Il gioco d’azzardo incontra il Cigno Nero. Problemi epistemologici e istituzionali
Maurizio Fiasco

Questa tela di Gigi Gatti (Gazzola, Piacenza, Italia, 1955) ci è parsa evocare la sospensione psicologica e esistenziale dei mesi del confinamento a casa per il covid-19. E’ stato osservato il sentimento di strana, e complessa familiarità delle opere dell’artista. Vi proiettiamo quel richiamo all’empatia, a quel compito cui il terapeuta attende, se possibile con tratti “premurosi e avvincenti”.

Il gioco d’azzardo incontra il Cigno Nero.

Problemi epistemologici e istituzionali

di Maurizio Fiasco

Indice sommario

1. Universale (pandemia) e Particolare (azzardo per gioco). 2. Sfida drammatica per il pensiero scientifico delle dipendenze. 3. Isolamento, paura, pensieri nelle lunghe settimane dell’ “Io resto a casa”. Testimonianze. 4. Proposta di tesi per un’epistemologia su gioco d’azzardo contemporaneo, società, persona. 5. Problema del gioco d’azzardo o focus sul giocatore patologico? 6. Passatismo e “perle” sul Gioco Problematico. 7. Nella procedura logica degli “assunti”. 8. Dipendenza come progetto industriale vs sapere del clinic. 9. Ripensare l’approccio psico-sociale e quello clinico nelle condizioni contemporanee. 10. Gambling industriale come abuso di acquisizioni delle scienze e di tecnologie. 11. Uscire dall’Addiction fiscale dello Stato[1].

Universale (pandemia) e Particolare (azzardo per gioco)

L’emergenza sanitaria totale per il Coronavirus si è rovesciata, con uno dei suoi molteplici effetti collaterali, anche sulla possibilità di praticare il gioco per denaro, con denaro e a scopo di lucro attraverso una megamacchina dai terminali distribuiti capillarmente. Detto in termini naturali e non da “giurisprudenza di Cassazione[2]”, da quando sono stati adottati provvedimenti drastici per fronteggiare la pandemia[3], infatti, si è imposto di interrompere anche il gioco d’azzardo, qual è praticato in massa nel Belpaese. Una mannaia è calata sulle infrastrutture materiali di supporto, poiché di ogni porta d’accesso “fisica” al gioco d’azzardo è stata imposta la serrata per molte settimane. Tra le poche modalità risparmiate dai divieti assoluti vi è stata la vendita dei tagliandi delle cosiddette “lotterie istantanee”, note con il marchio di “Gratta e Vinci”. In generale però si è bloccata la pressione capillare e insistente per indurre a giocare denaro, quale veniva esercitata quotidianamente, e a tutte le ore, da ben 240 mila punti di distribuzione dell’azzardo
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Se lo shock ha imposto di spegnere  265 mila slot machine “da bar”, 58 mila VLT (che altro non sono che slot machine, ma “da sala”), di calare la saracinesca di oltre novemila botteghini delle scommesse sugli sport e di lasciare in stand by la raccolta in altri 120 mila punti di vendita, tutto questo non ha mutato granché il destino delle forme “tradizionali” o “storiche”. Qual cascami del passato, versavano in pessime condizioni. Da almeno cinque anni prima, infatti, gli ippodromi, il luogo dell’epopea delle scommesse sulle gare dei sauri, erano stati chiusi per crollo dei ricavi. Prima erano finiti abbandonati dai semplici frequentatori, poi dal sottobosco di scommettitori simili ai personaggi della pellicola cult “Febbre da cavallo”.

Anche i casinò erano piombati in uno stato pressoché comatoso. Tutti: da quello della Vallée  al rivierasco di Sanremo, passando per Venezia e arrivando allo stabilimento di Campione d’Italia, la più grande infrastruttura Europea dell’azzardo: chiuso per un crack irrecuperabile dal tribunale fallimentare nel luglio del 2018, ed in effetti impossibile da salvare, nonostante commissariamenti prefettizi e ricerca di sovvenzioni statali. Non vi è stato bisogno dunque del Covid 19 per il de profundis dei Templi della Belle Époque dell’azzardo. Crollati insieme a tutto il loro corredo di simbolismi attorno alla Fortuna. La Dea Bendata è finita anch’essa ostracizzata, e dunque è forzatamente scomparsa: con il dileguamento di immagini, simboli ed esperienze fantastiche, note anche al grande pubblico per le narrazioni letterarie o per l’abbondante produzione filmica “di genere”.

E allora, con stop obbligatorio anche di scommesse, slot machine e lotterie varie si sono verificati due fenomeni speculari. Da un lato c’è stata la spontanea remissione del sintomo (per l’appunto a causa del lock down universale, incluse ovviamente le porte di accesso all’azzardo) e dall’altro si sono interrotti nella maggior parte dei casi i programmi terapeutici per le persone che avevano varcato da tempo i confini della sopportabilità soggettiva del gambling disorder. Tutto rinviato, del resto, nelle prestazioni sanitarie: dalle visite oculistiche alle psicoterapie.

A questo punto risulta interessante osservare gli atteggiamenti e le valutazioni sociali, che in varie forme vengono alla ribalta, tanto con una dichiarazione nei mass media, quanto con documenti dell’industria del settore e quanto ancora con sortite estemporanee in varie trasmissioni o testate on line, alla ricerca di notizie interessanti, in mezzo alle cronache noiose, spesso stucchevoli della pandemia, tra bollettini e statistiche e volti in primo piano dei cavalieri del bene, in lotta nei salotti dentro le mura domestiche contro il coronavirus che atterrisce i telespettatori. Tra improbabili denunce di giocatori impazziti per la forzata astinenza e passaggi in massa ai casinò su internet sono scomparsi dalla scena sia dati e sia esperienze verificabili. Per esempio, pochi spiragli si sono aperti sulle lamentazioni degli allibratori on line circa un crollo dei loro affari (anche a piattaforme funzionanti quasi come prima) e sulla mancanza di episodi di reazioni violente o almeno eccitati dei giocatori in quarantena. Semplicemente è accaduto che il gambling non potesse andare a cercare le persone per ingaggiarle nelle sue ruote, e gli uomini e le donne in carne ed ossa non sono, per lo più, corsi a ritrovarli.

Oggi è in atto una operazione commerciale che naturalmente si fa accompagnare da un alito di ideologia. Occorre, e lo si auspica, dunque il ripristino delle sale da gioco. Il motivo viene da sé: perché è uno dei segnali da auspicare del ritorno alla normalità, dopo un trauma universale. Dunque, nel senso comune anche il rilancio delle puntate di soldi rientrerebbe nella percezione di una quiete dopo la tempesta.

Riassumendo: se da una parte in coloro che avevano già conosciuto lo stato di dipendenza patologica vi è stata l’attenuazione della spinta alla problematicità della condotta; dall’altra parte – qual seconda faccia della medaglia – si sono interrotte forzatamente le terapie in corso verso molti pazienti. Insomma, ad una minore sollecitazione al gambling ha fatto da contraltare il rischio di vanificare il risultato delle psicoterapie in atto, proprio perché esse non si sono potute proseguire. Soffermiamoci su tale “dettaglio” ancora mai segnalato.

È prevedibile che le difficoltà per i pazienti di avere l’accesso alle cure proseguiranno  anche dopo la fine delle limitazioni severe alle attività economiche e ai movimenti delle persone. Forse le si potrà riprendere in autunno, solo dopo che avranno ricominciato a funzionare i servizi di cura per le patologie dell’organismo fisico delle persone.

Ne consegue che si prolungherà la penalizzazione dei programmi per la sofferenza psichica della persona, specialmente per quelli che si basano sulla partecipazione in gruppo degli addicted. Per dirla meglio, rimarrà per un certo lasso di tempo un divario tra bisogno e offerta, poiché nei mesi della quarantena sanitaria solo una minoranza di unità di servizio terapeutico è riuscita a compensare con gli strumenti digitali quel che non si poteva offrire “in presenza”. La maggioranza delle persone prese in carico hanno subìto la sospensione di riferimenti terapeutici.

