L’apporto della psicoterapia alla Trasmissione Intergenerazionale: analisi della dinamica archetipica Senex et Puer – Progetto “In.Tra” <br> di Casamassima S., Russello C., Lucchese F., Cantiano A., Cuzzocrea G., Franquillo A.C., Guccione C., Berivi S., Grassi A., Caretti V.

Capi di un vecchio e di un giovane di Leonardo da Vinci (1495)

L’apporto della psicoterapia alla Trasmissione Intergenerazionale: analisi della dinamica archetipica Senex et Puer – Progetto “In.Tra”
di Casamassima S., Russello C., Lucchese F., Cantiano A., Cuzzocrea G., Franquillo A.C., Guccione C., Berivi S., Grassi A., Caretti V.

Key Words: psicoterapia, senex et puer, setting, trasmissione intergenerazionale, gioco.

Abstract: Ogni cosa “in nuce”, che deve crescere e che è rivolta al futuro, è sostenuta dal Puer, ogni cosa matura, realizzata e consolidata rivendica il potere del Senex. La congiunzione armonizzata tra Senex e Puer comporta l’attivarsi della funzione creatrice e nutrice dell’Anima. In questo scritto gli autori propongono il contributo della psicoterapia, offerto ai partecipanti all’interno del progetto “In.Tra” – Studio Pilota sulla Trasmissione Intergenerazionale – in una chiave di lettura archetipica Junghiana secondo la dinamica Senex et Puer. L’ipotesi di partenza prevedeva di verificare la possibilità di effettuare una riabilitazione neurocognitiva tramite la stimolazione cognitiva ed emotiva. Tutto ciò al fine di riattivare quelle aree del cervello sia di destra sia di sinistra che hanno le competenze di assicurare la conservazione delle funzioni cognitive, di favorire lo sviluppo della flessibilità dell’intelligenza e d’incrementare una maggiore presa di contatto con l’inconscio.

Lo studio pilota è stato condotto su un campione normativo non clinico di 8 soggetti e ha avuto una durata di sei mesi. Le fasi del progetto prevedevano: la valutazione iniziale per ogni singolo partecipante, le sessioni di gioco in gruppo, le sessioni di psicoeducazione in gruppo e la sessione di psicoterapia individuale. In questa sede viene esposta la fase della psicoterapia individuale per la durata di sei mesi (totale di ventiquattro sedute), con una frequenza monosettimanale.

Attraverso l’uso dei trascritti narrativi delle intere sedute è stato possibile ricavare, mediante procedure computazionali, l’identificazione delle parole più frequenti e le relative misurazioni. Questa metodologia, ormai condivisa dalla comunità scientifica, ha consentito l’estrazione d’informazioni rilevanti dai narrati dei partecipanti riguardo i loro commenti e osservazioni.

Dai risultati ottenuti si è osservato un trend generale positivo, con presenza di eventi migliorativi altamente significativi e altri in via di raggiungimento della significatività, con valori assai prossimi al cut-off della p=0.05.

Grazie ai risultati ottenuti mediante le stimolazioni emotivo-affettive della psicoterapia, si è evidenziato che i partecipanti mostravano una maggiore adesione al rispetto dei limiti e dei confini, un incremento della capacità di gestione e di controllo dell’emotività e una migliore integrazione intergenerazionale intesa come interscambio di conoscenze nell’ottica intrapsichica e interpersonale Senex-Puer da parte di ogni singolo partecipante allo studio.

Introduzione

I più recenti dati demografici provenienti dall’Istat[1] mettono in evidenza come in Italia negli ultimi 40 anni sia in aumento il processo di invecchiamento. La popolazione di 65 anni e più rappresenta il 23,2% del totale, quella fino a 14 anni di età il 13%, quella nella fascia 15-64 anni il 63,8%, mentre l’età media si è avvicinata al traguardo dei 46 anni.

L’invecchiamento della popolazione è il risultato di vari fattori che congiuntamente concorrono a modificarne la struttura per età della popolazione. Tra tali fattori vi è l’aumento della sopravvivenza, che induce l’incremento del numero delle persone in età avanzata, e la diminuzione della fecondità, che a sua volta determina l’erosione delle classi di età giovanile, con il risultato composito di generare un progressivo squilibrio strutturale nella popolazione.

Da un lato si osserva che il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione sta rimodellando gran parte degli assetti sociali ed economici, con conseguenze pervasive trasversali che si riflettono nel campo della produzione e del consumo, nel mercato del lavoro e soprattutto nel welfare; in questo ambito sanità e sistema previdenziale sono, e saranno sempre più, costretti a fare i conti con una “questione demografica”. Dall’altro lato tale fenomeno richiede un profondo cambiamento culturale e innovativo che sia capace di stimolare politiche mirate e organiche, in grado di affrontare il cambiamento della struttura sociale per età della popolazione trasformandolo da peso a risorsa per la nostra società. Infatti, dall’inizio del nuovo millennio si sta osservando una progressiva attenzione al fenomeno dell’invecchiamento demografico a livello internazionale, tanto da incentivare l’Unione Europea a decretare l’anno 2012 come Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni.

Questo cambiamento di prospettiva ha innescato il superamento di una visione dell’età anziana che, ancora oggi, viene sovente associata a una fase passiva dell’esistenza, segnata da bisogni di assistenza e marginalità sociale, a favore di una visione della persona anziana come protagonista della vita sociale (Walker, 2011): in altre parole, da peso a risorsa.

L’invecchiamento attivo è dunque un processo in divenire, che si sostanzia e si consolida progressivamente con scelte e comportamenti che possono indirizzarsi verso ambiti di vita prima inesplorati o non considerati.

Secondo due importanti articoli pubblicati su due dei più prestigiosi giornali economici del mondo, L’Economist inglese e il Business Week americano, rappresenta un grande danno all’economia mettere da parte gli anziani e accantonare le loro competenze.

Una nuova tendenza, ancora fragile, che deve essere sostenuta fortemente dalla pedagogia è quella di valorizzare tutti coloro che intendono continuare ad offrire il contributo della loro professionalità ed operosità, prescindendo dall’età cronologica. Peter Laslett (1992) definisce giustamente gli anziani “fiduciari per il futuro”. In realtà saranno tali nella misura in cui questa consapevolezza diventerà per tutti un impegnato stile di vita, volto a predisporre condizioni idonee a garantire il pieno appagamento delle loro esigenze personali e sociali.

