tempo e nello spazio e l’indipendenza dalle circostanze contingenti del luogo e dell’epoca.

In Greco “raccontare un mito” significa raccontare una storia che non è datata né databile e perciò non può essere confinata in una cronaca qualunque e che compensi questa mancanza con l’essere “significativa in sé” (Blumenthal, p 149).

Mentre i miti esistono essenzialmente nella temporalità acronistica, entrano nella cronicità attraverso l’essere raccontati, ascoltati e ricordati, prendendo così il loro posto nelle narrazioni personali, storiche e culturali e come tali potendo generare vergogna culturale o collettiva come nel caso del “Peccato originale”.
D’altra parte, i rituali sono in grado di trasformare il tempo cronologico in tempo mitico acronico, in illo tempore , perché il rituale, ad esempio una danza, “è una ripetizione,
e di conseguenza una re-attualizzazione, di illud tempus, di quei giorni “ (Eliade 1959, pp.28-9).

“All’inizio …” (Genesi 1: 1), la frase di apertura della Bibbia, non lascia spazio per una descrizione della realtà prima dell’inizio. La Bibbia inizia con la “creazione di tempo”.

Il tempo reale non esisteva prima che esistessero oggetti nello spazio. Il tempo è funzione del ritmo regolare di movimenti di oggetti in relazione tra loro nello spazio. Al momento della creazione, il flusso continuo del tempo reale può iniziare perché gli oggetti ora esistono. Jung la mise come segue: “Se non c’è corpo che si muove nello spazio, là
può anche non esserci tempo … “(Adler, p.45). Solo il Divino esiste al di fuori del tempo e dello spazio, in illo tempore, nel tempo e nello spazio mitico o immaginario.

La Divinità dimora entro una temporalità sincronica, dove è un eterno presente.

Anche ciò si applica al regno della pura psiche, come scrive Jung in una lettera: “Come nel mondo psichico non ci sono corpi che si muovono nello spazio, non c’è neanche il tempo.
Il mondo archetipo è eterno, cioè, fuori dal tempo…” (Adler, p.46).
Nel racconto biblico dell’inizio, il senso umano del tempo vissuto da Adamo ed Eva rimane mitico, o acronistico, anche dopo che i sei giorni della creazione sono stati debitamente contati ed essi hanno preso il loro posto nel Giardino dell’Eden.

Questo indica la differenza essenziale tra la temporalità psichica umana e il tempo obiettivo o “reale”. Adamo ed Eva non esistono in ciò che riconosciamo come cronicità psicologica, cioè, con un’accezione del tempo che passa continuamente dal presente al futuro e con una storia che si accumula nella sua scia, perché essi vivono in un rincorrersi eterno del giorno e della notte senza cambiamenti e sviluppi significativi.

Inoltre, camminano e parlano facilmente e regolarmente direttamente con Dio, quindi non c’è divisione tra il mondo psichico umano e il mondo divino archetipico.

La temporalità cronologica non è ancora iniziata. Mentre si trovano nel giardino dell’Eden, Adamo ed Eva vivono nell’ acronicità psicologica e fin quando perdura questa situazione sono senza vergogna.

La Storia (cioè la cronicità) inizia solo dopo la “caduta” e l’espulsione dall’Eden cioé solo dopo che il tempo reale ha iniziato a scorrere scorrere, con la consapevole accumulazione lineare del ricordo di eventi, sviluppi e cambiamenti.

Nello sviluppo del senso cosciente del tempo di un individuo questo tipo di temporalità prevale nella coscienza fetale e anche nel periodo dell’infanzia.

Nella modalità di acronicità psicologica le esperienze sono registrate individualmente, ma poiché la memoria non è ancora in gioco, rimangono scollegate l’una dall’altra o dai
contesti in cui hanno avuto luogo. Nelle neuroscienze questo fenomeno è chiamato “coscienza semantica” (Hinton, p. 363): si tratta di momenti registrati ma non legati insieme dalla memoria in una narrazione continua.
Se le persone vivono abbastanza a lungo e cadono in determinate patologie neurologiche come la demenza possono “finire dove hanno cominciato”, ossia ritornare nella modalità temporale di cronica “acronicità”.

Ricordo vividamente in un reparto di assistenza per dementi la scena in cui due uomini anziani erano seduti su una panca fissando placidamente davanti a sé lo spazio tra di loro. Dall’altra parte del corridoio, ben visibile, c’era un orologio che ticchettando mostrava il tempo.

Lentamente le lancette si spostarono sul quadrante del tempo da numero a numero. Era il primo pomeriggio di domenica. Gli uomini non si muovevano dai loro posti. Sembravano essere profondamente inconsapevoli del tempo passato, presente o futuro. Un cartello accanto all’orologio indicava che il pranzo veniva servito ogni giorno alle 11:30. Erano le 14:30, quindi presumibilmente i due uomini avevano mangiato e ora si stavano riposando in panchina.
I loro occhi erano spalancati, ma non si muovevano nemmeno per battere ciglio.

In qualunque stato di coscienza essi potessero essere in quel momento sembrava che non avessero alcuna relazione con il tempo cronologico.

Vivevano nella temporalità psicologica della perpetua acronicità senza alcun orologio o calendario in mente. La memoria non funzionava più per tenere assieme le esperienze. Vivevano in un eterno presente. La modalità temporale nella loro coscienza era simile al mito e all’infanzia, in illo tempore.

Nel corso di una normale vita sana, tuttavia, ci spostiamo costantemente tra la modalità acronica e il senso registrabile di un tempo cronologico.

Non siamo bloccati sull’acronicità da una carenza neurologica. Possiamo scorrere lungo la scala da una posizione sull’asse orizzontale a un’altra. Quando dormiamo, sogniamo ad occhi aperti, fantastichiamo, meditiamo o immaginiamo attivamente, quando fissiamo senza ragione uno spazio vuoto o odoriamo una rosa, siamo momentaneamente, in un grado o nell’altro, nella modalità temporale acronica.

In effetti, la maggior parte dei nostri giorni sono fortemente punteggiati da periodi di acronicismo e un attento esame della coscienza evidenzia che gran parte delle nostre vite sono passate in questa modalità.

Quando il tempo sembra sfuggirci o le ore sul quadrante dell’orologio appaiono drasticamente più vicine l’una all’altra e perdiamo traccia dell’ora, del giorno o dell’anno in cui ci troviamo noi ci troviamo in questa modalità o forse mezzo dentro e mezzo fuori di essa.

Generalmente, mentre siamo svegli noi scivoliamo tra acronicità e cronicità abbastanza facilmente e se lo vogliamo ci possiamo muovere lungo questo asse.