Ora la situazione sta parzialmente migliorando, tanto che alcuni gruppi di auto mutuo aiuto (AMA) vanno avanti “da remoto”. Ma non tutte le metodiche di terapia possono trasmigrare on-line, poiché  determinati programmi richiedono di esser svolti “in presenza”. E così, inevitabilmente, davanti a un quadro clinico drammatico e complesso, laddove si richieda l’incontro vis à vis con il terapeuta, avviene l’interruzione o si riduce l’efficacia della presa in carico.

In generale, si sono innalzate le soglie per poter accedere alle offerte di servizio, sia delle aziende sanitarie e sia dei variegati enti privati o dei singoli professionisti. È questo un punto da sottolineare: si crea un divario tra la spinta che induce a giocare d’azzardo – che per l’appunto si riprenderà a esercitare da parte dell’industria del settore – e la disponibilità di attività di prevenzione e cura, che ha subìto un grave “taglio”.

Tutto questo accade mentre peraltro le lobbies del settore insistono perché le sale da giuoco riaprano quanto prima, per non perdere quell’asset perverso loro disponibile e che consiste nella fidelizzazione dei consumatori più interessanti: quelli contrassegnati dal DGA. Le autorità pubbliche dovrebbero quindi consultare i clinici prima di decidere se autorizzare. Quanto meno andrebbe evitato di considerare l’ipotesi di rimessa in moto della macchina del gambling prima che tutto il sistema dell’offerta dei servizi di presa in carico terapeutica abbia ripreso a funzionare regolarmente.

Sfida drammatica per il pensiero scientifico delle dipendenze.

L’evento non previsto della pandemia e i precetti ferrei che è stato obbligatorio adottare hanno dunque liberato delle evidenze che la ricerca scientifica sulle dipendenze da gioco d’azzardo tentava di raggiungere, tra le vivaci controversie e le polemiche sul profilo del gambling disorder, sulla regolazione pubblica da adottare, sul rapporto tra libertà individuale e salute, sui fattori “predisponenti” e su “quelli ambientali”, sulle risorse protettive e sulle eziologie dell’addiction. Nessun metodo sperimentale o studio di coorte, o qualsivoglia osservazione, infatti, può esser di soccorso quanto la manifesta condizione universale della popolazione per cause non predeterminabili da alcun sistema organizzato. La conoscenza si organizza nel farsi della realtà, mettendo alla prova gli assunti teorici.

Si tratta quindi di ricostruire un fenomeno complesso – il gioco d’azzardo nella società contemporanea – mentre sta subendo un rivolgimento mai previsto e né prevedibile, dalle dimensioni epocali, in una stagione che pone l’intero mondo globalizzato di fronte a una “tragedia dei mali comuni”.

Definisco così, con un asciutto paradigma, la “tragedia dei mali comuni”, ovvero lo sfondo che inevitabilmente riguarda anche il nostro tema: vi sono immani pericoli condivisi universalmente che non possono esser fronteggiati dai singoli individui – anche da quelli che appaiono detentori di ricchezze immani – agendo per l’interesse privato. In altri termini i “mali comuni” dissolvono ogni fondamento dell’utilitarismo di Adam Smith (“vizi privati, pubbliche virtù” grazie alla “mano invisibile del mercato”) quando si tratta di pervenire alla sopravvivenza (o anche solo a uno stato sufficiente di salute) del singolo davanti a una tragedia universale: la guerra nucleare, le inondazioni, la desertificazione, l’inquinamento intollerabile di aria e acqua.

Reciprocamente, l’azione collettiva è necessaria perché molti beni irrinunciabili per la vita dell’uomo possono essere fruiti solo in quanto “beni comuni”, sia materiali (aria, acqua, ambiente ecc.) e sia immateriali (la lingua, la cultura ecc.). Ma la condizione di questi “beni comuni” è davvero rischiosa, al punto che si presenta una “tragedia dei beni comuni”: le risorse condivise corrono il pericolo sia dello sfruttamento privato (che dunque le negherebbe a parti dell’umanità che ne hanno la titolarità naturale) e sia la distruzione completa (e dunque per tutti gli esseri umani, astrattamente considerati quali “attori razionali”). Perché questo può accadere? Perché non è stato ben definito un “diritto di proprietà” su tali “beni comuni”. Un diritto di proprietà che non sia né di natura privata e né di detenzione dello Stato, ma della sfera comune: per l’appunto i “beni comuni” dell’umanità.

Ebbene, nella “tragedia del “male comune pandemia” ha subìto un colpo pesantissimo l’apologia del gioco d’azzardo legalizzato versus il gioco praticato “in nero”, come se il primo fosse un espediente necessario per sconfiggere, all’insegna dell’utilitarismo, un’attività che sfida la legge dello Stato, a fronte di una costante: la generalizzata propensione di uomini e donne a ingaggiare sfide per ricavare denaro dal caso, pur mettendo a repentaglio beni materiali e immateriali di grande importanza, se non di sussistenza.

Per inquadrare lo stato attuale della dinamica delle patologie da gioco d’azzardo occorre partire da ciò che è disponibile nella contemporaneità, rifuggendo dal rischio di conservatorismo scientifico e pragmatico: poiché è naturale che tale sia l’atteggiamento che il rivolgimento suscita in professionisti, ricercatori, scienziati i quali tutti percepiscono la subitanea obsolescenza tanto dei rispettivi background teorici quanto di buona parte della pragmatica da essi elaborata.

Da quando il gioco d’azzardo è divenuto un comportamento “di massa”, industrialmente prodotto e incentivato, si è via via affermato uno scenario che rende obsoleti alcuni, ricorrenti modelli di lettura. Ci riferiamo a categorie e schemi interpretativi che risalgono a quando il consumo e l’abuso non erano dilaganti, e i luoghi e i tempi del gioco d’azzardo erano definiti, collocati in spazi contenuti e per occasioni a ciò riservate. L’immagine comunemente diffusa si componeva di tre poli: da un lato ve n’era uno elitario dei casinò e delle case da gioco (alcune autorizzate, molte altre illegali) e, all’opposto, si collocavano due altri poli: quello popolare delle lotterie e delle scommesse negli ippodromi e quello plebeo e deviante delle bische clandestine. In ogni caso, le strutture e le modalità di offerta di azzardo erano caratterizzate da una separata collocazione organizzativa nei tempi e negli spazi, con scarse sovrapposizioni con quelli della vita quotidiana della popolazione.

Disruptive Innovation, dunque: quale alternativa obbligata al vagheggiamento dello status quo antea, ma anche come unica reale chance per salvare, impiegandole al meglio, la scienza e l’esperienza elaborata in tanti anni di duro sacrificio e all’insegna dell’assoluta onestà intellettuale.

Isolamento, paura, pensieri nelle lunghe settimane dell’ “Io resto a casa”. Testimonianze

Prima testimonianza

“Sono affetto da Disturbo da Gioco d’Azzardo, e malgrado in cura da più di due anni la situazione non è cambiata. Però, in questo periodo, visto che io scommetto sulle scommesse sportive e lo sport è fermo, sono 45 giorni che non gioco.

Ho sentito che verranno riaperti alcuni giochi a breve, forse domani e che ci sono casi di azzardopatici che sono in crisi di astinenza. Non vorrei che questa fosse una scusa.

Io anzi sto molto meglio. Non penso al gioco, non ho mai sofferto in questo periodo malgrado sia disoccupato e con gravissimi problemi economici dovuti al gioco.

Sogno tutte le notti, cosa che non facevo da anni ed ho paura pensando a quando anche lo sport ricomincerà a pieno ritmo” [4].

Seconda testimonianza

“Chi l’avrebbe mai detto!

Chi avrebbe mai detto che la più grande tragedia dal Dopoguerra ad oggi avrebbe avuto almeno un lato positivo. Chi?

Mi vergogno quasi a dirlo, pensando alle centinaia di migliaia di morti che il virus sta provocando nel mondo. Ma lo stop ad ogni forma di gioco mi ha aiutato. Pensavo che non avrei resistito e invece…

Invece la mia vita sta cambiato. E spero che sia un cambio definitivo.

Non ho giocato più un euro e, soprattutto, non ho la minima voglia di farlo.

Ho ripreso a parlare con i miei figli, a leggere, a riflettere, a scrivere. Proprio come mi capitava da ragazzo.

Ho insomma ripreso a vivere, a sorridere, a piangere, a emozionarmi.

E non è poco. Ora ho maggiore determinazione per tirare avanti e mettere una pecetta (anch’essa spero definitiva) sui guai del passato.