Se da una parte ci sono gli anziani a rappresentare una risorsa per la nostra società dall’altra parte troviamo i giovani, il cui mandato nella società moderna risulta essere lo sviluppo e il cambiamento di standard stabiliti a confronto con la generazione più anziana che è prevalentemente conservatrice.

I giovani possono dunque rappresentare l’istinto vitale, la capacità di cercare nuove vie e nuove soluzioni, il non fermarsi mai e il rinnovarsi di continuo.

Assumiamo la prospettiva delineata da Allport (1954), e ripresa da Fiske (2010), secondo cui la psicologia sociale riguarda l’influenza sociale di persone su altre persone, ovvero il modo in cui conoscenze, pensieri, emozioni e comportamenti sono influenzati dalla presenza reale o immaginata di altre persone. In tal senso, il concetto di influenza sociale ci è utile per comprendere le dinamiche intergenerazionali tra anziani e giovani. Così come gli anziani possono influenzare i giovani attraverso i loro modelli, norme e stili comportamentali, allo stesso modo i giovani agiscono essi stessi come fonte d’influenza proponendo nuovi modelli normativi, valoriali e di comportamento per gli anziani. Levine e Moreland (1990) nel loro modello sulla socializzazione di gruppo hanno argomentato che sia i singoli membri di un gruppo, indipendentemente dal ruolo che ricoprono, sia il gruppo stesso funzionano come agenti di influenza reciproca.

Nella psicologia sociale, il modello genetico di Moscovici (1976) sull’influenza sociale mostra che tutte le persone possono generare un cambiamento negli altri, al di là del fatto che si trovino in una posizione superiore per status o potere.

Alla luce di tale assunto è possibile sostenere che anziani e giovani si influenzino vicendevolmente scambiandosi conoscenze e valori che modificano le conoscenze di entrambe le parti. È di vitale importanza a questo punto che il rapporto tra le due generazioni sia improntato alla massima solidarietà e reciprocità, al fine di superare quella mentalità limitata, che oggigiorno sembrerebbe essere ancora predominante e che diffonde l’artificiosa e inesatta visione secondo la quale un pensionato che si impegna in un’attività lavorativa “sottrae” possibilità occupazionali ad un giovane. Si è così generata, in modo più o meno palese, una contrapposizione artificiosa tra padri e figli alimentando una infondata quanto inutile competizione intergenerazionale (Mead 1970). Il superamento di questa visione permetterebbe di prendere atto di quanto, come sosteneva Mead, il passato degli adulti rappresenti il futuro per ogni generazione.

A proposito del passato, è forte il rimando agli archetipi di Carl Gustav Jung i quali rappresentano il prodotto dell’inconscio collettivo. In relazione al rapporto intergenerazionale gli archetipi di riferimento sono Puer et Senex, archetipi che approfondiscono il rapporto tra i giovani e i vecchi, sia sul piano interpersonale sia su quello intrapsichico.

Il Puer è la componente estremamente giovanile di ogni psiche umana, uomo o donna, vecchio o giovane, che è eternamente girovaga, eternamente piena di desiderio e in definitiva profondamente legata alla madre archetipica (Hillman 1967) Il Senex è invece un’energia psichica che dall’inconscio collettivo riflette tutti i valori legati alla maturità, alla saggezza, alla tradizione, al sapere, all’esperienza, ma che porta anche al blocco delle iniziative, alla paura delle novità e dei cambiamenti, all’autorità, all’ordine, al potere.

Hilman (1967) sostiene che Senex et Puer possono manifestarsi allo stesso modo in molte fasi diverse della vita e influenzare qualsiasi complesso. I nostri atteggiamenti puer non sono legati alla giovinezza così come le qualità senex non sono prerogativa della vecchiaia: la psiche ha un suo corso individuativo che prescinde dal corso biologico dell’esistenza.

Sulle basi di tali premesse si colloca il progetto “In.Tra” che si prefigge l’obiettivo generale di “invertire il flusso informativo/formativo intergenerazionale” (finora visto essenzialmente quasi a senso unico, vale a dire gli anziani che trasmettono il loro sapere, la loro esperienza e saggezza ai giovani che apprendono tradizioni, educazione e buonsenso per progredire e rendere migliore il proprio futuro), valorizzando le competenze tecnologiche degli adolescenti. La nostra proposta progettuale ha voluto in parte invertire i ruoli e in parte integrare quello che l’anziano può trasferire al più giovane con una parte di competenze che il giovane può sicuramente accogliere dall’anziano.

In particolare, questa ricerca pilota si è posta come obiettivo l’integrazione intergenerazionale Senex-Puer e ha riconosciuto nel gioco (autoformativo, di competizione, di collaborazione) lo strumento culturale che ha consentito di mettere in comunicazione i soggetti over 50 e i soggetti under 30 favorendone in tal senso l’interscambio generazionale.

Complessivamente l’ipotesi di partenza della ricerca pilota prevedeva di verificare la possibilità di effettuare una riabilitazione neurocognitiva attraverso la stimolazione cognitiva (mediante il gioco a cui i soggetti erano coinvolti) e la stimolazione emotiva (determinata dalla psicoterapia), al fine di riattivare quelle aree del cervello sia di destra sia di sinistra tese a preservare la conservazione delle funzioni cognitive (ad es. memoria, velocità di elaborazione dell’informazione..) e a favorire lo sviluppo della flessibilità dell’intelligenza con incremento di una maggiore presa di contatto con l’inconscio.

Lo studio pilota ha previsto un’ampia strutturazione e suddivisione del progetto in fasi: la selezione del campione, la valutazione iniziale per ogni singolo partecipante, le sessioni di gioco in gruppo, le sessioni di psicoeducazione in gruppo, la sessione di psicoterapia individuale e l’analisi statistica.

In questa sede dedichiamo la nostra attenzione alla stimolazione emotivo-affettiva effettuata mediante la psicoterapia. [2]

Metodologia

In parallelo con l’attività di stimolazione cognitiva, effettuata mediante le sessioni di gioco e di psicoeducazione, ciascun partecipante della ricerca ha effettuato un percorso di psicoterapia individuale della durata di sei mesi per un totale di ventiquattro sedute, con una frequenza monosettimanale.

