Il Dialogo tra Bellezza , Verità ed Etica
Psiche e Arte in Sicilia
Da Caravaggio ad Antonello
di
Antonio Grassi, Caterina Arcidiacono, Sandra Berivi
LIRPA
Abstract
Con il supporto di una vignetta clinica, il lavoro attraversa il percorso siciliano di Caravaggio analizzandone le dimensioni individuative, ma allo stesso tempo la loro impossibilità a traghettare il pittore verso la risoluzione dei conflitti interni. Ci proponiamo, infatti, di descrivere, tramite un confronto analogico con le opere e con la vita del grande artista rinascimentale, il Caravaggio, come si possa approdare, tramite un serrato dialogo tra Bellezza, Verità ed Etica, ad una illustrazione della psicopatologia dinamica dei disturbi di personalità; e giungere anche ad una comprensione delle potenzialità terapeutiche che offre la psicologia analitica con il suo concetto di base: il processo di individuazione. Conclude la presentazione una nota immagine pittorica di Antonello da Messina che pacifica e armonizza la contraddizione interiore rimasta irresoluta in Caravaggio.
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Introduzione
Il presente lavoro, con il supporto di una vignetta clinica brevemente descritta nella premessa, attraversa il percorso siciliano di Caravaggio analizzandone le dimensioni individuative, ma allo stesso la loro impossibilità a traghettare il pittore verso la risoluzione dei conflitti interni. Una immagine pittorica di qualche anno seguente, di un grande pittore pienamente messinese e interprete della più grande sicilianità artistica, permette poi di cogliere la risoluzione della contraddizione interiore nel dialogo tra bellezza, etica ed armonia.
Due temi accomunano i protagonisti della nostra trattazione, cioè il grande pittore rinascimentale Caravaggio e un paziente borderline in psicoterapia istituzionale: il Demone della Violenza e l’Immaginario Religioso Cristiano. Ci proponiamo, infatti, di descrivere, tramite un confronto analogico con le opere e con la vita del grande artista rinascimentale, il Caravaggio, come si possa approdare, tramite un serrato dialogo tra Bellezza, Verità ed Etica, ad una illustrazione della psicopatologia dinamica dei disturbi di personalità; e giungere anche ad una comprensione delle potenzialità terapeutiche che offre la psicologia analitica con il suo concetto di base: il processo di individuazione.
Il Demone della Violenza in un paziente affetto da Disturbo Borderline di Personalità con tratti antisociali e dipendenza da cocaina.
Il paziente di cui proponiamo una vignetta clinica ha circa ventisei anni. Con l’inizio del percorso psicoterapeutico, avvenuto da alcuni mesi nella struttura ambulatoriale dell’ASL, era riuscito ad interrompere il consumo di cocaina, a prendersi cura della sua igiene personale e del suo vestire e ad assumere un lavoro da bagnino presso uno stabilimento balneare. In prossimità della pausa estiva, subito dopo il commiato della terapeuta, viene licenziato dal lavoro, riprende un uso massiccio di cocaina e, sopraffatto da uno stato di agitazione psicomotoria, finisce all’SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) con una correlata buffée delirante: il ‘diavolo’ lo aspetta in una certa strada per impossessarsi di lui. Alla fine dell’interruzione estiva, dopo essere stato dimesso dall’ospedale, si presenta alla terapeuta trasandato, a piedi scalzi, dopo cinque notti di insonnia totale, e racconta che durante il periodo di assenza della terapeuta si era trasferito nella chiesa dove stava effettuando lavori di pulizia e da lì era stato sloggiato dal sagrestano con tutte le sue cose. Aveva conseguentemente tempestato di calci la macchina del padre, danneggiandola, ed era stato coinvolto in una colluttazione con le forze dell’ordine chiamate a contenere questo suo stato di agitazione psicomotoria, cui era seguita una denuncia. Dice alla terapeuta che lui è il diavolo (ne assume la mimica minacciosa), mostra di avere con sé una pietra con cui si era fatto del male e che brandisce come un’arma, pronto ad usarla contro la terapeuta – a cui confessa il desiderio di farle del male – e contro chiunque volesse di nuovo rinchiuderlo. Egli racconta alla terapeuta, piangendo e con un senso di umiliazione profonda, del ricovero che ha poi subito, del contenimento e l’esperienza di essersela fatta addosso. Nessuno aveva capito che il diavolo voleva prenderselo e che lui per difendersene era stato costretto a ricorrere all’uso di immagini della Madonna. Ogni volta che avvertiva la presenza del diavolo pregava ripetutamente l’Ave Maria, con cui riusciva ad esorcizzare la possessione diabolica. Tuttavia, dopo il 1° colloquio il paziente va a casa , riprende a dormire e, lentamente, nelle settimane successive il delirio rientra così come l’agitazione psicomotoria, con un ritorno alla normalità. Cessa contemporaneamente l’uso di sostanze che da allora fino ad oggi non ha più ripreso.