E’ possibile che le esperienze registrate all’interno della modalità di acronicità includano “macchie di vergogna”, ma di solito non è così.

Un’eccezione è rappresentata dalle persone fortemente integrate in un sistema di regole severe, spesso leggi e regole religiose che vietano severamente l’intrattenimento o certi pensieri o sentimenti.

Se questi ultimi emergono in momenti asincroni (fantasie, sogni, associazioni casuali) prima che possano essere repressi e relegati nel profondo dell’incoscienza, la vergogna si manifesterà. Per queste persone, la psicoterapia non è una soluzione perché esse, non potendo tollerare i loro affetti e pensieri oscuri, non potranno integrarli.

La paura della vergogna e del senso di colpa bloccano la strada. Il risultato netto è un conflitto nevrotico cronico.

B. Cronicità

Nel mito biblico, la cronicità psicologica inizia quando Adamo ed Eva sono esiliati dal Giardino dell’Eden e il facile fluire della conversazione tra le creature e il Creatore è interrotto.

L’esperienza del tempo cambia da una circolare ripetizione di facili cicli di soddisfazione dei bisogni all’infinito in una sequenza lineare di momenti in tempo storico che richiede uno sforzo intenso e una coscienza diretta per procedere dal
bisogno alla sua realizzazione, spesso con lunghe lacune di frustrazione in mezzo.

La memoria continua degli eventi e delle esperienze passati ora prende piede e forma una narrazione su come il mondo inizia a cambiare ed ad evolvere nella coscienza umana.

Le neuroscienze chiamano questo l’inizio della “memoria episodica” che si colloca per la maggior parte delle persone intorno all’età di quattro anni (Hinton, p. 364).

Un senso del futuro, compresa la consapevolezza della morte, prende il suo posto nella coscienza. L’inizio e la fine a loro volta rendono il loro posto nel tempo cronologico. Vivere con questo senso della temporalità è vivere nella modalità di cronicità.

Adamo ed Eva, avendo mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, lasciano l’Eden nella vergogna e ben presto conflitti e lotte di potere entrano nel quadro.

Inizia la normale vita umana.

L’invidia si addensa tra i loro figli, Caino e Abele, come una nuvola che offusca la legge. Il delitto e il castigo diventano caratteristiche della storia umana. Il marchio della vergogna resta inciso in modo indelebile sulla fronte di Caino, il fratello criminale, e diventa peculiare della sua identità.

I collegamenti causali tra passato e presente e le conseguenze e le responsabilità che comportano diventano la legge della vita nella modalità temporale della cronicità.

Ricordo chiaramente che avevo quattro o cinque anni quando mio padre mi insegnò a comandare il tempo.

Era una domenica di Pasqua, e prima di andare in chiesa, mio padre pastore mi ha dato una lezione sul tempo. Ha preso un orologio delle dimensioni della sua mano e mi ha mostrato come attivando il movimento dei puntatori potesse muovere il quadrante. Il puntatore piccolo mostra l’ora, disse, e il grande mostra il minuto. I numeri indicavano il tempo. Sapevo abbastanza del tempo per capire queste parole. Fino a lì, quindi tutto bene.
Girò il quadrante sul retro dell’orologio e armeggiò con le mani impostando l’orologio ad una certa ora e chiedendomi di dirgli che ora mostrava. Noi facemmo questo più volte, e presto ho capito. Orgogliosamente ho annunciato ai miei amici della Scuola della Domenica che ora avrei potuto comandare il tempo!

È stato un punto di svolta nell’apprendimento per me, un momento che non ho mai dimenticato, una parte permanente e costante della narrazione della mia vita. Da quando ho sentito che il tempo è mio amico, raramente perdo la nozione del tempo e non sono quasi mai in ritardo per riunioni e appuntamenti. Se sbaglio, io provo vergogna.

Ho un buon senso del tempo cronologico e vivo comodamente dentro questo tipo di temporalità.

Ma sono anche interessato alla storia che torna indietro nel tempo alle origini della cultura umana e persino agli inizi dell’universo, benchè io ponga me stesso in un preciso contesto storico e culturale. Forse per coincidenza, il ricordo della prima volta in cui ho provato vergogna risale circa alla stessa età.

Nel punto dello sviluppo psicologico in cui la cronicità fa presa permanente sulla coscienza, nella psiche avviene una separazione. L’ego emergente si separa dalla compagnia dell’inconscio e diventa sempre più una unità psichica a se stante, distinta dalle altre parti del mondo interiore.

In breve la psiche si differenzia e la repressione comincia a verificarsi. Le difese dell’ego iniziano a prendere forma e identità.

Questa nascita nella cronicità è una specie di seconda nascita dell’umana coscienza da cui deriva la consapevolezza stabile degli opposti come il bene e il male, l’innocenza e la vergogna, il successo e il fallimento e la vita e la morte.

Il tempo dell’ego ora diventa un tempo di cronicità e l’acronicità senza tempo della psiche diventa nascosta nell’inconscio e lasciata al mondo dei sogni e della fantasia.

Durante l’infanzia, l’acronicità viene ripristinata nel gioco e la creatività per tutta la vita continua a dipendere dal contatto con la capacità di giocare e quindi al rientro temporaneo nella modalità di acronicità.

In alcune culture, in particolare in quelle dell’est come il Giappone, la separazione dell’ego dall’inconscio è molto meno drastica e “più morbida”.

Il mito e la storia non sono così nettamente distinguibili e un normale senso di realtà può includere la fantasia in modo significativo che non sarebbe considerato adeguato in Occidente. La cronicità e l’acronicità sono più vicine l’una all’altra al punto da risultare in effetti in qualche modo un po’ intrecciate.
Qui sto seguendo le linee di pensiero poste giù da Hayao Kawai e Claude Levi-Strauss.

Vale la pena notare che il Giappone è conosciuto come una cultura della vergogna in contrasto con la cultura della colpa dell’Occidente.

L’antropologa Ruth Benedict ha fatto questa osservazione inizialmente nel suo classico lavoro The Chrysanthemum and the Sword.

Questa caratteristica della cultura giapponese sembra derivare dalla più stretta prossimità percepita dalla popolazione tra le modalità cronistica e acronistica della temporalità.

Alcune persone pensano che questo indichi in questa cultura un livello più basso o qualitativamente carente di sviluppo dell’Io perché la vergogna è maggiormente associata al primo sviluppo dell’ego, mentre la colpa segue un più avanzato livello di sviluppo dell’ego.

Ma in realtà la vergogna non può essere separata dal senso di colpa come se quest’ultimo fosse un prodotto di un maggiore sviluppo dell’Io.