Si precisa che a causa dell’emergenza sanitaria da Pandemia Covid-19, tutti gli incontri sono stati effettuati in modalità on-line.

L’orientamento è stato prioritariamente psicoanalitico ovvero basato sulla libera espressione dei vissuti emotivi di ciascun partecipante. Tali vissuti emotivi venivano sollecitati dagli input provenienti dagli incontri di gruppo (psicoeducazione e gioco) e trovavano uno spazio di elaborazione personale all’interno del setting di psicoterapia individuale.

Per questa ricerca sono stati selezionati due psicoterapeuti che condividevano rispettivamente la stessa aderenza alle regole del setting . Questa concordanza tra gli operatori in merito alla struttura della cornice di lavoro aveva lo scopo di garantirne l’attendibilità. Ciascun terapeuta ha seguito 4 partecipanti.

Con ogni partecipante sono stati calendarizzati tutti gli incontri previsti e sono state definite le regole del setting.

La cornice del lavoro psicoterapeutico prevedeva degli elementi stabili:

  1. Il luogo

– la psicoterapia in modalità online prevedeva per il terapeuta e per il paziente che il luogo nel quale avveniva il collegamento fosse uno spazio insonorizzato a tutela della privacy di entrambi;

– da parte del terapeuta è stata rivolta molta attenzione al luogo della seduta al fine di evitare che qualsiasi oggetto fisico o oggetto–ricordo potesse essere rivelatore di aspetti personali.

  1. L’orario, la durata e la frequenza delle sedute

– un giorno e un orario prestabilito per tutte le sedute;

– la seduta iniziava rigorosamente, come concordato con il soggetto, con una durata di 40 minuti;

– una frequenza stabilita per ogni seduta che non prevedeva né cambiamenti di orario e né recuperi;

  1. La responsabilità della seduta

– il paziente aveva l’impegno di essere presente alle sedute e di essere responsabile per tutte le sedute programmate;

– il terapeuta aveva l’impegno di tenere tutte le sedute stabilite a eccezione delle festività preventivamente comunicate.

  1. L’assenza di censura

– il paziente era invitato a dire ogni cosa gli passasse dentro, senza alcuna limitazione censoria (sensi di colpa e sentimenti di vergogna).

  1. Il ruolo fondamentale delle libere associazioni

– si comunicava ai partecipanti di lasciar vagare la mente senza un controllo cosciente predeterminato;

– veniva richiesto ai partecipanti di fornire in seduta il trascritto di eventuali sogni indicandone la data.

  1. La Privacy e la riservatezza

– ogni partecipante durante il periodo prestabilito per la ricerca si impegnava a non effettuare altri percorsi di cura;

– a tutti i partecipanti è stato garantito il rispetto della privacy e allo stesso modo veniva loro richiesto di mantenere la privacy evitando di parlare al di fuori dello spazio terapeutico sia del terapeuta e sia di quanto emergeva in seduta.

  1. L’anonimato relativo del terapeuta

– il partecipante e il terapeuta non avevano avuto precedenti contatti professionali o sociali;

– il partecipante non era a conoscenza della vita personale del terapeuta;

– il terapeuta si impegnava a non fornire rivelazioni personali né esprimere opinioni, consigli o ordini;

– non vi sono state rivelazioni sul terapeuta da parte di terze persone.

  1. L’uso di interventi neutrali

– il terapeuta lavorava esclusivamente con il materiale reso disponibile dal paziente in ogni seduta individuale;

– gli interventi sono stati considerati validi solo dopo essere stati confermati dalle comunicazioni in codice del paziente;

– si utilizzavano le interpretazioni in codice degli elementi scatenanti[3];

– sono stati esclusi gli interventi come domande, chiarimenti e confronti, poiché di norma non ottengono una validazione in codice, strumento fondamentale di verifica.

  1. La regola dell’astinenza

– limitare la soddisfazione del partecipante all’esperienza di una serie di condizioni idonee e giuste per la terapia, di una sana gestione delle regole di base e dell’offerta di interpretazioni in codice degli elementi scatenanti che conducono all’insight, validati a livello dell’inconscio profondo;

– limitare le soddisfazioni del terapeuta alle ricompense gratificanti di una psicoterapia condotta in modo corretto e all’aiuto fornito al partecipante nella ricerca del sollievo emotivo.

Tutte queste regole di base sono state stabilite nella prima seduta e non sono state modificate per nessuna ragione.

Campione della ricerca

Sono state selezionate per questo studio pilota complessivamente dieci persone. Successivamente sono state escluse dalla ricerca due persone che per subentrati motivi lavorativi non potevano più partecipare al progetto per tutta la sua durata. La ricerca è stata condotta su un campione non clinico. I soggetti sono stati reclutati attraverso il passaparola all’interno di una Università Romana.

Infine il gruppo sperimentale è stato costituito da otto persone, quattro over 50 e quattro under 30. Gli over 50 erano complessivamente due maschi e due femmine, così come gli under 30 (età compresa tra 19-25 anni).

Tutti gli under 30 erano studenti universitari senza un primo impiego mentre tra gli over 50 vi erano due pensionati, un lavoratore e un disoccupato.

Tutti i partecipanti hanno aderito a tutte le attività della ricerca in modo volontario e gratuito.

Analisi statistiche

Tutte le sedute di psicoterapia sono state interamente trascritte e sono state sottoposte ad un’analisi statistica. La scelta di trascrivere interamente ogni singola seduta è supportata dall’idea di Grassi (1999) secondo il quale «fondamentale è il contributo che i protocolli registrati offrono all’avanzamento della ricerca sul processo psicoterapeutico. L’uso di protocolli registrati non è più una scelta da legittimare e difendere, ma un indispensabile strumento del modello di lavoro».

Sebbene sia dibattuto l’uso dell’analisi dei trascritti, metodo che rientra nella famiglia delle ricerche qualitative, tuttavia esso ha il grande pregio di poter far dialogare orientamenti di psicoterapia e linguaggi differenti e pertanto effettuare un confronto sullo stesso materiale da diverse prospettive teoriche, con successivi contributi teorici e fenomenici (De Bei et al. 2006; Salvatore 2007).