Per una telegrafica disamina psicopatologica e dinamica della personalità del nostro paziente, potremmo dire che le stratificazioni dimensionali dei disturbi di personalità di Kernberg presenti nel nostro caso clinico sono:
-Disturbo narcisistico, nell’uso della cocaina per raggiungere livelli onnipotenti di performance;
-Disturbo borderline, nel danneggiamento dell’auto del padre, nella colluttazione con le forze dell’ordine, nella possessione diabolica;
-Disturbo paranoide nei confronti della terapeuta, simboleggiata prima dal prete che lo caccia dalla chiesa, possibile derivato dell’assenza della terapeuta, e dal derivato relativo all’SPDC, che gli appare come un persecutore che vuole dominarlo, plagiarlo, umiliarlo, costringendolo a stare legato, il setting, e in mezzo all’urina, la sua emozionalità incontrollata e non mentalizzata, e, in ultimo, ucciderlo.
–Disperazione, vissuta nell’insonnia protratta e continuativa e negli agiti autolesionisti commessi con la pietra;
-Depressione, da cui il paziente può uscire tramite il contenimento ed il sostegno assicurato dal rapporto psicoterapeutico.
Le comunicazioni inconsce del paziente decodificate secondo il metodo clinico di R.Langs:
In termini analitici, possiamo ritracciare l’accaduto sostenendo che, tramite le sue comunicazioni inconsce, il paziente è riuscito a trasmettere alla terapeuta il vissuto di essersi sentito sfrattato dalla terapia, proprio mentre si adoperava per i lavori di grandi pulizie interiori (la Chiesa), di essere per questo precipitato nell’angoscia abbandonica, a cui ha reagito maniacalmente tramite lo stato di agitazione psicomotoria e l’evacuazione del suo dolore mortale in violenza contro la macchina del padre (ha infatti tentato di rompere il setting istituzionale tramite telefonate minacciose durante la pausa estiva) e contro l’intervento esterno (le forze dell’ordine – il setting istituzionale – che gli ha impedito il ritorno in terapia prima del tempo stabilito), che lo hanno costretto a vivere il contenimento umiliante della sua violenza. Ora, però, egli può portare in seduta la pietra, cioè la sua rabbia violenta, sperando che l’attitudine materna-mariana della terapeuta riesca a sciogliere il nodo diabolico della sua aggressività in dolore da affidare e consegnare al suo abbraccio analitico consolatorio. La terapeuta riesce, infatti, a metabolizzare la paura della violenza del paziente senza reazioni controtransferali, ma con interpretazioni che correlano l’esperienza della separazione e della perdita del paziente con il suo dolore e la sua rabbia. Il paziente allora consegna la pietra alla terapeuta e insieme con essa una piccola preghiera di Consacrazione alla Vergine e allo Spirito Santo, che utilizzava come strumento per placare la sua violenza ed esorcizzare il Diavolo che gliela suscita. La personalità del paziente, nel corso degli incontri successivi, si ristruttura, e il suo delirio si scioglie mano a mano che quell’odio violento scatenato dalla perdita si trasforma goccia a goccia in lacrime di dolore.
Che cosa ci racconta la psicoterapia di questo giovane uomo? Ci dice che:
1) Forze inconsce demoniache e violente ci abitano, per cui possono impossessarsi della nostra interiorità psichica in quanto non siamo veramente padroni in casa nostra. Ciò a dispetto della visione illuministica dell’uomo secondo la quale sarebbe la dea ragione il nume a disposizione della coscienza umana che ne avrebbe sancito l’onnipotenza e l’onniscienza;
2) Queste forze assumono spesso le sembianze del Diavolo e il loro scatenarsi si può manifestare nella possessione demoniaca propria degli stati psicotici e non;
3) L’unica dimensione che può sciogliere e dissolvere il nodo del Male dentro di noi è quella costellata dall’archetipo dell’Anima, che il paziente individua nella Madonna: un’anima vergine, non contaminata dalla pulsione predatoria dell’uomo;
4) Solo il livello profondissimo ed elevatissimo dell’Anima, non contaminato dalla pulsione di appropriazione, può far nascere dentro di noi quell’alternativa al Male Assoluto rappresentata dal Bene Assoluto: Cristo;
5) Questi motivi religiosi entrano in gioco anche in psicoterapia e richiedono da parte del/la psicoterapeuta un’attitudine affettiva non predatoria all’accoglimento del Male nella relazione, alla trasformazione di esso in angoscia di morte, disperazione, dolore psichico, sviluppo del senso del limite, ossia esperienza di morte e rinascita alla dimensione simbolica dell’esistenza umana.