Come vediamo nel racconto biblico della Caduta, la colpa precede davvero la vergogna e certamente entrambe fanno parte dello stesso pacchetto.

Infatti, è spesso il caso che il senso di colpa, come auto-giudizio interiore e condanna per qualcosa che si è fatto, produca un profondo senso di vergogna.

È stato anche spesso sostenuto che la colpa è più circoscritta rispetto a un singolo atto e in uno specifico contesto, mentre la vergogna si generalizza a tutta la personalità, ma di fatto la colpa spesso si spande oltre i confini finiti di un’azione colpevole e colpisce l’intero corpo della psiche, compreso l’inconscio.

Si vede questo fenomeno in dettaglio nel romanzo di Dostoevskij Delitto e castigo in cui Raskolnikov si giudica colpevole e da allora in poi inizia a provare vergogna atroce per ogni aspetto del suo essere.

Paul Ricoeur nota questo stesso sviluppo nel lavoro di Kafka: “Sentirsi maledetto non essendo stato maledetto da nessuno è il più alto grado della maledizione…” (Edelman, 19).

La vergogna è questa: “Il più alto grado della maledizione” e spesso deriva come conseguenza della colpa.

Si potrebbe forse dire che nelle culture della vergogna il passaggio dal senso di colpa alla vergogna accada più rapidamente, prevedibilmente e abbondantemente di quanto non avvenga nelle culture della colpa.

Questo può essere perché l’ego, che si assume la responsabilità per le azioni e quindi porta il senso di colpa, non è completamente isolato dal resto del sé. I confini tra
l’ego e l’inconscio sono più permeabili e quindi l’esperienza della vergogna è più immediata e totalizzante.

Tuttavia, ciò non esclude affatto l’esperienza della colpa.

La vergogna e il senso di colpa sono semplicemente intrecciati più strettamente.

Sia la vergogna sia il senso di colpa entrano prepotentemente nel quadro psichico quando vi si stabilizza la modalità di cronicità.

Nelle culture in cui la modalità della cronicità è molto poco dominante la vergogna può anche essere relativamente leggera o addirittura assente.

Questo aspetto potrebbe essere oggetto di ulteriori ricerche da parte della psicologia e dell’antropologia culturale: come in una persona la “coscienza semantica” si trasformi in “memoria episodica”, come si forma una memoria continua e come una narrazione unitaria prenda forma a partire da ricordi associati e collegati.

Naturalmente questa trama narrativa è in costante revisione durante la vita e in un certo senso dovrebbe essere aggiornata ogni mattina al risveglio dal sonno.
È anche soggetta a un processo di rivisitazione radicale a mano a mano che la vita di una persona passa attraverso le fasi dell’individuazione dall’infanzia all’adolescenza, età adulta, mezza età, vecchiaia e approccio alla morte.

Questo processo tuttavia non è così unitario e continuo come potrebbe sembrare a prima vista. Infatti, a un’analisi più attenta, appare pieno di buchi e lacune che vengono colmati di volta in volta con ciò che Jung ha chiamato Zurückphantasieren (retro-fantasticare, Laplanche e Pontalis, p.114) attraverso cui i sentimenti e le fantasie attuali vengono trasposti e “presi per” (=“ricordati come”) eventi passati. (iii)

In analisi, del resto, si fa un lavoro costante per dipanare e riavvolgere le narrazioni basata su nuove intuizioni e ricordi emergenti.

Il pericolo è che ciò diventi nient’altro che una forma sofisticata di retro-fantasticare, come è stato visto quando i terapeuti ostinatamente favoriscono o addirittura inseriscono fantasie vaghe dei pazienti come “ricordi” di traumi infantili nel presente delle loro narrazioni.

Naturalmente ciò non toglie che esperienze precoci e generatrici di vergogna e senso di colpa realmente assumano una loro caratteristica importanza nelle narrazioni della cronicità in crescita e in costante trasformazione.

Il senso della temporalità psicologica come cronicità è un orientamento assunto dalla coscienza con riferimento al mondo materiale che ci circonda e al nostro posto in esso.

Si tratta di una funzione chiave del “principio di realtà”, dell’ego. Questa modalità è una rappresentazione della temporalità nella coscienza come legge del tempo reale al di sopra delle temporalità interne o soggettive, che includono acronicità, sincronicità e discronicità.

Quando viviamo con una profonda attenzione all’orologio e al calendario e pensiamo a noi stessi in relazione alla storia, personale e collettiva e ci poniamo essenzialmente all’interno di questi contesti, viviamo in un mondo in cui la cronicità è il re.

L’ego, orientato dalla cronicità, è il sole attorno al quale ruotano tutte le altre temporalità.

Lo sviluppo in questa direzione inizia presto nella vita e perdura fino a quando uno rimane sano di mente.

I test di stato mentale considerano questo aspetto una caratteristica fondamentale della sanità mentale.

La psicosi è una rottura nel dominio della cronicità nella coscienza, quando altre forme di temporalità prendono il sopravvento e l’ego perde la sua centralità.

In seguito fattori soggettivi come sentimenti, pensieri e fantasie assumono il predominio e con essi arrivano altre modalità di temporalità come acronicità (demenza), sincronicità (paranoia) e discronicità (dissociazione) per rimpiazzare la presa dell’ego sulla cronicità e sul tempo reale.

Il senso del mondo e della vita come strettamente determinati dalla cronicità rappresenta un grande vantaggio per l’umanità e implica il senso della vita umana come crescita e fine.

Siamo consapevoli dell’inevitabilità della morte e controlliamo più attentamente la nostra età a mano a mano che aumentano le probabilità della fine della nostra storia personale.

Questa modalità della temporalità psicologica introduce e contiene nella coscienza vergogna e senso di colpa insieme alle quali compaiono necessariamente l’etica e l’elaborazione di regole morali.

L’etica dipende dalla consapevolezza delle relazioni oggettuali e della causalità nel tempo e nello spazio.

La cultura umana dipende dalla cronicità psicologica in quanto potente elemento che domina effettivamente la coscienza. In un certo senso, un’acuta consapevolezza della vergogna è il prezzo che dobbiamo pagare per la cultura.

La coppia di modalità di temporalità “sincronicità-discronicità”

C. Sincronicità

Il tipo di modalità temporale che Adamo ed Eva vivono nel giardino dell’Eden è acronico (mitico), ma è anche sincronico: in Eden, c’è completa armonia tra offerta e domanda, tra bisogni interiori e soddisfacimento esterno, tra psiche e mondo.