Avrò ancora bisogno di aiuto, certo, ma adesso sono sicuro di poter capitalizzare al meglio quell’aiuto.

Ringrazio Dio. Ma poi mi chiedo: non è che l’azzardo (perché è giusto non chiamarlo gioco) possa essere per sempre chiuso?

So che lo Stato ci guadagna e quei guadagni li mette a bilancio ma spianare quel settore, con le dovute precauzioni, significherebbe salvare diverse famiglie.

Non è un discorso di comodo. Semplicemente è quello che ho imparato dalla mia storia.

Sogno di tornare alla schedina del Totocalcio che giocavo con mio padre. Poche lire che servivano a pagare il biglietto per ascoltare “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Era una festa, vincevi o perdevi, non la merda che ho conosciuto”[5].

Terza testimonianza

“Poi il mondo si è fermato di colpo e i nostri pazienti e le loro famiglie ci hanno mostrato qualcosa di molto importante di cui desidererei tener conto per il futuro e informarne i nostri governanti: di mancanza di gioco d’azzardo non si muore, non ci si ammala, non si soffre!

“…e osservati con video chiamate abbiamo scoperto che queste persone [i giocatori in cura] si attivavano a fare il possibile, alcuni da soli e altri con i famigliari: improvvisamente sono sembrate persone ritornate ad essere normali, capaci di dipingere casa, di andare al lavoro senza perdersi altrove, dedicarsi al giardinaggio, giocare con figli, riappacificarsi con i coniugi e finanche offrirsi per attività di volontariato sociale”[6].

Quarta testimonianza

“Nonostante i dubbi sulla fattibilità di una psicoterapia di gruppo non vis-à-vis, ho scelto di continuare il lavoro terapeutico attraverso una delle tante piattaforme per la comunicazione a distanza.

“Da inizio marzo hanno quindi preso il via le sedute di psicoterapia di gruppo online, secondo gli stessi orari

e regole delle sedute tradizionali, che ad oggi hanno già raggiunto il numero di quaranta e che, prima della fine dell’emergenza, potrebbero superare le duecento.

“Ed è proprio in un periodo drammatico e di isolamento come quello attuale che diventa fondamentale il proseguimento del lavoro terapeutico di gruppo, pur con modalità non ortodosse. Modalità che, al netto dei propri limiti, si stanno rivelando per certi aspetti perfino vantaggiose: la partecipazione alle sedute è aumentata, superando dopo la terza settimana il 90%, ma soprattutto, dato questo particolarmente interessante, si è riusciti a coinvolgere in terapia familiari finora reticenti o impossibilitati a partecipare perché residenti all’estero”[7].

Quinta testimonianza (anzi prima citazione)

“… nel nostro Paese Regioni e Comuni hanno, abbastanza superficialmente, cercato soluzioni per la gestione del fenomeno e sono intervenute, perlopiù, col fine di limitare il numero delle sale attraverso misure che – secondo gli Istituti di ricerca – si rivelano di scarso impatto e quantomeno inefficaci.

Prima fra tutte quella definita come “distanziometro”, ovvero il divieto di aprire sale o installare slot-machine a meno di una certa distanza da chiese, scuole e altri luoghi sensibili. Recenti dati mettono in evidenza come invece una parte dei giocatori problematici (mediamente il 10%) spesso scelga di rivolgersi a sale distanti dall’abitazione, proprio per nascondere il disagio che ne può derivare. Doxa (2019) mette in evidenza che la maggior parte dei giocatori non ha alcun problema a scegliere una sala più lontana: si sposterebbe in un altro punto vendita il 69% dei giocatori di scommesse sportive, il 65% dei giocatori di Slot e il 61% dei giocatori afferenti al Video Lottery Terminal. Solamente il 12% – emerge dallo studio – smetterebbe di giocare, qualora chiudesse il luogo di gioco abituale[8]”.

Proposta di tesi per un’epistemologia su gioco d’azzardo contemporaneo, società, persona

Giunta dunque al culmine della sua performance – 110 miliardi e mezzo di euro, 120 milioni giornate uomo spese dai consumatori piazzati nelle svariate postazioni – l’industria del gambling ha incrociato anch’essa il Cigno Nero. E non si è trattato della figura nell’opera di Piotr Ilic Chaikovskij, quanto invece della metafora lanciata da Nassin Taleb, un matematico finanziere filosofo, storico e psicologo di origine libanese, per far comprendere nella sua opera omonima come gli apprendimenti del passato, creando certezze di conoscenze, possono giocare scherzi bruttissimi: fino a rendere gli uomini impreparati davanti alle catastrofi finanziarie, alla scomparsa di intere civiltà mantenutesi prospere fino a quel dato momento, dopo secoli e secoli di sviluppo materiale, spirituale, scientifico.

Dunque, il Cigno Nero è per tutti gli investitori. Compresa l’industria dell’azzardo, che oltre a far giocare temerariamente denaro e tempo sociale di vita ai consumatori, può essere annoverata essa stessa – per i suoi costrutti di business – qual soggetto giocatore d’azzardo. E non tanto per la ovvia posizione di “banco” contrapposto al gambler. Il complesso industriale del gambling rischia infatti il collasso insuperabile, come già anticipato (in tempi non sospetti) nel microcosmo di Campione d’Italia, quando nel luglio 2018 venne decretato il fallimento del più grande casinò fisico in funzione in Europa.

Il collasso delle società è provocato non solo dal crollo dei consumi nei luoghi fisici dove si punta denaro, ma anche dal la cessata prosecuzioni del multilevel marketing della finanza derivata dalle concessioni di Stato: che offrivano il miraggio di strappare margini di profitto indefiniti dall’offerta crescente dell’azzardo “in pubblico”. Cos’altro ci si poteva aspettare, prima del Cigno Nero, da un business moltiplicatosi di undici volte in venti anni?

Ebbene, gli aspetti economico-finanziari di un business con suesposti numeri e siffatte strategie di mercato hanno oggi grande rilievo anche per quanti s’impegnano professionalmente nell’offrire aiuti e terapie alle persone con sofferenze psichiche derivate dall’abuso di gioco d’azzardo. Mentre il complesso industriale-commerciale del gambling è alla ricerca di forme di rilancio dei suoi “servizi” (per esempio studiando piattaforme digitali o allestimenti fisici compatibili con le regole anti-contagio del Covid) lo sfondo generale delle varie fasi del ripristino di una normalità nel quotidiano delle popolazioni condiziona ovviamente anche gli studiosi, gli operatori, gli analisti e tutto l’arco della clinica delle dipendenze, come a esempio quella che si occupa del Disturbo da Gioco d’Azzardo.

Problema del gioco d’azzardo o focus sul giocatore patologico?

Un curioso dilemma si rivela quando si tenta l’inquadramento istituzionale e sociale del gioco d’azzardo come rischio per la salute. Di solito l’’accento viene posto sul gioco problematico, e non su un ben più congruente “problema del gioco”. Accantoniamo per il momento il “dettaglio” della mancata evocazione del denaro, dello scopo di lucro che lo connota. E allora, Problem gambling o Gambling problem?

È quell’eccezione del gioco di alea che subisce un’interferenza di aspetti patologici a dover essere inquadrato come problema? Oppure l’oggetto del contendere è proprio l’emergere di una questione del gioco d’azzardo, laddove lo Stato ne consente (anzi promuove) l’offerta commerciale in pubblico? In breve: ci si deve occupare del gioco d’azzardo problematico o del gioco d’azzardo che di per sé è un problema[9]?

La definizione appropriata della dipendenza da gioco d’azzardo, finalmente fatta propria dal Servizio sanitario nazionale grazie al decreto Balduzzi (2012) e all’inserimento nei nuovi Livelli Essenziali d’Assistenza (2017), coesiste tuttora con la propensione dello Stato a trarre dal consumo di alea un rifornimento di reddito per sostenere i costi del suo apparato. È così che l’abitudine del puntare denaro in attesa di premi concessi solo per puro caso è pervenuta a proporzioni enormi e quali mai si erano conosciute in Italia.