Il Demone della Violenza in un altro caso di disturbo borderline e con tratti antisociali: Il Caravaggio
E qui entriamo ora nella personalità del Caravaggio attraverso le numerose interpretazioni psicoanalitiche della sua opera pittorica. Come noto, il più datato punto di vista psicoanalitico sulla personalità di Caravaggio è di Schneider (1976), che individua nel complesso di castrazione edipico dell’autore il motivo di fondo che domina tutti i suoi comportamenti, con particolare riferimento alla sua intolleranza e alla sua ostilità verso figure di autorità. Su questa stessa linea interpretativa si pone Lewis (1986), il quale sostiene che, per tutta la sua vita, il pittore ebbe a che fare con il proprio conflitto edipico e con l’angoscia di castrazione, ribadendone la problematicità nei confronti delle figure autorevoli-paterne.
In un periodo che fa da ponte, anche dal punto di vista storico, tra la fase di dominio del criterio diagnostico differenziale tra nevrosi e psicosi e la successiva che vedrà i disturbi di personalità estendersi e diffondersi in modo esponenziale (Kernberg, 1975, 1978), interviene l’interpretazione psicodinamica della personalità di Caravaggio proposta da Resca (2001), il quale ritiene di aver scoperto la chiave di lettura definitiva delle “verità” su e di Caravaggio, ossia:
-la pulsione a dare e ricevere morte; le rappresentazioni pittoriche dell’autore sono una sorta di “sogno premonitore” a cui farà seguito la messa in atto della violenza rappresentata. (Resca, 2001:73)
-la presenza ubiquitaria della violenza nella sua geografia dell’anima.
È evidente che tale lettura risente da un lato dell’impostazione prettamente freudiana dell’autore e fatica, a nostro modo di vedere, a spiegare in modo convincente perché i dipinti che celebrano il dominio della pulsione a dare e ricevere morte prefigurino, secondo lui, niente altro che successivi comportamenti dell’autore nella sua vita personale, mentre i dipinti che propongono temi religiosi, meditativi e di introspezione non sono seguiti da una loro realizzazione comportamentale da parte del pittore.
La nostra diagnosi, invece propende più propriamente per un Disturbo Narcisistico di personalità con tratti bordeline e antisociali[1], di cui vorremmo provare ora a proporre la comprensione attraverso la chiave di lettura che il nostro modello neuropsicologico analitico può offrire (Grassi, 2012). In tale cornice la psiche è strutturata in due sistemi, la psiche egoica e la psiche oggettiva, ciascuna con un proprio sottosistema inconscio. La psiche egoica, correlata all’attivazione dell’emisfero sinistro, è sul livello conscio specializzata nell’elaborazione cognitiva e comportamentale di strategie di protezione, sicurezza, autoaffermazione; la psiche oggettiva, correlata all’attivazione dell’emisfero destro, sempre sul livello conscio è invece competente nella elaborazione delle emozioni, del sentimento, della sensorialità, dell’etica oggettuale e dell’esperienza spirituale, sul piano inconscio nel linguaggio simbolico del corpo, nella produzione di sogni di natura simbolica, nella attuazione di lapsus , atti mancati, linguaggio simbolico e sintomatico del corpo. Laddove il funzionamento della psiche egoica sia eccessivamente predominante su quello della psiche oggettiva, o addirittura ne sia completamente scisso, abbiamo disturbi di personalità; in tali pazienti accade infatti, che l’inconscio della psiche egoica, animato dalla pulsionalità di marca prettamente freudiana (invidia, gelosia, avidità, dominio, possesso, controllo, esibizionismo, competitività, assassinio edipico e pre edipico), assuma il dominio sull’intera personalità a scapito e a mortificazione di tutte le competenze e correlati comportamenti della psiche oggettiva, conscia e inconscia, cioè delle emozioni, del sentimento, del senso della verità, della bellezza, dell’etica oggettuale, del linguaggio simbolico (sogni e associazioni) e dell’esperienza religiosa. Nelle varie forme della psicopatologia clinica l’autoaffermazione, perseguita dalla psiche egoica in modo assoluto e unilaterale, porta allo sviluppo da un lato di una sintomatologia descritta nel DSM nelle sue differenti declinazioni, dall’altro lato di un più o meno pervasivo senso di onnipotenza, onniscienza e relativismo morale di tipo machiavellico.