Questo è il modello archetipico della modalità temporale di sincronicità, quando cioè interiore (psiche) ed esteriore (mondo oggettivo) sono in una relazione armonica e sintonica.

In questo stato di coscienza, non c’è senso di vergogna.

La sincronicità in sé è senza vergogna, ma se uno stesso desiderio interiore è ripreso nella cronicità della normale esperienza di vita dell’ego e considerato in una luce diversa, magari etica, potrebbe assumere un aspetto di vergogna.

La sincronicità si riferisce ad una possibilità che si presenta contemporaneamente nel tempo interiore (come immagine, pensiero, sentimento) ed esteriore (come oggetti, materiali, creature) il cui significato oggettivo si rivela nell’evento (Jung 1952/1969).

È una coincidenza e significativa confluenza di psiche e materia, interiore ed esteriore, temporalità soggettiva e oggettiva.

Il tempo della psiche, conscia o inconscia, e il tempo degli eventi nel mondo oggettivo semplicemente per caso coincidono significativamente.

Due linee temporali in questo caso si intrecciano dentro la coscienza come una sola.

Erich Neumann scrive sull’infanzia in termini che implicano questo stesso tipo di sintonia tra mondi interiori ed esteriori.

Il feto mentre è contenuto nell’utero materno trascorre questo stadio della vita in uno stato di acronicità.

Dopo la nascita, gradualmente, passa in quello che più tardi tra le braccia e al seno [della madre] diventa una prefigurazione dello stato sincronistico: “Questa esperienza infantile … è l’incarnazione ontogenetica della realtà unitaria primaria in cui i mondi parziali di fuori e dentro, mondo oggettivo e mondo psichico non esistono … In questa fase c’è una unità primaria di madre e bambino “(Neumann, 11).

Qui la natura facilita lo stretto coordinamento dei tempi tra bisogno e soddisfazione, in quanto gli atti di alimentazione della madre e il bisogno di essere nutrito del bambino sono sincronizzati per coincidere, più o meno bene.

L’interno trova riscontro dall’esterno quando la madre risponde in modo tempestivo alle grida infantili. Questo è un prototipo personale di temporalità come sincronicità: psiche e mondo sono in uno stato di sintonia. Per lo sviluppo, questo è un stato di transizione che conduce dall’acrononicità alla cronicità, ed è, come per i Genitori Originali, senza vergogna.

Comunque anche in questa fase di sviluppo può verificarsi un’esperienza precoce e preverbale di vergogna se il bisogno espresso dal bambino non è soddisfatto o il rispecchiamento della madre non riesce a soddisfare il suo sguardo.

Edelman, riferendosi al lavoro di Kaufman, scrive: “Il guardare il viso è … la prima forma di comunione. Se durante questa attività le aspettative fondamentali non sono soddisfatte, la vergogna è costellata” (Edelman, 29).

Dal momento che ciò si verifica all’interno della modalità temporale psicologica di acronicità, non viene portato avanti nel tempo e intessuto nella narrazione della memoria.

Rimarrà semplicemente un’esperienza di vergogna non associata a un tempo o a un luogo e poiché manca il contesto sarà simile a quello che Bion ha chiamato “elementi beta”, che non vengono metabolizzati psicologicamente.

Se ripetute abbastanza spesso, queste prime esperienze di
vergogna possono diventare la base per un senso generalizzato di vergogna o “colpa di fondo” (Balint), nel senso del sé.

Una ferita primitiva che non guarisce e crea un tono di fondo di vergogna, liberamente fluttuante, che più avanti nella vita pervaderà gli stati d’animo della persona.

Può diventare ciò che Jung chiama un “complesso”, un complesso di vergogna, attribuibile alla rottura delle coincidenze sincronistiche nel processo iniziale di sviluppo tra interno ed esterno, bambino e madre, bisogno e soddisfazione.

L’esperienza di sintonia che viene fuori dall’accoppiamento sincronistico tra bambino e madre è oggettivamente significativa in quanto sostiene la sana sopravvivenza della specie.

I beneficiari di una madre “sufficientemente buona” sono più adatti di quelli che non hanno avuto questa esperienza.

Ciò getterà le basi per sperimentare in futuro ottimismo e fede, qualità della mente che sono buone per evolvere in età adulta.
Questa esperienza fondamentale di sintonia durante l’infanzia riflette l’archetipo edenico ed è un modello personale per le successive esperienze di sincronicità.

Le successive esperienze di sincronicità, che avvengono e sono registrate in memoria dopo che l’ego è stato formato e i mondi interiore ed esteriore sono stati separati, mostrano in modo significativo coincidenze simili tra necessità e soddisfazione, mondo interno ed esterno.

La sovrapposizione delle cronicità, interiore ed esteriore, che si ritrova nella modalità temporale della sincronicità porta anche la percezione del significato trascendente di un momento specifico nel tempo.

L’esperienza della temporalità come sincronistica è quindi a volte indicata come un “tipo di tempo” elevato o spiritualmente significativo rispetto a chronos, il tempo sequenziale ordinario.

Hinton riporta Andre Green quando scrive di “Momenti di sfondamento della temporalità … o tempo esploso … in cui le restrizioni del tempo sono esplose ed emerge un insieme più aperto della vita psichica” (Hinton, p.358).

Questa è una bella descrizione poetica della sincronicità come modalità temporale.

Connolly descrive diverse di tali esperienze sincronistiche in ambito clinico in termini simili (Connolly, pp. 167 sgg.).

Su un piano più mitologico, Von Franz scrive di questo fenomeno che “… kairos significa il giusto ordine nel tempo. L’associazione di kairos con le dee che tessono il tempo allude … all’idea di un Campo in cui connessioni significative sono intrecciate come fili di un tessuto” (Von Franz 1974, 256).
D. Dischronicità

Dato che il conscio e l’inconscio nella psiche umana ad un certo punto dello sviluppo psicologico si separano, c’è una forte possibilità che i tempi tra loro si disconnettano.

Questa è la tipica condizione nevrotica con cui solitamente ci confrontiamo in analisi: invece di sperimentare nella coscienza semplicemente uno stato di cronicità o di acronicità o di sincronicità , prevale sottilmente o palesemente uno stato di discronicità.

Due diversi programmi temporali, invece di cadere “insieme” come nella sincronicità, formano una sequenza parallela sconnessa e creano una mancata corrispondenza di temporalità nella psiche, rimanendo separati e spesso scollegati nella coscienza.

Nella psiche si verifica una contraddizione tra un aspetto della temporalità e l’altro, con il risultato che si produce una sorta di distonia, una mancanza più o meno grave di coordinamento nel sistema di temporalità nel suo insieme.