Per quanto riguarda la valutazione dei narrati, sono state messe in atto procedure computazionali per l’identificazione delle parole più frequenti e le relative misurazioni mediante l’utilizzo di software WordCloud, indicato per la generazione di statistiche del contenuto dei narrati e delle osservazioni generate nelle varie fasi della psicoterapia.

La metodologia adottata è stata quella, ormai condivisa dalla comunità scientifica, che permette l’estrazione di informazioni rilevanti dall’analisi delle trascrizioni dei resoconti clinici, dei narrati dei partecipanti dei loro commenti e osservazioni.

Risultati

Dall’analisi statistica condotta sui trascritti di otto percorsi di psicoterapia (per un n. totale di 192 incontri) si sono evidenziati i seguenti dati:

  1. Resoconti sedute

Con il progredire delle sedute si è osservato:

-un notevole aumento di vocaboli che testimoniano l’incremento della consapevolezza e delle capacità di osservazione: “quando”, “essere”, “padre”, “madre”, “sorella”.

– aumentano anche sensibilmente le valutazioni positive sul vissuto: “bene”, “sempre”, “sogno”, “mio”, “mia”.

Diminuiscono vocaboli come: “problema”, “problematiche”, “paura”.

  1. Resoconti di osservazioni del terapeuta

Aumentano: “controllo”, “essere”, “persona”, “gioco”, “parla”.

Discussione

Partendo dall’ipotesi che il gioco, come mezzo di comunicazione e di interscambio intergenerazionale, abbia una valenza positiva che funga da stimolo sia per l’emisfero destro che sinistro del cervello, in questo studio abbiamo ritenuto che attraverso la psicoterapia fosse possibile il raggiungimento di una maggiore correlazione/integrazione tra i due emisferi cerebrali dei partecipanti in una chiave di lettura archetipica della dinamica Senex et Puer. L’archetipo del Senex rappresenta la storia individuale di ciascun individuo mentre l’archetipo Puer rappresenta tutte quelle possibilità esistenziali nuove e innovative che ciascuno di noi incontra e che sono uguali per tutti. Attraverso il gioco, strumento culturale, si incontrano da un lato le capacità e i talenti dei soggetti Under 30 e dall’altro lato la stabilizzazione e il solido sistema valoriale dei soggetti Over 50.

Nelle varie fasi della ricerca i partecipanti sono stati sottoposti a due tipi di stimolazioni: la stimolazione cognitiva e la stimolazione emotiva.

In primis è stato preso in considerazione il fatto che i partecipanti a questo studio-pilota non avevano richiesto personalmente di effettuare una psicoterapia individuale. Questo elemento, che sin da subito evidenziava la criticità dell’assenza di motivazione intrinseca da parte dei soggetti ad intraprendere il percorso, seppur presente non aveva inciso negativamente sullo svolgimento dell’intero percorso. Di fatto non si erano verificati drop-out e tutti i soggetti avevano concluso il trattamento psicoterapeutico. Nella maggior parte dei casi i soggetti inizialmente non avevano una reale motivazione a intraprendere il percorso psicoterapeutico, ma successivamente essi hanno potuto maturare l’idea che la psicoterapia potesse rappresentare per loro un’opportunità di confronto con le proprie tematiche emotive.

Il setting terapeutico, definito dalle regole concordate con ciascun partecipante, rappresentava la cornice di lavoro costante[4] per tutta la durata del percorso. In accordo con le parole di Bleger (1967) affinché il processo si sviluppi bisogna avere un setting che lo contenga.

Ad oggi si osserva che tra i vari terapeuti non esiste una piena concordanza né su quali regole di base siano essenziali per un’esperienza terapeutica sicura, né sui limiti della gestione della cornice (Langs 1973-74). Per quanto concerne il nostro operato, noi condividiamo la metodologia che Langs definiva setting a cornice sicura.

Grazie ai suoi numerosi contributi clinici, l’autore aveva rilevato che in tutti i pazienti è presente un congenito assetto inconscio di regole stabili che disciplina la relazione terapeutica. Da ciò scaturisce che il compito ineludibile dello psicoterapeuta è quello di stabilire le regole del setting, di mantenerle e di interpretare ogni tentativo di valicarle.

Queste regole pattuite nel contratto iniziale determinano così quella che Langs definisce “cornice sicura” ovvero l’unica in grado di promuovere un processo psicoterapeutico curativo (Grassi 2012).

Alla luce di ciò Langs (1998) asseriva che fosse un doveroso “compito dissipare ancora una volta il timore e il dubbio che queste regole di base siano troppo rigide, troppo difficili da stabilire e mantenere e troppo problematiche per pazienti e terapeuti. […]. Le esigenze profonde e costanti dei pazienti per un holding e un contenimento sano e sicuro richiedono, in effetti, un grande impegno a chiunque sia coinvolto. Eppure, non soddisfarle fino al massimo grado possibile rappresenta un grave danno per entrambi i componenti del trattamento. […]. In questo contesto, è necessario chiarire un altro fraintendimento. L’affermazione di queste condizioni ideali non implica che la psicoterapia non possa essere condotta anche in condizioni di compromesso, come quelle esistenti in una clinica. Si intende però affermare la necessità per una terapia, che voglia giungere veramente a degli insight, di essere organizzata attorno alle questioni della cornice. In ciò è implicito lo sforzo dei terapeuti per ridurre al minimo le deviazioni delle cornici dalle loro condizioni ideali. Un lavoro terapeutico fruttuoso non sarà possibile fino a quando il terapeuta non offrirà la cornice più sicura al suo paziente. In conclusione, un profondo apprezzamento del ruolo svolto dalle cornici e dagli interventi sulle cornici rende tutte le forme di psicoterapia molto più efficienti” (Langs 1998).

Viceversa la rottura del setting rappresenta ciò che altera in modo brusco ed evidente le norme del trattamento, e di conseguenza modifica l’assetto analitico. Tale alterazione a volte proviene dal paziente, configurando quindi un agito; altre volte da un errore (o un agito) dell’analista; altre infine da una circostanza fortuita, generalmente da un’informazione non pertinente che il paziente riceve da terzi. In ogni caso, l’ambito in cui si svolge il processo viene perturbato (Etchegoyen 1986).