, [1] Solo nel 2007 viene proposta per il Caravaggio la diagnosi di Disturbo Narcisistico di personalità (Fanara G. e coll.).
A nostro avviso la scissione tra questi due sistemi, psiche egoica e psiche oggettiva, quando s’instaura un dominio comportamentale pressoché assoluto della psiche egoica, caratterizza i Disturbi di Personalità, compreso ovviamente il disturbo borderline. In tali casi la Psiche egoica, dominata dal sistema pulsionale che ne anima il versante inconscio, il cosiddetto inconscio dell’Io, prende il sopravvento sui comportamenti istituendo dinamiche relazionali fondate sul meccanismo difensivo della scissione, sia tra pulsioni sia tra immagini di sé ed oggettuali, caratterizzata dall’assunzione di ruoli vittima – carnefice nelle variegate circostanze di vita relazionale.
Lo studio della personalità e della biografia del Grande Artista, intrise di sangue, di crimini, di un delitto e di una morte subìta da mani altrettanto assassine, la sua prepotenza associata a un’acutissima suscettibilità del carattere, pronte a indurlo a reazioni incontrollate di tipo spesso definibili come antisociali, ci hanno consentito di formulare per il nostro grande artista una diagnosi analoga a quella assegnata al nostro paziente. Nel contempo, un’associata analisi estetica delle sue stupende opere, che trattano le stesse tematiche di violenza personale dell’autore, trasposta su un livello psichico non solo collettivo-sociale, ma anche mitico-religioso, ci induce a considerare come quanto si muove nel microcosmo del nostro inconscio personale possa ben rappresentare le forze, i sistemi, le istanze, le personificazioni che animano e muovono l’inconscio collettivo dello “Spirito del Tempo che abitiamo”(Jung, 2009,pag. 229)
La psicologia analitica junghiana può dunque proporre un’ulteriore prospettiva di comprensione del progetto di individuazione spirituale sia del paziente sia di Caravaggio. Infatti, attraverso un’analisi junghiana dei temi associativo-simbolici presenti nelle rappresentazioni dell’immaginario religioso di entrambi, si può scoprire un percorso che, integrando nel funzionamento globale della personalità anche la psiche oggettiva, potremmo delineare nelle seguenti tappe:
-Rinascita (in termini religiosi resurrezione) dalla morte della coazione a ripetere alla dimensione simbolica della propria esistenza;
-Rivelazione del senso specifico del proprio progetto individuativo (la Verità su di sé);
-Redenzione comportamentale dalle proprie coazioni a ripetere pulsionali (Etica dell’essere con);
-Realizzazione del significato autentico della propria individualità (Trasformazione psicologico-spirituale).
Riteniamo, infatti, che sia il comportamento e le relative opere del grande artista, sia gli agiti e le correlate immagini del paziente in psicoterapia istituzionale abbiano i requisiti necessari non solo per una diagnosi di disturbo di personalità con tratti antisociali in entrambi i casi, ma anche gli elementi per un progetto individuativo, ovviamente fallito nel caso di Caravaggio, forse con qualche possibilità di successo nel caso del nostro paziente, che, rispetto al grande autore, ha il vantaggio di poter usufruire di un supporto psicoterapeutico del tutto sconosciuto all’epoca del grande maestro.