Si crea una profonda piega nella trama della temporalità, che può essere registrata nella coscienza o no. Quando essa diventa consapevole, è possibile lavorare in analisi su questo conflitto o dissociazione che sia.

Per anni sono stato affascinato da un passaggio autobiografico di Jung nel suo lavoro “Ricordi, sogni, riflessioni”, dove racconta l’esperienza di vivere allo stesso tempo dentro due secoli diversi, il 17° e il 20°.

“Era tempo di guerra. Ero sul fronte italiano e tornavo in prima linea con un piccolo uomo, un contadino, nel suo carro trainato da cavalli … Abbiamo dovuto attraversare un
ponte e poi passare attraverso un tunnel … Arrivando alla fine del tunnel ho visto davanti a noi un paesaggio assolato, e ho riconosciuto la regione circostante Verona … La strada ha attraversato la bella campagna primaverile … Poi, diagonalmente dall’altra parte della strada, ho visto un grande edificio, un maniero di grandi proporzioni, un po’ come il palazzo di un duca del Nord Italia … Il piccolo cocchiere e io stesso guidammo attraverso un cancello, e da qui potemmo vedere attraverso un secondo cancello all’estremità, il paesaggio illuminato dal sole …. Appena abbiamo raggiunto il centro del cortile, di fronte all’ingresso principale, accadde qualcosa di inaspettato: con un rumore sordo, entrambi i cancelli si chiusero. Il contadino balzò giù dal suo posto ed esclamò: Ora siamo bloccati nel diciassettesimo secolo.

Ho pensato rassegnato: Bene, così è: punto e basta! Ma che ci stiamo a fare? Ora saremo fermi qui per anni. Quindi mi è venuto in mente un pensiero consolante: Un giorno o l’altro, uscirò di nuovo”.

Non molto tempo dopo mi resi conto che il sogno si riferiva all’alchimia, dato che quella scienza raggiunse il suo apice nel diciassettesimo secolo. (Jung / Jaffe, pp.202-3)

Questo sogno riflette uno strano sdoppiamento nel senso di temporalità di Jung, forse anche un vero e proprio disturbo, e riecheggia la sua sensazione d’infanzia di vivere con due personalità: la prima nel tempo presente e la seconda nel 17° secolo (Jung / Jaffe, pp. 23-83).

Al tempo di questo sogno (1926) Jung, nella sua vita di veglia era un uomo di mezza età del ventesimo secolo, di grande successo professionale e familiare, mentre nel suo sogno ripiega nel tempo dalla prima guerra mondiale fino a bloccarsi alla fine nel 17 ° secolo.

Ciò rappresenta un grande divario tra la temporalità vissuta nella vita cosciente di tutti i giorni , al ritmo costante di un affidabile orologio svizzero e la temporalità del suo inconscio rivelata da questo sogno impressionante, un incongruente sdoppiamento del suo senso dell’identità temporale in due cornici temporali apparentemente disconnesse.

Temporalità interna ed esterna sono enormemente discrepanti. Inizialmente si tratta di uno stato distonico e totalmente scoordinato. Più tardi diventerà estremamente significativo.

Questo particolare sogno, che potrebbe aver avuto una lunga preistoria nel suo inconscio come indicato nei suoi ricordi di un’infanzia con due personaggi separati nel tempo da secoli, impressionò profondamente il maturo Jung e lo guidò verso il senso di una missione che avrebbe richiesto anni per essere completata.

Anche in età avanzata (v) Jung ha lavorato duramente per riconciliare queste due temporalità sovrapposte nella sua identità. Era una discrepanza che faceva la differenza.

Si possono trovare molti esempi di discronicità nella letteratura e nella vita. La nostalgia ad esempio è una forma di discronicità, se portata all’estremo di vivere contemporaneamente in due tempi.

William Faulkner fu un maestro nel narrare di questa condizione psicologica che trovò ben rappresentata nel “vecchio sud” americano dove molta gente ha continuato a vivere a lungo ben dentro il ventesimo secolo “i giorni del vino e delle rose” del periodo precedente la guerra civile.

Il Don Chisciotte di Cervantes offre un esempio umoristico e commovente di un personaggio che vive in due temporalità contemporaneamente, il suo tempo attuale e mondano e le romantiche giornate di cavalieri e dame di secoli prima.

Come Jung, vive in due diverse temporalità. A differenza di Jung, non riesce a riunirle in modo significativo, se non alla fine, distruggendo la sua illusione.

Un esempio da film è la meravigliosa commedia di Woody Allen, Midnight in Paris.

Il protagonista di giorno vive nel ventunesimo secolo e di notte si ritrova nella Parigi degli anni Venti, dove le sue avventure sono molto più colorate e in armonia con la sua vita diurna. La pellicola risolve brillantemente il conflitto prodotto dalla discronicità.

Un esempio di discronicità dai manuali di psicopatologia è la parafilia nota come autoneplofilia o “sindrome del bambino adulto”.

Qui una persona nel corpo di un adulto sceglie contemporaneamente di rimanere nella psiche di un bambino. Il senso di temporalità dell’ego è vissuto assieme dall’adulto e dal bambino. (vi)

Un’altra forma di questo conflitto è il rifiuto di accettare l’invecchiamento del corpo.

I chirurghi estetici prosperano su questa discronicità psicologica. Le persone vivono due vite: una in un corpo che invecchia e un’altra nel corpo cosmetico di una psiche giovanile. Questa discrepanza può portare a episodi di vergogna spasmodica perché le immagini di fantasia di sé e la realtà del proprio corpo non coincidono. Così la vergogna si intreccia nel tessuto della temporalità attraverso la discronicità.

Nella pratica analitica potremmo imbatterci nel fenomeno della discronicità addentrandoci nell’inconscio e scoprendo complessi autonomi al lavoro nella psiche.

Viktor, uno svizzero di metà degli anni Cinquanta, mi ha raccontato un sogno all’inizio della sua analisi.

Ha detto che ha sognato di essere attaccato da un gruppo di selvaggi nativi, primitivi, in un lontano paese straniero. Ciò è avvenuto in quello che sembrava un altro secolo. Lui stava viaggiando in una carrozza trainata da cavalli attraverso una zona desertica con poche altre persone quando improvvisamente si sono accorte di un gran numero di uomini minacciosi, appostati sulle creste sopra di loro, che si preparano ad attaccarli.

Lui si svegliò in preda al panico descrivendomi questo incubo “di essere attaccato” come simile ad altri che aveva vissuto in passato.

Non aveva associazioni particolari con gli attaccanti primitivi o con l’ambientazione del sogno, a parte qualche film né nulla nel suo passato recente gli aveva suggerito un’immagine come questa.