I significati della cornice sicura toccano le aree fondamentali della vulnerabilità umana del paziente e del terapeuta e il sollievo ottenuto attraverso la deviazione da una delle regole di base ha sempre una componente patologica o inappropriata (Grassi 1999).

Alla luce di ciò diviene maggiormente chiara l’importanza di mantenere un setting a cornice sicura, in quanto esso offre le migliori condizioni possibili entro le quali si possa sviluppare un processo psicoterapeutico curativo (Langs 1985).

Nel nostro lavoro, grazie al mantenimento delle regole del setting, è stato possibile osservare le differenti reazioni di ciascun soggetto nelle varie fasi del percorso.

Fase iniziale (primi otto incontri)

Nella fase iniziale della psicoterapia il compito dello psicoterapeuta era quello di riconoscere le incognite esistenti e di prendere atto che in ogni fase, senza eccezioni, esistono pericoli reali che il paziente abbandoni la terapia. Ansie sul trattamento, resistenze e deterioramento nell’alleanza terapeutica sono di solito molto intense nella fase iniziale. Ne deriva che fin dalla primissima seduta il terapeuta deve monitorare ogni indizio di queste resistenze, delle paure o dei pensieri di abbandono della terapia. Lo scopo in questa fase è quello di stabilire una solida alleanza terapeutica, creare una corretta atmosfera terapeutica, stabilire una relazione di lavoro con il paziente, scoprire e analizzare le prime ansie verso la terapia e le resistenze ad essa (Langs 1973-74).

In questa fase di avvio del percorso psicoterapeutico abbiamo effettivamente potuto rilevare come tutti i soggetti abbiano mostrato inizialmente dei comportamenti, consci e inconsci, volti a trasgredire le regole del setting.

Le trasgressioni al setting erano rappresentate principalmente da:

  • assenze e i ritardi dei partecipanti;
  • richieste di spostamento di orario;
  • la presenza di censura in riferimento al comunicare senza alcuna limitazione;
  • l’assenza di libere associazioni;
  • difficoltà a produrre materiale onirico

Come sostiene Langs (1973-74) il setting sicuro dà al paziente una forte sensazione di holding e di contenimento e favorisce un salutare funzionamento dell’Io. Esso dà al paziente l’immagine di un terapeuta sano e favorisce lo sviluppo di una salutare simbiosi terapeutica. Nonostante ciò, a causa delle sue qualità restrittive, il setting sicuro mobilita intense angosce claustrofobiche, paranoidee e di separazione in quanto esso sembrerebbe essere una reminiscenza del fatto che la vita stessa abbia dei limiti precisi per i quali l’unica uscita sia la morte. Di conseguenza, l’angoscia di morte ha un grande significato nelle terapie dal setting sicuro, poiché quando questi problemi vengono analizzati appropriatamente da un lato si hanno potenti effetti terapeutici, ma contemporaneamente si sperimentano sensazioni di pericolo provate da entrambi, paziente e terapeuta. Ciò vuol dire che i significati del setting sicuro fanno molta più paura dei significati del setting deviante, sebbene la loro elaborazione analitica porti al miglior adattamento possibile per il paziente.

Le risposte dell’inconscio profondo dei pazienti agli interventi di gestione della cornice hanno dimostrato che, a un livello psicobiologico di base, pazienti e terapeuti palesano una esigenza costante di cornici sicure e di confini interpersonali ben definiti. È il modo in cui un terapeuta si rivolge e risponde a tali esigenze che incide sulle disfunzioni emotive del paziente e sulla loro risoluzione terapeutica. L’assunto di base della cornice sicura è che essa mobiliti insieme alle angosce claustrofobiche e alle angosce di morte del paziente, anche le sue risorse sane, quindi necessarie per la realizzazione di un processo terapeutico, rendendo tali angosce sempre più tollerabili e assottigliando vieppiù le difese nevrotiche e psicotiche (Langs 1980). L’alterazione di tali regole fa precipitare la psicoterapia dalla cornice sicura in una psicoterapia dalla cornice deviante (Ibidem). In quest’ultima il prezzo pagato dal paziente è un rafforzamento delle difese nevrotiche e psicotiche e un incremento dell’angoscia di morte unita alla sensazione di frammentazione psichica che rafforza la sua patologia (Berivi in Grassi 2012).

Secondo la psicoanalisi classica, il cambiamento può essere ostacolato dalle difese, le stesse che hanno reso inconsci gli impulsi istintuali e in parte, dalle angosce procurate dagli impulsi stessi. Poiché, come dice Anna Freud “è compito dell’analista portare alla coscienza ciò che è inconscio, a qualunque istanza psichica esso appartenga” (Freud, A., 1936), è inevitabile che il lavoro analitico attivi le difese. L’Io pone in essere attività difensive contro le possibili irruzioni dell’Es, impedendone l’accesso alla coscienza e assumendo quindi il carattere di resistenza all’analisi (ibid).

Alla luce di ciò è stato possibile osservare come le alterazioni del setting a cornice sicura operate dalla maggior parte dei partecipanti rappresentavano di fatto il tentativo di allentare la morsa claustrofobica procurata dallo stesso setting.

Fase intermedia (secondi otto incontri)

La fase intermedia del trattamento è definibile come il periodo che si estende dall’istituzione di una salda o almeno utilizzabile alleanza terapeutica sino all’inizio serio della conclusione. È la fase dedicata all’esplorazione, all’analisi, all’elaborazione e alla risoluzione dei sintomi del paziente e dei suoi problemi emotivi e personologici (Langs 1973-74).

In questa fase del percorso psicoterapeutico abbiamo potuto osservare che, superate le iniziali resistenze, i partecipanti aderivano maggiormente alle regole del setting a cornice sicura. In particolare è stato rilevato nei soggetti over 50 una maggiore produzione onirica e nei soggetti under 30 una maggiore costanza nella partecipazione alle sedute (riduzione del numero di assenze).

La tenuta del setting da parte del terapeuta e la più ampia adesione da parte dei partecipanti al setting a cornice sicura hanno contribuito a promuovere una stabile alleanza terapeutica. Di conseguenza tutto ciò aveva permesso la creazione di uno spazio di lavoro orientato maggiormente verso gli aspetti emotivi.