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio
Le Opere Giovanili Giuseppe Fornari (2014), docente di storia della filosofia all’Università di Bergamo, forse ispirato dal verismo estremo del Caravaggio, propone come chiave interpretativa del grande autore che “L’artista ha perseguito sì la “realtà”, ma quella drammatica e metafisica della ricerca di Dio da parte dell’uomo, ricerca il cui il coronamento si attua nel momento in cui l’azione umana si fa dramma, scelta irrevocabile, apertura all’inconcepibile” (2014). In questa assunzione di Verità di Caravaggio, Fornari condivide l’interpretazione cristologica di Calvesi, riferita già alle prime opere giovanili del Caravaggio: il Bacco agli Uffizi (1596-1598); il Canestro di frutta (1598-1599): la frutta evidentemente avariata denuncia secondo questo autore la natura effimera dei piaceri della carne e la corruzione finale che attende quest’ultima. [2],
2 Scrive Fornari : …un’autentica metafora della vanitas, offre “una rappresentazione imbevuta di reminiscenze bibliche e cristiane” (Fornari, 2014:43) “Basta citarne una dalle visioni del libro del profeta Amos:
Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Iddio:
era un canestro di frutta matura.
Egli domandò: “Che vedi Amos?”
Io risposi: “Un canestro di frutta matura”.
Il Signore mi disse:
“È maturata la fine per il mio popolo, Israele:
Non gli perdonerò più” (Amos, 8,1-2) “
Diventa così comprensibile quell’incongruenza, evidenziata ma non spiegata da Resca, tra dipinti con funzione di premonizione su successivi comportamenti violenti del Caravaggio e dipinti, soprattutto con tematiche religiose, che non trovano seguito nella vita concreta dell’autore. Secondo noi, invece, la morte del padre e la presenza di una madre non dotata di un’adeguata funzione di reverie potrebbero spiegare meglio sia gli agiti dell’ego dell’artista (la dominante psiche egoica strutturata sui motivi rappresentati dal complesso di Edipo, l’autoaffermazione legata all’omicidio, e dal complesso di narciso, l’uso autoerotico e manipolatorio degli altri) sia la sua impossibilità ad integrare nella sua vita reale le componenti sentimentali e i contenuti religiosi ed etici che comunque trasudano in maniera impercettibile anche nelle sue primissime opere giovanili, come fanno notare opportunamente Fornari (cit.) e Calvesi (cit.).
Il Ciclo della Violenza
Dai 26 anni in poi il Demone della Violenza prende possesso della personalità del Caravaggio fino a farne una sorta di “Anticristo” (Resca, 2001:12). Il ciclo del Demone della Violenza (1597 – 1607) viene inaugurato dal dipinto “La Testa di Medusa”(1596-1597), preconfigurato dal precedente “Narciso”(1595-1596).
Il narcisismo, nell’ottica dimensionale di Kernberg, in realtà si fonda sull’assemblamento di tutte le immagini buone e belle di sé nel proprio Io, che così può autocompiacersi e ammirarsi come in uno specchio d’acqua (Narciso) e sulla proiezione di tutto il negativo sugli altri. Il rientro dentro di sé del negativo proiettato sugli altri provoca però l’immediato stravolgimento della propria immagine che da bellissima si mostra nel suo aspetto mostruoso (Medusa), e da questo mostro spuntano fuori tutte le intenzioni e le correlate pulsioni violente e assassine, simboleggiate dai serpenti. La biforcazione di tali pulsioni in comportamenti sadici da carnefice o masochistici da vittima dà l’avvio concreto al ciclo della violenza che trova il suo sviluppo nel “Davide e Golia” (1598-1599), ne’ “Il Martirio di San Matteo” (1599-1600), nella “La cattura di Cristo”(1603). Resca ci invita ad una lettura sequenziale di queste opere che per lui costituiscono una serie, cioè un gruppo di rappresentazioni indicanti un “iter processuale” (Resca, 2001:18). Tema comune di tutte queste opere è infatti la presenza del volto del Caravaggio che si autoraffigura o dalla parte dei carnefici (vedi il Martirio di San Matteo e la Cattura di Cristo) o dalla parte delle vittime (vedi il Davide e Golia .
A questo punto diventa per noi però necessario operare delle distinzioni tra le autoraffigurazioni di Caravaggio nei diversi dipinti per quanto riguarda sia le sue identificazioni con le vittime sia quelle con i carnefici. Osserviamo le prime. Alcune obbediscono, a nostro modo di vedere, alla dinamica edipica della legge del taglione e riguardano quindi soltanto una dinamica interna al sottosistema inconscio della psiche egoica; sono perciò soltanto l’autoraffigurazione del proprio complesso di castrazione, (vedi “Il Bacchino malato” (1593) e il “Il Ragazzo morso da un ramarro” (1595-1596)).