Non c’era uno specifico “residuo” degli accadimenti dei giorni precedenti.

Era un sogno strano e sconcertante, ovviamente simbolico: ho pensato a un transfert anche se questo non si adattava a nulla di ciò che avevamo sperimentato fino a quel punto precoce dell’analisi, ma ho ritenuto che fosse un segnale di possibili problemi futuri.

A questo punto era come se questo sogno appartenesse a un’altra persona, in un altro tempo e luogo, e senza alcun collegamento con il sognatore, un uomo europeo che non aveva mai viaggiato così attraverso siffatte aree del mondo.

C’è stata una disgiunzione del tempo tra la sua coscienza di veglia e la scena del sogno, come se fosse successa in un secolo precedente e in un altro io.

Il sogno mostra una grande discontinuità tra la vita cosciente del sognatore nel presente, dove vigono le normali regole di cronicità e dove egli appare opportunamente orientato alla realtà e generalmente competente nelle sue varie attività, e la sua vita interiore nella temporalità dell’inconscio che opera nel tempo psichico.
Due distinte e divergenti temporalità “fanno girare i loro programmi”, una nella sua vita presente e l’altra lontano nel passato delle generazioni precedenti.

Come ulteriori analisi hanno rivelato, questo stato di dissociazione si è formato in seguito a molti traumi della prima infanzia, in gran parte separati dalla sua coscienza egoica e nascosti dietro la sua identità sociale di marito, padre e attivo uomo d’affari del ceto medio superiore.

Di fatto, Viktor viveva in una struttura psichica che era severamente scoordinata tra il suo tempo “egoico” e il suo tempo “inconscio” e i suoi complessi.

Da bambino, non si era mai sentito al sicuro per una varietà di ragioni e così le sue difese, allora come ora nell’età adulta, erano ipervigilanti e sempre pronte a proteggerlo dagli abusi e dagli attacchi.

La scena inconscia di essere sotto attacco rappresentava vividamente le difficoltà che lo avevano portato in analisi: attacchi esplosivi e improvvisi di rabbia difensiva, violenti
reazioni a provocazioni lievi o immaginarie, angosce dirompenti di natura irrazionale e frequenti rotture nelle relazioni intime.

Le immagini dei sogni raffigurano un complesso a tonalità affettiva dissociata con le solite polarità: da un lato una vittima attonita e innocente e dall’altro aggressori abusanti.

Questa scena si sarebbe ripetuta nella vita di Viktor con regolarità inquietante.

L’attivazione di un complesso implica che gli eventi passati possono improvvisamente oscurare il presente nella vita emotiva di una persona e spesso generare molto sovraccarico e reazioni inappropriate.

Nella vita di Victor questo sarebbe potuto accadere quando un cameriere accidentalmente avesse rovesciato una tazza di caffè o la cameriera non avesse pulito il suo bagno correttamente.

In questi casi, il complesso avrebbe determinato una scarica emotiva quantitativamente appropriata in una situazione estrema come la scena raffigurata nel suo sogno.

Improvvisamente, la cronicità avrebbe ceduto il posto alla discronicità e quello che era semplicemente un incidente o una svista sarebbe stato interpretato come un attacco mortale.

Col tempo, i suoi sogni divennero più esplicitamente rilevanti per la vita presente di Viktor ai fini di reazioni emotive a situazioni nel presente più in sintonia con la temporalità effettiva.

I due sistemi di temporalità hanno cominciato a convergere e una migliore modulazione delle emozioni potrebbe diventare un obiettivo raggiungibile.
I traumi dell’infanzia divennero ricordi e potrebbero essere ampiamente integrati nelle sue narrazioni autobiografiche.

La discronicità è stata ridotta, un senso di cronicità di routine nella vita di veglia è stato rafforzato e la sincronicità potrebbe emergere sotto forma di una significativa armonizzazione tra psiche e realtà nella sua vita di tutti i giorni.

Un importante effetto collaterale di questa graduale integrazione è stato che effettivamente il senso di vergogna
si sviluppò e divenne più forte a mano a mano che la temporalità presente sostituiva la discronicità.

Gli scatti di rabbia non erano più inappropriati in quanto dissociati e quindi potevano essere riconosciuti. Non appena la cronicità ha sostituito la discronicità, la vergogna è entrata nel campo psichico e ha portato alla possibilità di scuse e di riparazione.

Da ciò vediamo di nuovo che la vergogna è legata alla temporalità intesa come cronicità.

Un altro caso di discronicità, simile a quello di Viktor per alcuni aspetti, ma considerevolmente più severo e doloroso, era quello di Gertrude, una analizzanda tedesca sessantenne molto sensibile.

La parte rilevante della sua storia è che lei aveva precedentemente deciso di esplorare una forma di intensa terapia di regressione che l’aveva lasciata con una rottura del senso di sé dalla quale non poteva riprendersi.

Quello che aveva “ricordato” e potentemente esperito in quella terapia fu il trauma di essere ebrea in Germania al tempo del nazismo e di essere stata mandata con la giovane figlia in un campo di sterminio.

Lì le avevano separate e Gertrude aveva saputo che la ragazza era stata violentata e brutalmente assassinata. Sebbene fosse sopravvissuta al campo per uno scherzo del destino, era rimasta completamente svuotata e non sapeva come continuare la sua vita di fronte a tanto lutto e dolore. Quando Gertrude venne a trovarmi, era ancora impantanata in una profonda depressione. Sentiva che la sua vita era stata irrevocabilmente cambiata dall’esperienza di una “vita passata”.

Lei viveva in due tempi : nel presente, era una tranquilla professionista abbastanza agiata con una bella famiglia; nel passato era la devastata sopravvissuta da un campo di sterminio.

Il senso di questo tragico e orribile passato gettava la sua ombra su tutto il suo presente. Era depressa, ansiosa e senza speranza per qualcosa di positivo nel futuro. Stava soffrendo per il ricordo di una vita che non era la sua, almeno non nella modalità di temporalità della cronicità.
L’aspetto rivelatore di questo caso di discronicità era che nelle generazioni precedenti i suoi genitori e nonni erano stati complici dell’Olocausto.

Sebbene la loro partecipazione agli eventi di quei tempi fosse stata in gran parte indiretta, la colpa collettiva per ciò che era accaduto “li infettò”, ma in gran parte a livello inconscio.

Quindi non potevano parlarne anche se avessero voluto farlo. Oggi i terapeuti riconoscono gli effetti della “trasmissione transgenerazionale del trauma” (Schellinski), e questo era un caso del genere.