Da molte parti si ritiene che possa ancora essere costruita la definizione di gioco d’azzardo patologico (il problem gambling), trattando il giocatore come una monade, e attribuendogli un profilo psico-patologico differenziale. Questa operazione teorica e pragmatica è proposta come se si fosse rimasti fermi agli anni Ottanta del secolo scorso, quando si esponeva un’offerta di gioco d’azzardo che stazionava in uno dei quattro casinò italiani, e vi erano delle persone che da Milano, come da qualsiasi altra parte della Penisola, si recavano a Campione d’Italia, a Sanremo, a Saint Vincent o nel casinò storico di Ca’ Vendranin a Venezia. Al capo sociale opposto, da un ambiente plebeo o popolaresco, nei giorni delle corse con i cavalli gli scommettitori raggiungevano gli ippodromi di San Siro, delle Capannelle o di Tor di Valle.

Se tali “pellegrinaggi elitari” verso le Case da Giuoco avessero attirato l’interesse scientifico-professionale di sociologi, psicologici, antropologi ed economisti (ancora meno numerosi) essi si sarebbero domandati, tentando un approccio al tema del gambling, perché alcune persone vanno a puntare denaro ed altre non lo desiderano. Il focus per interpretare i comportamenti (nei risvolti problematici) si sarebbe dovuto incentrare sul profilo del giocatore, ricostruendone i tratti per quindi procedere a una definizione di dipendenza patologica derivante dall’eccesiva frequentazione dei templi dell’azzardo. Dal profilo psicosociale all’inquadramento in termini di una clinica specializzata.

Ebbene, mentre il panorama permaneva nei termini appena descritti, i terapeuti che vent’anni fa in Italia si occupavano di gioco d’azzardo si potevano contare con le dita di metà di una mano. Il riferimento nella letteratura clinica era per i pochi cultori il libro dell’analista freudiano austro-statunitense Edmund Bergler, uno dei primi studiosi del gambling collegato a profili clinici, cioè a disturbi della psiche. Nella sua lunghissima carriera aveva ascoltato e in molti casi preso in carico circa sessanta pazienti con dipendenza da gioco d’azzardo. Sessanta casi in oltre trenta anni di pratica di analisi. Davvero pochi negli Stati Uniti d’America, immenso paese dove il gambling si praticava in modo aggressivo, diffuso, con una tradizione popolare che risaliva all’epoca della Frontiera dei coloni, dei minatori, degli avventurieri e degli hobo[10] dei lavori avventizi e nomadi.

Bergler nel 1957 così formulò un suo rigoroso paradigma: «nella nostra civiltà chiunque è potenzialmente un giocatore, della varietà innocua o di quella pericolosa. In alcune personalità questa tendenza latente può ridestarsi, ed allora il giocatore latente si mette effettivamente a giocare. Affermazione che potrà risultare inquietante e tale che molti preferirebbero contestarla. La si potrà rifiutare, però, solo chiudendo gli occhi di fronte a prove scientifiche in senso contrario»[11].

Questo modello consegnatoci da uno dei pionieri del pensiero scientifico sul fenomeno può esser richiamato anche nelle condizioni di oggi. Ci permette infatti di affrontare la questione nei tempi che viviamo, ovvero quando le entità che si fronteggiano nel gioco d’azzardo – il banco, i giocatori – da soggetti all’apparenza dal profilo elementare si collocano invece nei meccanismi e nelle procedure di un’attività economica divenuta di eccezionale ampiezza. Da un lato si svolge il progetto imprenditoriale – il banco si è fatto industria – e dall’altro lato stanno i consumatori, cioè tutta la popolazione indiscriminatamente, trattata alla stregua di un target commerciale da raggiungere e poi fidelizzare grazie a un sofisticato marketing. Se chiunque (come afferma Bergler) può evolversi in giocatore (non semplicemente giocando, ma acquisendo l’identità di gambler), allora l’offerta di quel particolare “bene” detto gioco d’azzardo dovrà agganciare quanti più possibili consumatori paganti. La strada per ottenere profitti crescenti è per l’appunto spianata proprio dall’ampiezza smisurata della popolazione che potenzialmente è reclutabile al consumo di alea.

Del resto, anche nel gioco d’azzardo valgono gli inquadramenti di un’addiction[12]. In generale, il consumo di un bene fisico o di un servizio offerto e disponibile può condurre o associarsi a uno stato di dipendenza. Di là della sfera naturale della dipendenza per soddisfare bisogni assoluti dell’uomo (a esempio, l’alimentazione) l’accezione patologica va intesa come sottomissione a un potere che cagiona un danno rilevante, ovvero che incide sul comportamento della persona, che altera in modo sensibile il corso di un’esistenza umana e che, in definitiva, compromette il “completo stato di benessere fisico, psichico e relazionale” (cioè la salute, secondo l’accezione dell’OMS). È patologica dunque quella dipendenza che mina l’integrità dell’individuo, la sua libertà e che cagiona sofferenza sia all’addicted e sia alle persone che compongono la sua cerchia di relazioni fondamentali, il suo “altro significativo”, spingendosi talvolta a nuocere anche alla società nel suo complesso.

Il legame causale tra fattore – fisico-materiale o immateriale – di una dipendenza rilevata e la condizione in cui versa la singola persona è di tipo circolare e non lineare, vale a dire riguarda la relazione che s’instaura. Chi ha indagato in profondità sulla questione (un autore per tutti: P. Rigliano, 1998) pone il focus proprio sulla complessità della relazione, ovvero sull’interazione tipica dei sistemi umani: riguarda il soggetto, l’oggetto della dipendenza, il contesto dove si svolge, come Gregory Bateson ha inquadrato la retroazione di eventi ed esperienze della persona, che conferisce struttura sia al vissuto e sia alla percezione-cognizione di sé[13]. È l’esito di un comportamento della persona che crea il significato alla dipendenza, e dunque alla replicazione del comportamento stesso. Rigliano ne dà una formulazione paradigmatica: “La dipendenza è ciò che risulta dall’incrocio tra il potere che la sostanza [e aggiungiamo: anche un fattore immateriale, n.d.r.] ha in potenza e il potere che quella persona è disposta ad attribuire alla sostanza[14]“.

Ecco perché, tornando a Bergler, “chiunque è potenzialmente giocatore”. Ma il destarsi della latenza può avvenire in seguito a un incontro che la attiva, anche solo perché essa si verifica in un periodo, altrimenti transitorio, di particolare esposizione al rischio. E così che tanto una sostanza, quanto un comportamento o una relazione possono ingenerare un’esperienza particolare tale da accompagnare la ristrutturazione che il Sé subisce. L’interpretazione da parte della persona del vissuto nell’incontro pone le basi per il suo ripetersi. È appunto il caso del gioco d’azzardo, dal quale può originarsi una dipendenza patologica sine substantia[15].

Ebbene, come si presenta l’esposizione al rischio? Come viene provocato il passaggio dalla latenza alla manifestazione persistente? È legittimo inserire nell’ambiente (giungendo persino a saturarlo) fattori, dispositivi, richiami e tutte le modalità induttive all’incontro tra la fragilità della persona (di ogni persona) e la causa d’innesco di una dipendenza?

Pochi pazienti in cura, una gamma ristretta di tipologie di addiction, e quindi da parte dei clinici e degli studiosi lo si reputava un fenomeno “di nicchia”: che poteva riguardare esistenze individuali devianti e profili di personalità dai tratti non generalizzabili. Le ipotesi psicoanalitiche traevano però un formidabile lancio dai materiali ricchissimi dalla produzione della grande letteratura. Il romanzo Il Giocatore di F. Dostoevskij[16], l’interpretazione di S. Freud[17], Gioco all’alba di A. Schnitzler[18]. Una problematica certamente interessante e suggestiva, un fenomeno di nicchia. Ma questo è un focus teoretico e una complementare ricerca della pragmatica da recuperarsi anche oggi?