Viceversa già con “Medusa” (1596-1597), il “Davide con la testa di Golia” e “Giuditta e Oloferne” entrano in gioco personaggi e tematiche religiose. La Medusa, è una testa mostruosa, spiccata dal busto e anguicrinita, mirabile rappresentazione a nostro avviso della psiche egoica e del suo potere mortifero di paralizzare chiunque la guardi, cioè chiunque resti affascinato dalle prospettive di onnipotenza e di onniscienza che essa fa baluginare agli occhi di chi nutre desideri edipici, incestuosi e/o di potere (simboleggiati anche da Golia e Oloferne, nella tradizione ebraica). Medusa ben rappresenta anche la disperazione del sistema dell’ego laddove esso venga definitivamente reciso in tutte le sue potenziali strategie di dominio e di morte (i tanti serpenti che animano la testa di Medusa). Perseo, il suo uccisore, mitico eroe greco, figlio di Zeus e di Danae, cioè della divinità primaria e di una ninfa, è la personificazione delle dimensioni simbolico-religiose elleniche della Psiche Oggettiva. Perseo, Davide e Giuditta sono personaggi accomunati dall’appartenenza alle componenti simbolico religiose della personalità individuale e della spiritualità greca e giudaica.
Queste decapitazioni, a nostro avviso, non appartengono al sistema del complesso di castrazione edipico, ma alla più articolata complessità dinamica della personalità conscia ed inconscia dell’essere umano e alla tensione ad essa inerente a causa del senso di onnipotenza in perenne conflitto con il riconoscimento della propria caducità, del senso del limite e dell’accettazione etica dell’esistenza dell’altro. Come appare evidente, già in età giovanile Caravaggio affronta in se stesso la lotta tra Bene e Male, tra mondo pulsionale e universo simbolico interiore, tra egocentrismo del suo Io e autoriflessione ascetica.
La prefigurazione maltese del processo introversivo-religioso siciliano di Caravaggio (luglio1607- luglio1608)
Dopo aver commesso il crimine del livello assolutamente più alto, l’assassinio, Caravaggio per evitare di trovarsi nel temuto, e inconsciamente perseguito, ruolo di vittima della ritorsione secondo la legge della vendetta e del taglione, fugge da Roma e si rifugia a Malta. Stabilisce un rapporto molto intenso personale con Alof de Wignacourt, a quel tempo l’autorità suprema locale dei Cavalieri di Malta. Con un’identificazione proiettiva tipica del suo disturbo di personalità proietta sul Gran Maestro l’immagine idealizzata di un personaggio capace di contenere e sostenere Spada e religiosità, quell’attitudine cioè alla reverie che riesce a trasformare la violenza (la spada), tramite l’amore cristiano (la preghiera), in dolore e significato, cioè verità (il dipinto più significativo di questa identificazione proiettiva è il “Ritratto del Gran Maestro” (1608), allocato nel Palazzo Pitti di Firenze, che porta sulla stessa cintola Spada e Rosario e nel “Gran Maestro come S. Girolamo”(1608)).
Proprio sulla base di questo rapporto il pittore accetta di vivere penitenzialmente nel convento degli accoliti un’esistenza monacale, scandita da tempi e regole prefissate.
Questo contenimento esistenziale lo costringe, secondo noi, a ritrovare dentro di sé, non più scissi in ruoli agiti nelle interazioni sociali, i due personaggi di vittima e carnefice, mirabilmente rappresentati nel dipinto della “Decollazione del Battista”(1608).