Il paradosso era che la trasmissione di colpa collettiva, ereditata da Gertrude come un “complesso culturale” (Singer e Kaplinski), era stata invertita in modo che ora lei provasse la sofferenza delle vittime piuttosto che la colpa degli autori.

La vergogna e il senso di colpa erano stati trasformati nell’opposto, in sofferenza innocente, non per sfuggire in primo luogo alla vergogna, a mio parere, ma per espiare la colpa culturale soffrendo “per colpe di altri”.

Questo era il significato della discronicità in questo caso. Gertrude doveva sopportare le sofferenze inflitte alle vittime dalle precedenti generazioni di perpetratori.

La discronicità dimorava stabilmente nella sua coscienza e nessuna quantità di analisi regressiva avrebbe potuto rimuoverla. Doveva sopportarla come se fosse la sua sofferenza, a cui si aggiungeva l’ombra della colpa di essere sopravvissuta da quando era sfuggita all’esecuzione. Guardare alla sua sofferenza da questo punto di vista le avrebbe permesso di cercarne il significato per se stessa e per la sua generazione.

Conclusioni

Lo schema seguente mostra le quattro modalità di alimentazione della temporalità nella consapevolezza dell’ego.

Come “centro di coscienza”, l’ego può registrare le quattro modalità e con la maturità è in grado di contenerle e includerle in una narrazione coerente.

Jung per esempio nella sua autobiografia “Ricordi, sogni, riflessioni” include nella narrazione tutte e quattro le modalità.

Ai fini di ulteriori analisi, ho assegnato un valore numerico a ciascuna delle modalità che può assumere la temporalità come segue:

– La pura “acronicità” (Achronicity) corrisponde al valore di Zero, indicando l’assenza di “coscienza cronologica” in questa modalità;
– la modalità di “cronicità” (Cronicity) è data al valore di Uno, a significare piena coscienza del tempo cronologico come un flusso unico di eventi dal passato al presente al futuro;
– la modalità di “sincronicità” (Syncronicity) è assegnata al valore numerico di “Uno al quadrato”, cioè di nuovo “Uno”, ma con due cronicità parallele “intrecciate” in un singolo momento di tempo cronologico;
– la modalità di “discronicità” (Dyschronicity) ha il valore di Due, che indica due temporalità che corrono in parallelo ma separate nella psiche.

Al centro, ossia all’interno della coscienza dell’ego consapevole di tutte e quattro le modalità rappresentate da questi numeri, i valori si sommano al numero Quattro.
L’ego è anche il contenitore di qualunque vergogna che macchia il tessuto della narrazione personale.

Queste macchie possono derivare:
– dalla prima infanzia preverbale o da altri periodi di “pura acronicità” nella vita (nello schema l’asse dell’acronicità);
– da esperienze nella memoria cronologica della persona (l’asse della cronicità);
– da fonti transpersonali (l’asse della sincronicità) e infine …
– … da quanto trasmesso tra le generazioni (“transgenerazionale”: l’asse della discronicità).

L’agenzia centrale della coscienza raccoglie e combina tutte queste “macchie di vergogna” nella narrazione “totale” della storia della persona: questa sarà una persona che ha affrontato l’Ombra e sarà in grado di portarla dentro la sua coscienza.

Rimane il problema della completa integrazione delle quattro modalità in cui si può presentare la “temporalità”: l’ego infatti è in grado di averne contezza e di rifletterci sopra, ma non è in grado, di per sé, di integrarle.

Integrazione significa “unificazione” o ciò che Jung nei suoi ultimi scritti sull’alchimia ha chiamato “Congiunzione” dalla frase latina mysterium coniunctionis ovvero “Sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell’alchimia”, il titolo del suo ultimo grande lavoro.
Per l‘ unificazione o Congiunzione, è necessaria un’istanza psichica (agency) più grande e potente, in grado di abbracciare gli opposti, cioè le due coppie di modalità della temporalità concependole come sfaccettature della singola unità di una struttura superiore.

Nel suo “racconto onirico” Lezione di piano Wolfgang Pauli simboleggia questo tipo di profonda integrazione con il “ring i” d’oro, che gli viene presentato dalla sua insegnante di sesso femminile.

È un mandala che circonda il simbolo matematico “i”, un’unità immaginaria che apre nuove dimensioni all’interno di campi matematici in modo tale possano essere creati nuovi “numeri complessi”, combinazioni di numeri reali e immaginari.

Il simbolo “i” è una sorta di unificatore magico di opposti, corrispondente in termini alchemici alla “forza sintetrizzatrice degli opposti” del Mercurio.

L’anello dorato “i” trasforma il centro dell’identità, precedentemente occupato dall’ego e sostituisce il dominio della temporalità cronologica con un’unione sintetica di tutte e quattro le modalità.

“Rende il tempo un’immagine statica”, esclama Pauli alla sua insegnante (Pauli, p.134), con riferimento al simbolo i.

In altre parole, trascende la temporalità.

È un simbolo del sé, l’istanza centrale di tutta la psiche nel suo complesso e in quanto tale sovraordinato all’ego.

Questo diagramma (sotto) illustra la costellazione del sé e rappresenta il posizionamento dell’asse ego-sé all’interno della coscienza.

Ciò introduce l’ ”atemporalità” nella coscienza accanto alle modalità che può assumere la temporalità.
Marie-Louise von Franz conclude il suo libro Time, Rhythm and Repose con la stessa percezione: “… dal Dio senza tempo scorre il flusso di grazia che crea un sempre presente
Ora, perché Dio sia simultaneamente immobilità e flusso eterno “ (Von Franz 1978, p. 31).

Von Franz mostra i livelli di temporalità e la loro disposizione in questo diagramma, che indica anche lo spostamento dell’io dal centro alla periferia mentre il sé assume la posizione del centro o “sole”:

Ego-time è la cronicità nella sfera personale.
Il tempo aeonico è la cronicità estesa a quadri più ampi di tempo cronologico, che sono chiamati Eoni, come l’anno platonico composto da 2.000 anni.
Illud Tempus è il tempo mitico e quindi sincronico, la struttura in cui gli archetipi risiedono ed eseguono la loro volontà creando “sincronicità” nel tempo reale.
Il centro senza tempo è il sé equivalente a Ring “i”, dove il tempo diventa “un’immagine statica”.

Come tale, il sé è un’istanza psichica trascendente oltre le temporalità ma con un impatto creativo sul tempo mediante l’innesco di fenomeni sincronici (“atti di creazione nel tempo”) attraverso le varie agenzie archetipiche minori.

Il simbolo dell’ Anello “i” include il riconoscimento di aspetti reiproci tra ego e sé tali da consentire loro di interagire in modo dinamico e guidare un processo evolutivo nella coscienza umana.