Se vi possiamo reperire alcuni essenziali paradigmi che consentano di procedere all’inquadramento di un fenomeno imponente – che una semplice citazione dei dati generali evoca subito: 110,5 miliardi di euro di consumo e 120 milioni di giornate-uomo impiegate a praticarlo! – tuttavia vi è oggi un’istanza scientifica rinnovata che reclama – anche presso i clinici – di svolgere l’esame in profondità di come si è proceduto alla costruzione dell’offerta di gioco d’azzardo. Mi pare evidente che sia la “porta stretta” sforzarsi in primis di conoscere i tratti costitutivi di un progetto industriale: che ha riversato nella programmazione, nella produzione, nella distribuzione, nella presentazione sul mercato, nell’accesso al consumo, molte delle risultanze più avanzate di un complesso di discipline, dalle neuroscienze all’interior design, alla psicologia della percezione, alla matematica finanziaria. Gli stessi “creativi”, parliamo dei tecnici arruolati nel marketing strategico delle compagnie commerciali-finanziarie del gambling, hanno saccheggiato abbondantemente la letteratura psicoanalitica: non per fini di affrancamento della persona, ma per ideare procedure efficaci di fidelizzazione dei clienti di scommesse e lotterie.[19]

Domande retoriche, ovviamente. Eppure, continua ripetersi un curioso paradosso: si esaminano le dipendenze patologiche quali sono oggi, e ci si spinge a discettare degli scenari prossimi, ricorrendo ai riferimenti teorici relativi a un fenomeno davvero declinante.

Passatismo e “perle” sul Gioco Problematico

Come accade nella letteratura, nella moda e nel costume, al tramonto di figure narrative non corrisponde spesso un allineamento delle interpretazioni colte o istituzionali. Il senso comune fa percepire come tratto del presente quel che è sepolto nella way of life del passato prossimo. Così accade per il fenomeno, anzi per le rappresentazioni del gioco d’azzardo. Il cosiddetto “discorso pubblico” si diffonde su tratti e profili, divenuti passatisti con l’ormai maturata rivoluzione che ha gettato alle ortiche macchine e strutture; che ha deteriorato templi e arene della sfida ad alto rischio con le poste in denaro; che ha portato all’estinzione delle Fortuna e dello stesso pensiero magico.

Non di meno si ripropongono piattaforme per inquadrare e quindi operare davvero da archiviare. Colpiscono le acritiche insistenze, espresse all’indicativo, come con proposizioni apodittiche. Eccone alcune, da una scelta di performance di autorevoli specialisti. Riporto qui di seguito tre esempi (tra le centinaia) di banali tautologie che ricorrono sia tra autori italiani e sia da clinici che si pongono anche come riferimenti internazionali.

  1. Gioacchino Lavanco – Loredana Varveri, Psicologia del gioco d’ azzardo e della scommessa, Roma, Carocci, 2006: “La maggior parte di coloro che si dedicano al gioco d’azzardo lo pratica come forma di passatempo e di divertimento. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale che come tale quindi non può essere certo demonizzato. Tuttavia, in certi casi, alcuni individui sviluppano un’ossessione e un atteggiamento morbosi verso il gioco, arrivando a instaurare con esso una vera e propria forma di dipendenza”[20].

E nella letteratura internazionale, altri esperti ripetono tesi similari, sebbene con maggior raffinatezza espositiva. La fonte sono pubblicazioni del settore (in misura schiacciante prodotti editoriali finanziati dalle major del gambling).

  1. “Il gioco d’azzardo è stato ampiamente considerato come una forma di ricreazione socialmente accettabile (Stucki & Rihs-Middel, 2007). Per la maggior parte degli individui, il gioco d’azzardo è un’attività piacevole e innocua. Tuttavia, per una piccola minoranza di individui può divenire sia una condizione di addiction che uno stato problematico con gravi conseguenze negative (Meyer, Hayer e Griffiths, 2009). Di conseguenza, l’espansione del gioco d’azzardo legalizzato è stata identificata come un importante problema di salute pubblica (Shaffer & Korn, 2002, Williams, Volberg e Stevens, 2012) e ne deriva il numero di individui che cercano assistenza per problemi legati al gioco d’azzardo (Abbott , Volberg, & Rönnberg, 2004; Suurvali, Hodgins, Toneatto, & Cunningham, 2008[21]”.

La “maggior parte” e la “minoranza”: ma quali sono le proporzioni? “Passatempo”: tempo come un bene “non scarso”, ma ampiamente disponibile. E poi, “fenomeno sociale”: quindi sorto spontaneamente nel corso della storia del costume. Quel ricorso alla banalità linguistica [De Mauro, 2014] di ripetere “ampiamente considerato” (da chi? Per quali evidenze scientifiche ecc?). E il ragionamento casca su un “Tuttavia”: la congiunzione concessiva… “ammettiamo pure che…”.

  1. Claudio Barbaranelli, Il gioco, fattori di protezione e di rischio: panorama sugli studi italiani ed internazionali e focus sulla ricerca condotta dal CERMPA (Sapienza Università di Roma), anno 2011, 29 giugno, paper: “Per la maggior parte delle persone il gioco con vincita in denaro è un piacevole passatempo. Per alcune persone, tuttavia, può divenire una vera e propria patologia, che le porta a giocare in maniera compulsiva. Un giocatore patologico è una persona in cui l’impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale 0 totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico.”

Notare due perle nella perla: a) il lemma “gioco con vincita in denaro” in luogo di gioco d’azzardo è un ridicolo espediente semantico; b) dire “una vera e propria patologia, che le porta”, ovvero non è il gioco d’azzardo che induce alla patologia, ma è la patologia che “porta” le persone a essere patologiche (per l’appunto giocando “in maniera compulsiva”). Sia detto pour cause, il Centro di Barbaranelli è finanziato da Lottomatica dal 2010[22]. La firma dello stesso professore è stata citata dalla concessionaria del Gruppo De Agostini nel ricorso al TAR Lombardia per chiedere la revoca dell’ordinanza del sindaco di Bergamo che nel 2016 ha limitato gli orari dell’azzardo. La perizia effettivamente prodotta dalla Lottomatica, per supportare la lamentata lesione di un interesse privato e particolare da parte dell’interesse universale e pubblico fatto valere dal Comune di Bergamo, poi veniva firmata da un collega-collaboratore del Barbaranelli, tal Michele Vecchione. Altro dettaglio: esibita la perizia su carta intestata dell’Università statale La Sapienza, evocava anche il coinvolgimento del CIRMPA (consorzio interuniversitario impegnato a studiare le difficoltà dei minori e i rischi di esclusione sociale-devianza nell’età evolutiva!)[23].

Qual è il segno di una simile impostazione? Non si esamina il progetto della macchina industriale del gioco d’azzardo, si trascurano le proprietà che la connotano in rapporto all’inviolabilità della persona, e si assume che la patologia sorga esclusivamente dall’interno della persona addicted, che la dipendenza derivi da un insieme di caratteristiche differenziali del soggetto. Si tratta di curare un individuo con le stimmate. Il mesotelioma pleurico capitato a un paziente che si trovava a Casale Monferrato, indagando sul suo patrimonio immunitario, sulle sue caratteristiche psico-somatiche, sulla familiarità oncologica ecc. Ma non sulla Eternit. È quanto avvenuto per decenni.

Un’interferenza capitale, dunque, anche sulle patologie da gioco d’azzardo è subita dalle professioni cliniche e in generale d’aiuto. Esse vengono spinte – secondo una visione che conferma il senso delle politiche governative ventennali – a regredire nell’importanza di mission ponendosi qual mero strumento “riparativo”. E non di servizio per la presa in carico della salute delle persone, considerata nella sua integralità inviolabile. È un tema che va ulteriormente esplicitato, quello dell’incidenza delle antinomie sopra esposte sul prospect del clinico che prende la decisione. Non vi è forse un rischio addizionale di induzione a distorsione e ad errore cognitivi?

In secondo luogo, il Disturbo da Gioco d’Azzardo è un raro esempio delle dipendenze patologiche dove il campo degli “agenti” patogeni non si pone istituzionalmente in uno spazio separato dal campo delle Istituzioni. E di queste ultime, in uno Stato che riconosce i diritti di welfare, fanno parte certamente i servizi dell’area clinica e psicosociale. Su di questi ultimi, il mondo del commercio di azzardo indirizza l’invito ad attestarsi una nicchia professionale, dove ottenere gratificazioni di ruolo, in cambio di una legittimazione di un gioco “responsabile” (ma privo di quella fondamentale condizione che è la responsabilità civile del concessionario verso il consumatore).