Egli è, infatti, sia il carnefice, cioè l’autore della decollazione, quando pone la sua firma nel sangue del Battista che scorre, ma è anche il Battista che testimonia la salvezza. Purtroppo il Michelangelo Merisi borderline non regge alla disperazione generata dalla tensione degli opposti, quando non sono agiti nelle relazioni esterne come ruoli vittima-carnefice, ma tenuti insieme all’interno di se stessi. Non tollera il setting rigoroso della vita monacale e sviluppa così, potremmo dire con Langs, una forte angoscia claustrofobica determinata da una tale “cornice sicura”. La sua libertaria onnipotenza pulsionale lo porta quindi all’evasione. Anche Langs, prefigura questa duplice sfaccettatura della pulsione di morte in due angosce di base dell’uomo: l’angoscia di morte dell’essere oggetto passivo di persecuzione e l’angoscia di morte dell’essere soggetto attivo di persecuzione (Langs, 1996). Noi riteniamo con Resca (2001) che l’avvicendarsi dialettico sia delle due angosce sia delle due pulsioni di morte concretamente agite, siano la manifestazione più evidente di una coazione a ripetere dell’’onnipotenza predatoria a cui l’uomo non vuole o non riesce a rinunciare, una coazione a ripetere in cui il dare e il ricevere morte rappresentano invece proprio una fuga dalla presa di consapevolezza autentica della morte e dall’esperienza consapevole della terza angoscia di morte: la propria fine esistenziale. Il Caravaggio non riesce a reggere alla drammatica tensione determinata dalla riunione interiore degli opposti, ossia non tollera la disperazione. In assenza di una reale disponibilità a contenere e sostenere emotivamente la sua disperazione da parte di Alof de Wignacourt, troppo preso quest’ultimo dai propri bisogni narcisistici di gloria e da un uso a tal fine egocentrico delle capacità pittoriche del Caravaggio, data anche la fragilità della struttura borderline della sua personalità, il pittore ricade nella scissione pulsionale, per cui si comporta in modo da attivare in Alof de Wignacourt il ruolo di carnefice e da riprendere su di sé il ruolo di vittima perseguitata. “Perseguitato dalle Furie, fuggendo gli amici da lui stesso mutati in nemici” (Berenson in Fornari, 2014:121-122) fugge, evade dalla prigione-convento- vita monastica di Malta e si trasferisce in Sicilia.
La Sicilia: Terra di trascendenza, la più grande occasione perduta di Caravaggio (1608-1609)
In Sicilia Caravaggio incontra fra Bonaventura Secusio, frate francescano originario di Caltagirone, terra di arte e di artigianato, nel periodo in cui quest’ultimo riveste il ruolo di vescovo di Messina. Stabilisce con il frate un rapporto di nuovo emotivamente intensissimo, in analogia con quello precedentemente avuto con Alof de Wignacourt, così come fanno proprio i soggetti con disturbo borderline di personalità; lo sanno bene coloro che lavorano con tali disturbi. Il frate prende sotto la sua protezione Caravaggio, ma la sua autentica attitudine spirituale mariana e la conseguente capacità di accoglimento delle istanze persecutorio-vittimistiche del grande pittore, secondo la nostra interpretazione, determinano un viraggio a 360° non solo della produzione artistica dell’autore ma, coerentemente con lo strettissimo rapporto tra arte e vita in Caravaggio, anche delle trasformazioni interiori dell’uomo. Compaiono dunque motivi e contenuti intrisi di un forte senso religioso, tesi a rappresentare il nuovo percorso interiore dell’artista. Quest’ultimo riesce a seguire un itinerario di ascesi spirituale in un clima di piena libertà, non limitata né dal carcere né dalle regole della vita monastica di Malta, bensì contenuta e sostenuta, secondo noi, dalla sola capacità di reverie di questo Frate sulla caotica esplosività pulsionale del Nostro. Il cammino introversivo dell’artista inizia precisamente con il suo primo dipinto siciliano, “il Seppellimento di Santa Lucia” (1608-1609), con cui denuncia a sé stesso la morte della sua coscienza auto riflessiva, la luce della sua coscienza simbolica.
L’incontro con questa Verità su di sé suona per Caravaggio come l’annuncio (vedi l’Annunciazione-1609) di una possibile rinascita alla dimensione ad una vita simbolica, come un possibile distacco da una coazione a ripetere solo pulsionale sadomasochista (vedi la Madonna del Parto-1609,mirabile sintesi di religiosità cristiana e naturalismo pagano) e poi come compimento di una sua possibile rinascita spirituale (vedi “la Natività” per l’oratorio palermitano di San Lorenzo-1608-1609).
Questa sua rinascita spirituale trova poi la sua espressione più alta nella “Resurrezione di Lazzaro” (1609):
Lazzaro, morto al peccato, viene fatto risorgere dalla mano salvatrice e creatrice di Cristo, quella mano che riprende il motivo della mano michelangiolesca nella creazione di Adamo della Cappella Sistina. D’impressionante intuizione artistica e perfetta sintesi tra Bellezza, cioè Arte, Verità ed Etica, è la collocazione della testa dell’autore nell’inserzione del suo autoritratto all’interno del dipinto. Non si raffigura più né tra i persecutori né tra le vittime, ma al centro del quadro, con la sua testa forse duplicemente raffigurata sia a sostegno della resurrezione di Lazzaro sia sotto la mano di Cristo che richiama in vita il suo “Lazzaro”, rianimandolo dalla “croce” rappresentata dalle braccia aperte del morto, simbolo della tensione disperata e disperante del trovarsi sospeso tra Bene e Male (I due Ladroni).