Qual è l’effetto della costellazione dell’asse ego-sé rispetto alle macchie della vergogna sul fazzoletto della temporalità?

Finché la coscienza è dominata esclusivamente dalla temporalità, in una qualsiasi delle sue quattro modalità, la vergogna persiste, sebbene nella modalità di “acronicità pura” possa tendere a sbiadire nel vuoto lasciato dall’assenza di memoria.

Ma partendo dal presupposto che le quattro modalità rimangano intatte e siano sussunte nel sé-costellazione (ossia l’ Anello “i”) cosa succede alla vergogna?

Dal mito biblico di Adamo ed Eva nel libro della Genesi in poi e attraverso l’intera Bibbia, il problema della vergogna e della colpa (“peccato”) rimane indelebilmente una caratteristica della condizione umana.

Una volta che la temporalità cronologica prende piede, la vergogna risiede stabilmente nella coscienza. Il fazzoletto è macchiato e col passare del tempo viene sempre più sgualcito e stropicciato dalle fluttuanti modalità della temporalità.

Nella tradizione biblica, la macchia può essere in qualche modo ridotta dalla stretta obbedienza alla Legge mosaica e dall’osservanza della sua vasta gamma di regole etiche, ma non può essere rimossa e costantemente minaccia di espandersi e approfondirsi.

La caduta dalla grazia nella vergogna e la conseguente espulsione dal Giardino dell’Eden creò un difetto radicale nell’uomo, che era stato originariamente creato a immagine di Dio (imago Dei) e questo richiedeva una soluzione radicale.

Una soluzione drammatica è offerta nel Nuovo Testamento quando Cristo, come il Nuovo Adamo, sostituisce l’Antico Adamo e ripristina così l’ imago Dei in un singolare essere umano al suo stato originale di perfezione.

La soluzione cristiana al problema della macchia della vergogna prende quindi forma nella possibilità di identificazione mistica con la figura di Cristo.

La macchia è pulita nel simbolo di Cristo e ciò può essere trasmesso al credente. Psicologicamente, Cristo rappresenta il sé, e in virtù della identificazione con questo simbolo, gli esseri umani possono universalmente partecipare al suo “trascendere oltre la vergogna e a colpa”.

Con sollievo, San Paolo grida: “O miserabile uomo che io sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie a Dio attraverso Gesù Cristo, nostro Signore!” (Romani 7: 24-25).

Subito dopo l ‘Ascensione di Cristo, la discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste e la ricezione dello Spirito nella coscienza umana hanno creato un nuovo centro spirituale nella psiche dei credenti (Atti 2: 4). Nel mistico linguaggio di San Paolo: “… non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me “(Galati 2:20).

I Cristiani, come da allora vennero chiamati, non furono più animati da un ego dominato dalla cronicità bensì da una trascendente identità spirituale associata a Cristo.
Il malandato fazzoletto della temporalità fu lavato e trasformato in un tessuto spirituale.

Nella prospettiva dei primi Cristiani la temporalità aveva perso il suo potere, Cristo aveva conquistato il potere sul tempo e sulla morte, come avrebbero affermato in seguito.
In questa storia di liberazione da tutte le modalità della temporalità e dalla vergogna che con loro si era impiantata nella coscienza, la psiche – che dalla coscienza è nata come imago Dei – recupera un centro trascendente nell’asse ego-sè, piuttosto che mantenere la sua residenza primaria esclusivamente nell’ego alienato che si è sviluppato nella storia.

Psicologicamente, ciò rappresenta uno stadio avanzato di individuazione e non di regressione, in quanto l’asse ego-sé è costellato nel centro della coscienza.

L’ego non svanisce nel vuoto dell’incoscienza, ma piuttosto diventa subordinato a un’istanza psichica più grande, il sé.

La “funzione trascendente” (Jung 1916/1969), ossia la relazione reciproca tra ego e sé, sostituisce l’ego al centro della coscienza, creando una sorta di doppia identità con una struttura binaria.

Qui tempo e “atemporalità” camminano assieme; camminano assieme “persona secolare” (cuore del mondo) e “persona sacra” (cuore sacro).

Il problema della vergogna all’interno del tessuto della temporalità si risolve, almeno in parte, poiché essa “viene accolta nel sé”, che – in quanto “unione di opposti” – è in grado di unificare, cioè integrare in un’unica singolarità, la luce e l’oscurità, l’innocenza e la colpa, il temporale e l’eterno
Ciò si traduce in uno stato di “piena auto-accettazione”.

Come Paul Tillich ha proclamato nel suo famoso sermone, “Sei accettato”: “Accetta di essere accettato … tu sei accettato. Sei accettato da qualcosa che è più grande
di te e il cui nome non conosci “. (Tillich, p. …).

Molte tradizioni mistiche come Cabbala, Chassidismo, Sufismo, Yoga, Buddismo Zen e altri, hanno hanno mosso gli identici passi verso una temporalità trascendente.

Questo del resto è l’obiettivo della “individuazione” come concepita da Jung e da chi lo segue nella psicologia del profondo.

Tutti tendono ad arrivare alla posizione simboleggiata dall’ Anello “i” di Pauli, un luogo oltre la temporalità e la vergogna, caratterizzato da compassione, grazia e un senso di completezza e realizzazione.
Note

i
Ho creato questo neologismo per gli scopi di questo articolo. Per quanto ne so, sebbene sia ben noto tra gli psicoanalisti junghiani, nessuno ha già discusso di questo fenomeno, Ho scelto il prefisso dys- (dal greco in cui sta per “cattivo, difficile, sfortunato”) perché indica uno stato di difficoltà, spesso di anormalità e talvolta doloroso.
ii Uso la frase “tempo reale” per indicare il tempo misurato dagli orologi, cioè il tempo “obiettivo”, che esiste al di là del riconoscimento umano di esso. È la temporalità “non psicologica”
iii Hinton offre un’utile discussione sulla categoria di Nachträglichkeit, la revisione della memoria alla luce della rivisitazione di esperienze precedenti come i traumi della prima infanzia. (Vedi Hinton, p. 361ff.)
iv Questa percezione di avere due personalità temporali molto diverse organizza l’intero capitolo sull’infanzia intitolato “Anni scolastici”
v L’ultimo grande lavoro di Jung, Mysterium Coniunctionis (CW 14) è al culmine di questo progetto.
vi L’unica esempio di una discussione junghiana su questa parafilia, a mia conoscenza, è un articolo del defunto Prof. Leland Roloff nel suo intervento al Congresso IAAP di Chicago.
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