Rispetto all’incremento della produzione onirica è stato osservato da un lato la ricomparsa di sogni in soggetti che nella fase iniziale non sognavano e dall’altro lato è stato rilevato un cambiamento sia del contenuto sia della connotazione. In quest’ultimo caso i sogni assumevano uno spessore e una maggiore coloritura emotiva che comunicavano atteggiamenti di speranza, a differenza dei precedenti sogni, ripetitivi e monotoni, che segnalavano la presenza di aspetti depressivi.

A tal proposito nel suo approccio comunicativo Langs (1996) considerava i sogni come detentori di messaggi piuttosto che di funzioni di elaborazione. Ossia un sogno viene compreso come una riflessione multistratificata delle operazioni proprie della mente che elabora le emozioni, in modo conscio e in modo profondamente inconscio, al fine di adattarsi ad eventi scatenanti con un impatto emozionale. Ciò significa che un sogno si trova nel punto finale di un processo adattivo e non all’inizio. Pertanto, i sogni ci forniscono indizi nuovi attinenti ai conflitti intrapsichici del paziente (Langs 1973-74).

Bion (1962) suggerisce che la personalità umana sia costitutivamente equipaggiata con il potenziale per un set di operazioni mentali che svolgono la funzione di fare un lavoro psicologico conscio e inconscio sull’esperienza emotiva. Con operazioni mentali “psicoanalitiche” Bion indicava che questo lavoro psicologico veniva raggiunto attraverso quella forma di pensiero che era costitutiva della psicoanalisi, cioè il vissuto dell’esperienza contemporaneamente dal punto di vista della mente conscia e della mente inconscia. La funzione psicoanalitica della personalità per Bion era rintracciabile nell’esperienza del sognare.

Sognare implica una forma di lavoro psicologico in cui avviene una conversazione generativa tra aspetti preconsci della mente e pensieri fastidiosi, sentimenti e fantasie che le sono preclusi, che però spingono verso la consapevolezza conscia (l’inconscio dinamico). Ciò accade ad ogni essere umano che abbia raggiunto la differenziazione della mente conscia da quella inconscia.

In quest’ottica, un pensiero onirico rappresenta un pensiero inconscio generato in risposta a un’esperienza emotiva vissuta e costituisce l’impatto per il lavoro del sognare, cioè la spinta a fare un lavoro psicologico inconscio con pensiero inconscio derivato dall’esperienza emotiva vissuta.

Questa concezione proposta da Bion prendeva le distanze dalla concezione di Freud (1899) il quale prendeva in considerazione quel set di operazioni mentali che avevano la funzione di camuffare i pensieri-sogni inconsci attraverso la condensazione e lo spostamento. In questo modo l’autore definiva che i pensieri onirici in forma derivata-camuffata venivano resi disponibili alla coscienza e al processo di pensiero secondario. Diversamente per Bion il lavoro del sognare veniva rappresentato da quell’insieme di operazioni mentali che permettevano all’esperienza vissuta conscia di essere alterata in modo tale da diventare disponibile all’inconscio per il lavoro psicologico (sognare). In breve, mentre il lavoro onirico di Freud permetteva ai derivati dell’inconscio di diventare consci, il lavoro del sognare di Bion permetteva all’esperienza vissuta conscia di diventare inconscia, cioè disponibile per il lavoro psicologico di generare pensieri onirici e per il sognare quei pensieri. In tal modo risultava fondamentale per Bion l’idea che sognare fosse la forma principale attraverso cui fare un lavoro psicologico inconscio con la nostra esperienza consciamente vissuta (Ogden 2005).

Inoltre, in tutti i partecipanti è stata rilevata una modificazione dello stile comunicativo. Infatti da un iniziale stile comunicativo caratterizzato da narrazioni superficiali, prive di contenuti emotivi, si era giunti ad uno stile comunicativo carico di tonalità emotive, dato supportato anche dall’aumento di produzione onirica dei partecipanti.

Holt (1965) con uno studio sul tema dimostrava che la variabilità del discorso era positivamente correlata con il buon esito della terapia. Thoma e Kachele (1985) sostenevano che la capacità di diversificare il linguaggio si doveva interpretare come un segno di miglioramento del paziente. Una ulteriore misura formale utilizzata negli studi di Ulm era la ridondanza, cioè il numero delle diverse parole che comparivano in un testo e la loro frequenza di apparizione.

In secondo luogo il cambiamento dello stile comunicativo dei partecipanti si traduceva anche in una maggiore fluidità del racconto. La fluidità del racconto viene considerata in letteratura un indicatore di processo; infatti la maggior parte degli orientamenti psicoterapici conviene sul fatto che le narrazioni rigide e stereotipate siano associate a stati psicopatologici (De Coro A., Andreassi S., 2004).

Diversi autori concordano sul fatto che il discorso possa essere valutato attraverso diversi indicatori: tra questi vi sono il livello di coerenza e profondità, la capacità di articolare le narrazioni in modo dettagliato, di riconoscere le intenzioni dei protagonisti, di risolvere apparenti contraddizioni logiche o emotive (Fonagy e Target 2001; Habermas 2011; Di Maggio 2006,2011). In questa ottica, l’accuratezza, la veridicità, la coerenza e la profondità delle narrazioni rappresentano indici intrinseci di diagnosi psicopatologica. Altri autori invece sostengono che gli indicatori estrinseci di cambiamento discorsivo possono essere dati dal livello di ripetitività o di non innovatività nelle narrazioni del paziente (Goncalves et al.2011).

In letteratura vari modelli di ricerca hanno dato rilievo alla tematica sul cambiamento del discorso in psicoterapia. Tra questi vi troviamo il modello del Ciclo Terapeutico (TCM) di Bucci e Merghenthaler (Mergenthaler 1996, Mergenthaler e Casonato 2009), che identificava, attraverso un sistema di analisi computerizzato, i momenti di svolta di una seduta o dell’intero trattamento. L’ipotesi di questo modello prevedeva che i momenti fulcro di una psicoterapia erano caratterizzati dalla presenza simultanea di emozioni e di astrazioni, come accade ad esempio quando in una seduta il paziente racconta un vissuto emotivo e nello stesso tempo ci riflette, istituendo una connessione, contraddistinta dalla copresenza, di un alto tono emotivo e di un alto livello di astrazione (Mergenthaler 2000).