Dipendenza come progetto industriale vs sapere del clinico

Oggi anche il clinico, diremmo soprattutto lui, deve procurarsi la competenza di una lettura multidisciplinare e multiprofessionale che comprenda anche numerosi aspetti pur estranei alla sua iniziale preparazione specialistica. In altri termini, se egli non vuole contribuire a indirizzare fuori bersaglio i suoi sforzi, non gli resta che volgere lo sguardo a una competenza esterna: che gli è necessaria proprio per svolgere con onestà proprio il suo lavoro. Le domande, all’apparenza semplici, rendono ardua la comprensione sufficiente della stessa dinamica della dipendenza. Come funzionano i vari giochi d’azzardo? Qual cambiamento ha arrecato l’impiego delle tecnologie digitali. Qual è il trattamento riservato dalle major del gambling al cliente nel gioco d’azzardo online?

E in generale, come trascurare che la presenza quotidiana dell’always on, dell’ingaggio della persona in una universale gamification, in una “ludicizzazione” tecnologica che rinvia al flusso di ricompensa, livelli in successione, jingle che corredano le sfide, nuove ricompense attese ecc.)? Può un clinico ignorare come il gioco d’azzardo effettivamente praticato da enormi masse di popolazione, grazie all’ impiego delle nuove tecnologie digitali abbia riorganizzato i bioritmi, codificato e scandito i tempi delle emozioni, interpolato i percorsi della quotidianità con le sequenze della gratificazione e della obliterabile frustrazione?

Ancora a metà degli anni Novanta il gioco d’azzardo rappresentava un tema “di nicchia”, pur d’indubbio interesse culturale: per la psicologia e la psicoanalisi, per la letteratura, per la matematica, per il diritto, per la criminologia. Rimaneva fuor di discussione la solidità del modello istituzionale che in Italia – per oltre un secolo – aveva confinato scommesse, case da giuoco, sfide per denaro e con denaro, lotterie in spazi e tempi limitati. Comunque, distinti dalla quotidianità delle persone e delle città.

Le componenti costitutive del fenomeno permanevano ben distinte, tal che, se si fosse affrontato l’argomento del disturbo da gioco d’azzardo, l’approccio avrebbe comportato l’esclusiva osservazione delle persone coinvolte in una patologia, ancora definita nella classe dei “disturbi del comportamento e del controllo degli impulsi”. Si sarebbero potuti isolare le variabili; la macchina del gioco e il giocatore.

È cambiato tutto. Ora il gioco d’azzardo è nella quotidianità: interferisce nell’organizzazione dei ritmi di vita. L’offerta del consumo d’azzardo che muove alla ricerca delle persone, là dove esse si trovano. Incide nel cambiare la morfologia, la disposizione, la struttura dei luoghi. Altera la sequenza dei tempi della vita. Si frappone nei rapporti intra-familiari, nelle relazioni del singolo con il gruppo o con i gruppi sociali nei quali è inserito: nella scala della famiglia, dei colleghi di lavoro, del vicinato, di altri contesti a cui appartiene.

Il presente è contrassegnato da un nuovo paradigma del “gioco con soldi e per soldi e a fini di lucro”. Se ne propone qui l’enunciato come Gioco d’Azzardo Industrializzato di Massa. Con tale inquadramento si coglie la radicale diversità con il fenomeno quo antea. Le caratteristiche essenziali sono date: a) dalla combinazione di alea e tecnologie avanzate, con le seconde che hanno incorporato quasi completamente la “funzione del caso”; b) dalla sostituzione di giochi ad alta remunerazione promessa e a bassa frequenza di svolgimento con altri giochi a remunerazione “bassa ma raggiungibile” dal cliente e ad altissima ripetitività; c) dall’aver soppresso la funzione compensatoria della ricerca della Fortuna con la gratificazione attesa, esperita e ripetuta ininterrottamente mediante erogazione di piccole somme “non risolutive”; d) dall’impiego su larga scala e ad alta intensità delle acquisizioni delle neuroscienze e del behaviourismo per il “condizionamento” operante; e) dal dispiegamento del marketing e della stabilizzazione della domanda di alea puntando alla fidelizzazione mediante addiction; f) da una struttura del business interdipendente con un mercato finanziario derivato dall’andamento dei conti dell’azzardo.

Un gioco industriale di massa è dunque un’esperienza di azzardo a bassa soglia, che occupa progressivamente sempre maggiore porzione del tempo sociale, che interpola gli itinerari della vita quotidiana delle persone, impegnandole per molte ore della loro giornata, poiché basato su tecniche di rinforzo del comportamento e d’induzione all’addiction. In generale il gioco d’azzardo industrializzato di massa ingaggia e stabilizza i comportamenti con un sistema bidirezionale qual è reso possibile dal sistema, sia on-line e sia fisico, delle sequenze “input-altro investimento-ricompensa attesa”.

Ripensare l’approccio psico-sociale e quello clinico nelle condizioni contemporanee

Il paradigma sopra proposto può aiutare a un congruo inquadramento dei problemi creati da un’offerta che non è più localizzata fuori della quotidianità, che si coordina con i bioritmi della persona, che interferisce laddove si svolgono le relazioni interpersonali significative, che invade la sfera intima dell’individuo.

Quindi bisogna andare ad una nuova definizione della dipendenza, o meglio del Gambling Disorder, Disturbo da gioco d’azzardo, che non a caso nel DSM V è stato fatto transitare da patologia del comportamento e del controllo degli impulsi alla struttura di una addiction, cioè di una dipendenza vera e propria.

E se un trattamento individuale-differenziale impegna comunque il clinico, che deve operare su scala della singola persona, tale concettualizzazione non rappresenta la matrice credibile per un inquadramento generale del fenomeno di massa. L’accento sulle caratteristiche, assunte come uniche e irripetibili della persona giocatore patologico, infatti, non giova granché a supporto di una decisione di politica della salute. La politica della salute si correla alle misure tese a distanziare la popolazione, individuata quale target di una malattia epidemica, dal rischio derivante dal convivere in prossimità con l’agente patogeno, ovvero nel caso del gioco d’azzardo con il fattore di aggressività dell’offerta che spinge e quindi fa divenire il Gambling Disorder simile a una malattia cronica.

La quantità di consumo di gioco d’azzardo – quantità sempre crescente di anno in anno – è il risultato di com’è stato progettato e costruito il modello industriale, riversandovi le acquisizioni delle scienze neurobiologiche e psicosociali, senza che lo Stato svolgesse un ruolo di garanzia, di tutela, contro l’abuso della tecnologia per l’asservimento della persona. Quindi è chiaro che occorre ora far proprio un nuovo paradigma, che vincoli gli operatori onesti, indipendenti, ad un quadro deontologico assolutamente preciso.

Gambling industriale come abuso di acquisizioni delle scienze e di tecnologie

Quello dell’impiego “non neutrale” della scienza è un tema che può esser riproposto sia per pervenire a giudizi di valore sul contemporaneo gioco d’azzardo, e sia per analizzare la congruità delle regole di garanzia che lo Stato ha emanato per l’integrità della persona e per la salvaguardia dell’interesse pubblico. Un autore, da sempre riferimento delle ricerche sull’educazione e l’apprendimento, ma oggi rivalutato anche per l’interpretazione dell’addiction da gioco d’azzardo, ci propone in apertura della sua opera maggiore proprio il dilemma sulle conseguenze della scienza.

Fin dalle prime pagine del suo capolavoro, Science and human behaviour, Burrhus Frederic Skinner (Susquehanna, 20 marzo 1904 – Cambridge, 18 agosto 1990) ci espone in modo asciutto il paradigma, citando un gesuita del XVII secolo, Francesco Lana de’ Terzi, che fu il fondatore della fisica della navigazione aerea. Prima la citazione del gesuita.

«Dio non potrà mai accettare l’invenzione della navigazione nell’aria per le conseguenze che potrebbe avere sul Governo civile dell’uomo.

«… nessuna città sarà più sicura dagli attacchi dal momento che una nave potrà sganciare una bomba su di essa, i soldati discendere direttamente oltre le mura, compiere i saccheggi, uccidere esseri umani, bruciare con palle di fuoco…

«Non ci sarà nessun luogo, castello, edificio, città che potrà essere al sicuro…»

Prodromo. Saggio di alcune invenzioni nuove premesso all’arte maestra, 1670

Scrive Skinner (nel capitolo Can scienze help? The misuse of science): “La riserva di Lana era infondata. Aveva predetto la moderna guerra aerea con dettagli sorprendentemente accurati – con i paracadutisti e i mitragliamenti insieme ai bombardamenti. Contrariamente alle sue aspettative, Dio ha subìto che la sua invenzione abbia trovato effetto” [due secoli e mezzo dopo]

«La scienza – commenta Skinner – è più di una mera descrizione degli eventi che accadono. Si volge alla scoperta della ratio, per mostrare come certi eventi stanno in relazione con altri.