Ma il trasferimento di Fra Bonaventura Secusio da Messina a Catania, avvenuto il 5 luglio 1609, rappresenta per Michelangelo Merisi un nuovo trauma esistenziale, questa volta di portata catastrofica in senso sia ascetico sia esistenziale individuale. La perdita del suo protettore, benché non necessariamente né definitiva né totale (trattavasi di un trasferimento intra-insulare), sortisce, come effetto, il crollo del processo di introversione e di ascesi mistica dell’autore, a causa della sua ancora debole capacità di sostenere da solo un cammino di ascesi spirituale. Ne consegue una nuova fuga non solo dal territorio fisico della Sicilia ma anche dal significato, per lui simbolico, di questa terra, tant’è che ricade nel ruolo di vittima della dinamica persecutore-perseguitato, prefigurato nel “Martirio di Sant’Orsola”(1609-1610), e nella “Salomè con la testa del Battista” (1609).
Pertanto, secondo una chiave di lettura psicoanalitica si potrebbero interpretare questi ultimi due quadri, or ora citati, anche come la rappresentazione simbolica della morte che Caravaggio infligge alla sua anima religiosa (S.Orsola), e alla sua spiritualità (il Battista) arrendendosi all’ambizione sfrenata di potere e ad una sensualità sempre votata al potere personale narcisistico (Salomé e il Re degli Unni). Ma quella dinamica, agita da buon borderline nella sua vita concreta, lo condurrà a morte come vittima ad opera probabilmente di sicari del suo eletto persecutore di eccellenza: Alof de Wignacourt.
Il processo introversivo di ascesi mistica, mirabilmente rappresentata nei quadri di “San Francesco Penitente”(1606), di “San Francesco in meditazione” (1606) e di “San Girolamo in meditazione sulla morte”(1605-1606), a cui l’inconscio di Caravaggio aveva dato inizio sin dal 1605 tramite il confronto meditativo-figurativo con la morte e con il conseguente senso religioso del limite, subisce un crollo improvviso.
La mancanza, anche solo paventata, del punto di riferimento rappresentato da Frate Bonaventura Secusio causa il crollo della mente sacra di Caravaggio, a favore della sua laicissima mente profana, che lo fa riprecipitare nel burrone della scissione pulsionale. Fugge anche dalla Sicilia, la terra della sua possibile trascendenza, per ricondurre la sua vita a un livello di scissione concretistica della morte nei due opposti persecutore/vittima, incarnando egli stesso il ruolo di vittima nella morte subita per mano di altri.
Conclusioni
Per concludere, il nostro discorso resterebbe incompiuto, come purtroppo è rimasto incompiuto il percorso spirituale trascendente dell’artista, se non cogliessimo nella Sicilia, quale Terra della Trascendenza, un’opera artistica, che è al contempo simbolo religioso della Bellezza e gradino ultimo dell’ascesi al Divino: La Vergine Annunciata di Antonello da Messina, dipinto custodito nel Museo Nazionale di Palermo.
In questo dipinto, che riassume in sé la Bellezza (il volto di Maria), la Verità (il libro su un leggio) e l’Etica (il manto celeste e la mano che si protende quasi a protezione-confine della sua verginità da qualsivoglia pulsione e seduzione predatoria), noi possiamo identificare quel superiore livello di sintesi religiosa che è stata l’occasione perduta dal Caravaggio e che è l’occasione forse agognata del nostro paziente in psicoterapia.
Bibliografia
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Spadaro, A. 2012. Caravaggio in Sicilia- il percorso smarrito. Bonanno Editore, Roma, Catania.
[1] Solo nel 2007 viene proposta per il Caravaggio la diagnosi di Disturbo Narcisistico di personalità (Fanara G. e coll.).
[2] Scrive Fornari : …un’autentica metafora della vanitas, offre “una rappresentazione imbevuta di reminiscenze bibliche e cristiane” (Fornari, 2014:43) “Basta citarne una dalle visioni del libro del profeta Amos:
Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Iddio:
era un canestro di frutta matura.
Egli domandò: “Che vedi Amos?”
Io risposi: “Un canestro di frutta matura”.
Il Signore mi disse:
“È maturata la fine per il mio popolo, Israele:
Non gli perdonerò più” (Amos, 8,1-2) “
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