Angus e Greenberg (2011) proponevano un modello di analisi narrativa basato sul modo di raccontare le storie. Per questi autori il cambiamento era rappresentato dall’emergere in terapia di nuove storie o di esiti inattesi accompagnati da un senso di scoperta, piuttosto che da storie ripetitive, emotivamente piatte e incoerenti. In quest’ottica era ipotizzabile che un obiettivo psicoterapeutico specifico fosse rappresentato dall’aumento nel paziente della capacità di comunicare la propria storia in modo sempre più dettagliato, autentico e veritiero, coerente ed emotivamente ricco.

A tal proposito Langs (1980) identificava uno stile comunicativo che definì di tipo A, in cui il ruolo centrale era giocato dal simbolismo e dall’illusione. In questo caso il campo bipersonale (paziente-terapeuta) che si veniva a creare era caratterizzato dal formarsi di uno spazio di gioco o spazio transizionale in cui il paziente si sentiva sufficientemente libero di comunicare derivati analizzabili di percezioni, di fantasie, ricordi e introietti inconsci. A questo fine era indispensabile la presenza di una cornice sicura e di un terapeuta che fosse capace di effettuare interpretazioni corrette, capace cioè di leggere il materiale del paziente come una serie di commenti in codice ai propri comportamenti e interventi. Ciò rappresentava la capacità del terapeuta di lavorare sul piano della comunicazione simbolica. Pertanto lo stile comunicativo di tipo A “è uno stile caratterizzato dalla presenza di sogni che per quantità e qualità sono utilizzati simbolicamente come riferimenti alla relazione terapeutica e con tendenza all’insight”. (Langs 1973-74).

Fase finale (ultimi otto incontri)

La fase finale del percorso psicoterapeutico rappresentava in sé una fase delicata in cui l’evento stimolo era appunto la sua conclusione, e pertanto si caratterizzava per il lavoro sulla sua elaborazione psicologica.

Come sostiene Langs (1980) la fase conclusiva si distingueva da un lato per il fatto di suscitare intense angosce di separazione e di morte e dall’altro lato per il fatto di favorirne l’elaborazione alla luce di quel particolare evento che era appunto la prevista decisione del terapeuta di non incontrarsi più con il paziente. Infatti, in questa fase i pazienti si differenziavano tra loro nel modo in cui si impegnavano attivamente nel lavoro di elaborazione. Alcuni pazienti lo facevano in misura considerevole, altri invece erigevano difese sul piano comunicativo e spesso accadeva che in questa fase essi comunicassero in codice[5] soltanto in pochissime sedute, perfino nel corso di un periodo conclusivo della durata di sei mesi (Ibidem).

L’angoscia di separazione si presenta in tutti i cicli dell’analisi (da seduta a seduta, per le vacanze e naturalmente alla fine del trattamento), e come osservava Rickmann (1950) al termine dell’analisi l’angoscia di separazione si presenta più collegata alle angosce depressive, mentre all’inizio si presentano maggiormente angosce catastrofiche, confusionali o paranoidi.

Nel lavoro conclusivo, in accordo con quanto sostenuto da Langs, anche noi abbiamo potuto osservare le diverse reazioni di ciascun partecipante all’evento stimolo rappresentato dalla conclusione della psicoterapia.

Nello specifico, nei soggetti over 50 (n. 4) due di essi non avevano partecipato alle ultime sedute conclusive; uno aveva messo in atto le difese dell’Io molto simili a quelle osservate nella fase iniziale del percorso e tre di loro avevano richiesto al terapeuta di proseguire il percorso oltre la ricerca. Il senso di queste reazioni è stato rintracciato nella difficoltà che i soggetti hanno avuto nel confrontarsi con il tema della separazione; infatti tutti questi agiti sono stati messi in atto dai partecipanti allo scopo di difendersi dall’angoscia di separazione.

Tra i soggetti under 30 (n. 4) uno di essi aveva iniziato a parlare in seduta di tematiche riguardanti la morte; due soggetti avevano riattivato le medesime difese dell’Io osservate all’inizio del percorso; infine solo un soggetto era riuscito a confrontarsi con i temi dell’angoscia di separazione e di perdita legati alla conclusione della terapia.

È da precisare, che le angosce di separazione e di morte sono universali e sono presenti tanto nel paziente quanto nel terapeuta (Langs 1980).

Complessivamente in tutti i soggetti è stata rilevata una predominante difficoltà ad elaborare la conclusione del percorso psicoterapeutico. Come osserva Etchegoyen (1986) le forti resistenze e le contro-resistenze ad analizzare le angosce di separazione nella fase conclusiva sono strettamente legate al timore che possa esistere un legame e presuppone che questo legame preveda una dipendenza di ciascuno nei confronti dell’altro. «Una giusta interpretazione dell’angoscia di separazione tocca sul vivo il problema forse più doloroso dell’uomo, il suo legame con gli altri, la sua dipendenza e il suo essere orfano. Dobbiamo sapere perciò che ogni volta che interpretiamo l’angoscia di separazione mettiamo il nostro paziente di fronte alla solitudine e attacchiamo la sua onnipotenza» Etchegoyen (1986).

Dimensione archetipica Senex et Puer

All’interno di questa ricerca-pilota il setting a cornice sicura ha rappresentato una costante condivisa da entrambi gli psicoterapeuti per tutta la durata del percorso. Grazie ad esso abbiamo potuto osservare le reazioni dei singoli partecipanti e anche la dinamica archetipica Senex et Puer. L’archetipo Senex et Puer è presente in ogni individuo a prescindere dalla sua età biologica e si manifesta nella Psiche collettiva in una concezione psicologica generale della storia e della formazione culturale. La popolarità specifica di questo archetipo riguarda il processo: la vecchiaia e la morte, la giovinezza e la crescita, le forme e le strutture, la fluidità e il cambiamento, la vita come esperienza passata e come attesa creativa, la saggezza e l’insight intuitivo. Qualsiasi scissione nella psicologia dell’individuo di questo archetipo determina effetti negativi (Hillman 1967).