«Nessuna pratica tecnologica può esser basata scientificamente senza l’individuazione delle correlazioni… [tanto più] «Quando individuiamo le forze coercitive che agiscono sulla condotta umana (…)[24]»

La storia sottolinea l’irresponsabilità con cui sono state utilizzate la scienza e i prodotti della scienza.

Uscire dall’Addiction fiscale dello Stato

Se è “condizionato” il comportamento del giocatore d’azzardo, non si può affermare che le amministrazioni pubbliche, dietro la loro “impersonalità” non versino in uno stato analogo.

Aver legato la fiscalità ad una nocività – consumo eccessivo di scommesse et similia – riproduce il paradosso già verificatosi con il tabagismo: la curiosa dipendenza patologica anche da parte dello Stato. Una simmetria, che si può evocare come qual addiction fiscale. Si esprime nella ricerca “compulsiva” di nuove entrate per la finanza pubblica. Il gettito erariale derivato dalle sigarette è di 14 miliardi di euro annui? Ma il costo degli 84 mila decessi per tumori causati dal fumo è di gran lunga superiore. La somma algebrica delle due partite non viene tratta, le emergenze di cassa sono quasi sempre fronteggiate iscrivendo a bilancio la previsione di nuovi ricavi da tassazione aggiuntiva sui tabacchi. La domanda di questo “bene” è infatti rigida, e gli 11,5 milioni di tabagisti continueranno a consumare quanto offre il monopolio statale. L’aumento del prezzo del fumo è ininfluente sulla propensione a inalarsi tabacco combusto[25].

Per scommesse, slot machine e lotterie, la spirale di induzione statale all’azzardo espone dunque una nuova simmetria tra decisione burocratica e comportamento del giocatore. Quest’ultimo, quando perde denaro, si vuole rifare, e quindi continua a investire somme crescenti. Parimenti immerso nella palude dei debiti, lo Stato è oberato da una sua crisi, nel dispositivo di spese crescenti e di entrate insufficienti. In questo senso anche la pubblica amministrazione scivola nel chasing, nella rincorsa delle perdite: si vuole “rifare” per reperire il denaro necessario a coprire la spesa corrente degli apparati.

Ecco dunque, esattamente come il giocatore d’azzardo, l’amministrazione pubblica – da intendersi qui come il complesso dei decisori burocratici e politici agganciati nelle sue procedure – si risparmia di adottare una visione sistemica. Dovrebbe suonare così, invece, una decisione razionale: “se si rilancia la produzione dei beni e dei servizi, non solo si crea occupazione, ma si stimola anche la crescita economica. Di conseguenza aumenta il gettito di tasse e imposte”. Insomma, quel che non proviene dalla tassazione dell’alea è compensato dalle imposte su altri consumi che beneficiano della maggior disponibilità di denaro delle famiglie. La prigione dell’ottusità costringe però la pubblica amministrazione a una scorciatoia cognitiva, a un’euristica: sotto la pressione del bisogno di rifornirsi di denaro, burocrazie e ceto politico vanno a cercare alimento là dove percepiscono una disponibilità, e il differimento della scelta strutturale sembra essere facilmente avallato. Intanto con il ricavato dei giochi d’azzardo tamponiamo una falla. Come dire: siamo pieni di debiti e allora chiediamo dei prestiti per finanziarli. E così si continua a pagare a prezzi crescenti il tempo ottenuto “a credito”. Conclusione: l’abnorme espansione del consumo di gioco d’azzardo è divenuto un ulteriore fattore strutturale sia del deficit e sia del debito dello Stato. Nell’inseguimento delle perdite (e nella fuga dalle responsabilità) Governo e Parlamento si proiettano vicendevolmente in un Pathological Gambling, ovvero in una spirale senza fine.

Appare problematico che vi possa essere un trattamento delle dipendenze che riguardano la singola persona che non sia coerente con il trattamento delle dipendenze quando coinvolgono un Paese intero. È una spirale che è arduo padroneggiare quando un sistema di gioco industriale si sostiene con l’allargamento continuo del numero dei partecipanti al gioco d’azzardo. La premessa “emancipatoria” è il ripristino dei presupposti etico-politici di garanzia dello Stato di diritto.

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  1. Insomma, Addiction come una sorta di tossicodipendenza della quale soffre lo Stato per dover raccogliere sempre più denaro con le tasse.
  2. Secondo la Corte di Cassazione la nozione giuridica di gioco d’azzardo ne identifica gli elementi caratterizzanti: l’aleatorietà della vincita e il fine di lucro. Entrambi sono inquadrati in una fattispecie penale. Una sentenza della Suprema Corte (28-04-2009, n. 17842) ricorda “come l’art. 721 c.p. stabilisca che, per aversi gioco di azzardo, necessiti il concorso di due elementi, l’uno di carattere oggettivo, rappresentato dalla aleatorietà della vincita o della perdita, l’altro di carattere soggettivo costituito dal fine di lucro dei partecipanti”. In conclusione, il carattere aleatorio del gioco è dato dal peso esclusivo o preponderante non dell’abilità del giocatore ma della sorte.
  3. L’11 marzo 2020 il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che il COVID19 rappresenta una pandemia globale, con diffusione in ogni parte latitudine del pianeta. L’allarme generalizzato e diffuso secondo le procedure di WHO Pandemic Influenza Risk Management (emanate nel 2017), è stato lanciato appena sei giorni dopo la Alert Phase. Il 23 marzo 2020 si è poi sottolineato che ci si trovava di fronte a una pandemia in fase di crescita esponenziale e si è raccomandando ai Paesi di non limitarsi al distanziamento sociale, ma di adottare tattiche aggressive testando ogni sospetto contagiato, isolando e curando ogni caso confermato, tracciato e mettendo in quarantena ogni contatto (tale invito è stato reiterato nel successivo comunicato stampa del 27 marzo 2020). Per la puntuale ricostruzione delle vicende e per la disamina delle conseguenze anche di diritto internazionale, si veda l‘on line first di Ilja Richard Pavone, La dichiarazione di pandemia di covid-19 dell’OMS: implicazioni di governance sanitaria globale, 27 marzo 2020, in pubblicazione su Biolaw Journal, 2020.
  4. Testimonianza ricevuta dal Sen. Endrizzi e da lui pubblicata su FB il 27 aprile 2020
  5. Testimonianza raccolta dall’autore da un giocatore con lunghissima carriera di dipendenza dall’azzardo.
  6. Vittorio Foschini, Psicoterapeuta Alta Specialità SerDP, Ravenna AUSL Romagna, dopo aver consultato molti colleghi dei servizi delle dipendenze del suo territorio, in Alea Bulletin, n. 1, aprile 2020
  7. Rolando De Luca, Psicologo Psicoterapeuta, responsabile del Centro di Terapia di Campoformido per ex giocatori d’azzardo e loro familiari, in Alea Bulletin, n. 1, aprile 2020
  8. Martinotti G., Pettorruso M., Clerici M., Sacchetti M., Di Giannantonio M., Il disturbo da gioco d’azzardo. Implicazioni cliniche, preventive e organizzative, in Journal of Psychopathology, 2020;26 (Suppl 1)
  9. Nell’accezione di an intricate unsettledquestion, una questione complessa e irrisolta.
  10. Negli anni della Grande Depressione veniva chiamato hobo un lavoratore vagabondo che viveva in alloggi di fortuna, coltivando uno stile di semplicità, la vocazione al viaggio, all’avventura, alla ricerca interiore e alla marginalità. Magistrale è il saggio del sociologo della Scuola di Chicago Nels Anderson, The Hobo (trad. it. Il vagabondo, Donzelli, Roma, 2011).
  11. E. Bergler (1899-1962), Psychology of gambling, New York: International universities Press, 1958, 244 pages, trad. It. Psicologia del giocatore, 1974, Newton Compton Italiana. Il testo dell’autore austro-americano, di agevole lettura, curiosamente non è stato più ripubblicato da quando l’interesse per il tema ha conquistato adeguato rilievo negli studiosi e in generale nel pubblico.
  12. Addiction: dal latino addicere (addico, addixi, addictus), asservimento, riduzione in schiavitù, dipendenza forzosa, confisca. La Gambling Addiction – Gioco d’Azzardo Patologico è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e descritta nel DSM V, cioè nel repertorio completo delle sofferenze psichiche meritevoli di terapia, che è lo standard approvato dall’American Psychiatric Association. Nella quinta edizione del DSM (2013) il lemma Gioco d’Azzardo Patologico è stato sostituito dalla dizione di Gambling Disorder (in italiano, Disturbo da Gioco d’Azzardo). Cfr. APA, DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, edizione italiana a cura di M. Biondi, Raffaello Cortina editore, Milano 2014.
  13. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, editore Adelphi, Milano 1977.
  14. P. Rigliano (a cura di) (1998). In-dipendenze, pag. 48, Torino: Gruppo Abele.
  15. La prima istituzionalizzazione degli aspetti clinici del consumo eccessivo di gioco “con denaro” e “per denaro” avviene con il cosiddetto decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (“decreto Balduzzi”) che prevede la terapia delle dipendenze da gioco d’azzardo tra gli obblighi del SSN. Inoltre, all’art 7, comma 5. introduce delle misure di tutela e cautela, tra cui l’obbligo per i gestori di sale da gioco ed esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici di esporre all’ingresso e all’interno dei locali, il materiale informativo predisposto dalla ASL, diretto ad evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio di servizi di assistenza dedicati alla cura delle persone con patologie correlate. Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) 30 gennaio 2017 le patologie da azzardo, ora definite tecnicamente come Disturbo da Gioco d’Azzardo, sono confluite nel complesso dei Livelli Essenziali di Assistenza. Il nuovo Decreto sostituisce infatti integralmente il DPCM 29 novembre 2001, con cui i LEA erano stati definiti per la prima volta.
  16. Pionieristico il saggio di Luigi Cancrini, Una tossicomania senza farmaci, pubblicato in occasione di una riedizione del capolavoro di Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, EdUP, Roma 1996.
  17. Trad. It. In Opere complete di S. Freud, volume 10, Torino, Ed. Bollati Boringhieri, 1966-1980.
  18. Titolo originale, Arthur Schnitzler, Spiel im Morgengrauen, 1927. Ediz. It. Adelphi, 1983
  19. Si potrebbe organizzare un repertorio imponente di tale uso dissennato delle scienze della psiche per scopi squallidi e commerciali. Appena pochi esempi della comunicazione istituzionale dei Monopoli di qualche anno fa, ben prima che nel 2019 andasse a regime il divieto di pubblicità: “AAMS [Agenzia dei Monopoli] ti avvicina ai sogni (…) E così come il biglietto della Lotteria pone una potenziale vincita alla portata di tutti, AAMS consente all’immaginazione di ciascuno di aprire le porte alla fantasia, senza timori”. Schiacciato pure il genio del drammaturgo napoletano: “Diceva Eduardo De Filippo: ‘La vita è un gioco che ha bisogno di essere sorretto dall’illusione’. È sempre vero? Sì! Le illusioni ci aiutano a vivere, ma nel nostro caso le illusioni spesso diventano realtà”.Nel 2007-2008, ancora uno delle centinaia di esempi, la pubblicità “brandizzata” dai Monopoli di Stato è ricorsa alla figura archetipica del cavallo per rivolgersi alle donne, sfiorando persino la pornografia con target femminile. A voler essere benevoli, le immagini e gli slogan hanno usato quel richiamo costante alla “fantasia delle fanciulle che immaginano di venire salvate dal Principe su un cavallo, simbolo fallico, come gli eroi greci avevano ‘salvato’ Elena di Troia per mezzo di un cavallo che aveva penetrato la città” (cfr. Iakov Levi, Biancaneve e altre vergini, in Scienza e psicoanalisi. Rivista multimediale di psicoanalisi e scienze applicate, http://www.geocities.ws/psychohistory2001/Biancaneve.html 2002
  20. Lavanco è consigliere, presentato all’atto di lancio, della Fondazione Unigioco, nata su iniziativa di Gamenet S.p.A. [Concessionario dei giochi d’azzardo] e dell’Istituto Eurispes [ente privato di ricerca permanentemente affidatario di ricerche e attività commissionate da società del gambling]. Tra gli scopi dichiarati: “ creare una solida e genuina cultura del gioco e di farne un punto centrale nel processo di produzione culturale del nostro Paese”.
  21. Filipa Calado,and Mark D. Griffiths, Problem gambling worldwide: An update and systematic review of empirical research (2000–2015), Journal of Behaviour Addiction, 2016 Dec 1; 5(4): 592–613: “Gambling has become widely viewed as a socially acceptable form of recreation (Stucki & Rihs-Middel, 2007). For most individuals, gambling is an enjoyable and harmless activity. However, for a small minority of individuals it can become both addictive and problematic with severe negative consequences (Meyer, Hayer, & Griffiths, 2009). Consequently, the expansion of legalized gambling has been identified as an important public health concern (Shaffer & Korn, 2002; Williams, Volberg & Stevens, 2012), and as a result, the number of individuals seeking assistance for gambling-related problems (Abbott, Volberg, & Rönnberg, 2004; Suurvali, Hodgins, Toneatto, & Cunningham, 2008).
  22. A fornire simili supporti al business sono state coinvolte alcune università pubbliche (Roma, Milano, Salerno) e private (LUISS, Bocconi). Esse, oltre a beneficiare di cospicue sovvenzioni da parte delle multinazionali del gioco d’azzardo, rendono servizi diretti: tanto per veicolare l’immagine di rispettabilità del gioco con denaro, per denaro e a scopo di lucro quanto per fornire consulenze tecniche di parte ai concessionari dell’azzardo nei ricorsi amministrativi intentati da questi contro gli atti dei Comuni (regolamenti e ordinanze) rivolti a ridurre l’impatto del commercio di azzardo sulla vita quotidiana delle comunità cittadine. Su tale evidente conflitto d’interessi (privato vs pubblico) e sulla probabile incompatibilità etica e deontologica non si è sinora pronunciato alcun senato accademico. Ricorrono nei codici adottati negli atenei prescrizioni quali “La promozione della scienza e della cultura nell’Università richiede la libertà della comunità scientifica che in essa opera. La protezione dell’istituzione da ogni forma di dipendenza e condizionamento da parte di centri di interessi estranei è principalmente compito di chi occupa posizioni di maggioreresponsabilità” (Università di Torino). Oppure: “L’Università collabora con ogni ente pubblico o privato per finalità legittime e condivise. Tale collaborazione si svolge nel rispetto dell’istituzione, dell’indipendenza degli appartenenti alla comunità universitaria, nonché della loro libertà da pressioni politiche e da interessi privati” (Università Statale di Milano). Si possono ricomprendere le “perizie di parte” tra le collaborazioni nel rispetto della “libertà da pressioni politiche e da interessi privati” da produrre nei ricorsi al TAR contro quei Comuni che hanno adottato atti (regolamenti e ordinanze) rivolti a ridurre l’impatto del commercio di azzardo sulla vita quotidiana delle comunità cittadine?
  23. L’8 marzo 2017 il TAR di Brescia, competente per territorio, ha rigettato i tre ricorsi contro l’ordinanza del Sindaco e ha severamente giudicato le stesse “perizie” della Lottomatica.
  24. Burrhus F. Skinner (1904-1990) Science and Human Behaviour, ed. B.F. Skinner Foundation, 2007
  25. Lucy Dadayan (2019): “Sin taxes” are often viewed as budget saviors, despite their rather small role in state budgets. While states can and do raise revenue from sin taxes, they should be mindful about the limitations of these taxes. The longer-term growth patterns for sin tax revenue often have been weak and limited, absent policy changes such as increased tax rates. Moreover, greater dependence on sin tax revenues can set up odd incentives, as part of the reason for taxing some of these activities is to discourage consumption and use, not to maximize revenue.., States’ Addiction to Sins: Sin Tax Fallacy , National Tax Journal, 72:4, pp. 723-754, Washington, DC. Tutto l’articolo della Dadayan è illuminante e, riteniamo, definitivo sul rovesciamento delle “entrate” del flusso di tassazione in “perdite” strutturali nel conto aggregato del bilancio pubblico.

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