Il Puer ovvero l’eterno fanciullo è una figura individuata da Jung come immagine dell’inconscio collettivo i cui elementi caratteristici di questa personalità sono da una parte la carica di energia, di creatività, di gioiosa irresponsabilità, il fascino, l’intelligenza, il coraggio e dall’altra parte l’irresponsabilità, la mancanza di concretezza e costanza, l’egoismo affettivo, l’instabilità dei rapporti (Von Franz 1970).

Come accade in tutti gli archetipi, è possibile osservarne la rispettiva polarità che nel caso specifico è rappresentata dagli aspetti positivi della curiosità, del continuo divenire, dell’attrazione per il nuovo e l’eternamente giovane. La controparte negativa è rappresentata dall’incompiutezza, dall’inconsistenza, dall’eterna insoddisfazione e dalla difficoltà ad adattarsi. Tutto ciò si traduce nell’incapacità di entrare nel tempo e di invecchiare e nel rimanere figlio e non diventare padre.

Per poter fare il suo ingresso nel mondo e nel tempo, ed esprimere tutte le sue potenzialità, il Puer ha bisogno di incontrare l’archetipo Senex, che rappresenta il principio dell’ordine, della temporalità, del limite e del confine. Come il Puer, anche il Senex è duale, tende alla polarità e, se disconnesso dal Puer, finisce inevitabilmente con il soggiacere al dominio del suo lato negativo. Appare chiaro che Puer et Senex devono necessariamente sostenersi e alimentarsi reciprocamente al fine di favorire l’attivarsi della creatività dell’individuo, evitando in tal modo che entrambe le polarità possano finir preda dei propri aspetti negativi.

Hillman (1967) afferma anche che Senex et Puer possono manifestarsi allo stesso modo in molte fasi diverse della vita e influenzare qualsiasi complesso. Infatti, i nostri atteggiamenti puer non sono legati alla giovinezza così come le qualità senex non sono prerogativa della vecchiaia: la psiche ha un suo corso individuativo che prescinde dal corso biologico dell’esistenza.

Dall’analisi qualitativa dei trascritti di tutte le sedute di ciascun partecipante è stato possibile rilevare la dinamica archetipica Senex et Puer all’interno della relazione terapeutica. Nello specifico emergevano immagini oniriche e commenti su personaggi che presentavano caratteristiche tipiche del Senex ovvero figure che hanno expertise, autorevolezza, saggezza e ordine. Alcuni esempi sono rintracciabili all’interno delle sedute quando i soggetti parlano di personaggi (reali o onirici) con cui hanno stretto un rapporto, tra questi: “padre spirituale con cui confrontarsi”, “una guida silenziosa come Virgilio”, “il capo che dirigeva i lavori”, “l’avvocato che difendeva le cause”.

Osservare questa dinamica archetipica Senex et Puer ha evidenziato come le stimolazioni cognitive provenienti dalle sessioni di gioco e di psicoeducazione gruppo favorivano lo scambio intergenerazionale interpersonale tra under 30 e over 50 e come la stimolazione emotiva-affettiva, mediante la psicoterapia, promuoveva lo scambio intergenerazionale a livello intrapsichico.

Conclusioni

Considerando sia le valutazioni strettamente psicometriche, che quelle derivanti dalle quantificazioni dei narrati provenienti dalle sedute effettuate, si è osservato un deciso miglioramento delle condizioni dei partecipanti. Il trend generale è stato positivo, con presenza di eventi migliorativi altamente significativi e altri in via di raggiungimento della significatività, con valori assai prossimi al cut-off della p=0.05.

Dalla fase iniziale sino alla conclusione del trattamento psicoterapeutico i miglioramenti osservati nei partecipanti riguardavano in particolare l’aumento della consapevolezza e l’incremento della capacità di mentalizzazione. Infatti, l’ampliamento della produzione onirica nei partecipanti testimoniava una maggiore presa di contatto con il mondo emotivo e fornivano la chiave d’accesso per la dimensione intrapsichica. Inoltre, si è osservata una riduzione della sintomatologia ansiosa. 

Durante le sessioni di gioco di gruppo emergevano vissuti emotivi di rabbia, di inadeguatezza, di competizione e di ansia prestazionale che andavano a toccare nello specifico temi personali di ogni singolo partecipante. L’elaborazione di tali vissuti all’interno del percorso di psicoterapia promuoveva la presa di coscienza delle proprie dinamiche intrapsichiche e interpersonali, favorendo in tal modo un miglioramento della capacità relazionale. 

Inoltre, si è evidenziato un significativo entusiasmo da parte di entrambi, under e over, nello scambiarsi vicendevolmente le proprie conoscenze. Questo scambio relazionale improntato sulla solidarietà e sulla cooperatività forniva a ciascun partecipante la possibilità di contattare anche a livello intrapsichico i propri aspetti Senex et Puer.

Complessivamente possiamo affermare che, seppur l’esiguo campione non clinico abbia rappresentato un limite per questo studio pilota, dall’altro lato la cospicua messe di dati ha consentito di verificare la fattibilità del progetto. Infatti, è pensabile che questo protocollo di studio possa essere esteso alla popolazione clinica per i trattamenti terapeutico-riabilitativi come nei casi di disturbo da gioco d’azzardo.

In fine, a seguito delle sessioni di gioco, psicoeducazione e psicoterapia, riteniamo di poter asserire che in questo studio pilota i risultati ottenuti hanno evidenziato in ciascuno dei partecipanti una maggiore adesione al rispetto dei limiti e dei confini, un incremento della capacità di gestione e di controllo dell’emotività e una migliore integrazione intergenerazionale intesa come interscambio di conoscenze nell’ottica intrapsichica e interpersonale Senex-Puer.

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  1. Report ISTAT 26.11.2021

  2. Per un approfondimento del quadro teorico di riferimento della ricerca vedi articolo Grassi et al. 2022.

  3. Per Langs l’unico mezzo per accedere al sistema inconscio profondo del paziente è la decodifica interazionale ovvero la traduzione dei derivati alla luce delle implicazioni degli interventi del terapeuta.

  4. Vedi Langs (1973-74, 1980,1988, 1998)

  5. Vedi Langs 1988 pag. 15

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