RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SUL GIOCO <br> di CICCHESE G. (1), CHIMIRRI G. (2)

IMMAGINE DI GIOVANNI CHIMIRRI

RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SUL GIOCO
di CICCHESE G. (1), CHIMIRRI G. (2)

Parole chiave: Gioco, Rischio, Azzardo, Ludopatia.

Abstract:

Dopo alcuni spunti storico-culturali, il saggio affronta il gioco come competizione, piacere, simulazione, ossia come elemento ordinario, creativo, rilassante presente in tutte le civiltà e affronta: (1) il gioco patologico, cioè un’attività che serve per scacciare ansie e solitudini, al pari di molti e diffusi passatempi e perditempo odierni; (2) il gioco d’azzardo, pieno di sfide, vertigini, pericoli, spettacolarizzazione, in cui più che il denaro conta il rischio, l’adrenalina, la riuscita, la dimostrazione di essere forti e coraggiosi; (3) il gioco d’azzardo patologico (Gambling Abuse Pathology, GAP), ultimo stadio di un triste percorso dell’individuo che, partendo dalla bellezza e positività del gioco, arriva alla malattia mentale registrata dai manuali psichiatrici diagnostici internazionali (4). Infine si affrontano le interpretazioni esistenziali (5) e le valutazioni politico-morali (6). Il gioco non va giocato per gioco, scherzo o azzardo, ma seriamente, con spirito critico, salute psichica e finalità umane adeguate. Il gioco migliore sarà sempre quello senza scommesse, dove tutti si divertono, fraternizzano e gioiscono gratuitamente.

«Non siamo più pienamente vivi, più completamente noi stessi, e più profondamente assorti in qualcosa, che quando giochiamo». A sostenerlo è Charles E. Schaefer (2011), psicologo americano che, non a caso, è anche il sostenitore di quella “Teoria del Gioco” che ne sostiene l’importanza per l’espressione personale del bambino dai 3 agli 11 anni. Per i bimbi, infatti, giocare non è solo un passatempo, ma un’attività seria: quasi un “lavoro”. È attraverso il gioco che imparano i confini corporei di sé e degli altri, a interagire e a conoscere il mondo che li circonda. Fin da piccolissimi è fondamentale che imparino – esattamente come per il linguaggio e il camminare – a giocare. 

Come esseri umani giochiamo in tutti i modi – inseguendo, scherzando, improvvisando, nascondendoci, imparando, simulando, immaginando, fingendo – e possiamo giocare dappertutto, con ogni genere di ambientazione. Ma la caratteristica distintiva del gioco resta la volontarietà, il fatto che non può essere un’attività che si fa perché obbligati. Giochiamo perché possiamo e perché vogliamo. Giochiamo perché siamo liberi, per scoprire chi siamo e chi potremmo o vorremmo essere. Eppure oggi abbiamo perso di vista l’importanza del gioco come inclinazione, stile di vita, forse anche come principio progettuale per la società, motivo per cui il musicista Pat Kane (2017) sostiene che dovremmo abbandonare la nostra fissazione per «l’etica del lavoro» e adottare invece «l’etica del gioco»!

Molte attività umane, animali e persino naturali, sono intrise di componenti ludiche al punto che il gioco diventa un paradigma esistenziale. Si parla così di “gioco della vita”, “mettersi in gioco”, “giochi di potere”, “giochi della fantasia”, “giocare in borsa”, “fa parte del gioco”, “l’arte come gioco di forme”, ecc. Esaminiamo il tema del gioco e della sua malattia (ludopatia) attraverso quattro distinti momenti tra loro variamente connessi e in una scala crescente che, partendo dalla normalità e positività del gioco e attraversando ambiguità e abusi, sfocia nella malattia conclamata. Le tappe che seguiremo sono le seguenti: “gioco”, “gioco patologico”, “gioco d’azzardo”, “gioco d’azzardo patologico”.

*–

  1. Panorama storico-culturale

Diamo un rapido sguardo al passato. Notiamo che per Eraclito l’uomo è come una «pedina spostata su una scacchiera». Per gli Stoici l’uomo deve «giocare il suo ruolo nella scena del mondo, come un attore sul palco, in accordo alle leggi della Moira e del Logos». Platone, esorta a praticare i «giochi migliori», predisponenti la virtù e la verità, e non giocare solo per piacere. In Aristotele il gioco è divertimento e rilassamento, quasi una medicina da coltivare con misurata finalità ricreativa.

Nel Medioevo le religioni condannano vari giochi, giudicati inutili perditempo e soprattutto perché intrisi di passioni peccaminose. San Tommaso, riprendendo Aristotele afferma che il gioco non è solo divertimento ma deve «ricreare lo spirito e acquietare l’anima», altrimenti può essere fonte di passioni nocive. Niccolò Cusano divinizza il gioco con tutti i suoi significati simbolici che rimandano all’infinito (la sfera e i giochi di palla), all’armonia costante (ripetizione di leggi), alla felicità. Per Schiller l’uomo è maturo e civile, proprio quando è capace di giocare con forme spirituali, in leggerezza e libertà, sciolto dai vincoli gravosi dell’utilità e del lavoro.

Anche Dio e la Natura giocano, secondo Novalis e Nietzsche; mentre Schleiermacher fa del gioco una modalità etica che accresce la socievolezza. E. Fink (1969) e M. Heidegger (1991) hanno del gioco una concezione metafisica: «tutto l’ente è un giocattolo cosmico» (dice il primo); «essendo l’Essere colui che fonda senza altro fondamento, esso gioca, come gioco è il destino che lancia l’essere agli uomini» (afferma il secondo). Per Wittgenstein (1967) l’intero linguaggio è un gioco, come giochi linguistici sono le filosofie e le matematiche, cioè regole che determinano il senso delle cose e differenziano i campi del reale. J. von Neumann (2021) è il fondatore della moderna teoria dei giochi sociali e parecchi sono gli studi contemporanei sul gioco:

  1. a) in prospettiva etologica (si apprendono comportamenti come la difesa e si controlla l’aggressività);
  2. b) in prospettiva psicologica (specie sul gioco infantile e animale, con la creazione di test attitudinali);
  3. c) in prospettiva pedagogica, che vede il gioco come stimolatore di facoltà psicofisiche, come scoperta ed esplorazione (Piaget, Dewey, Millar, Groos, Nogrady, Claparèd, Vygotskij);
  4. d) in psicoanalisi, dove E. Berne fa dei giochi psicologici un asse portante per capire le dinamiche intersoggettive, dove si scambiano e fraintendono ruoli, si vivono copioni, si comunica su livelli paralleli (messaggi espliciti/intesi e messaggi cifrati/impliciti/inconsapevoli);
  5. e) in psicoterapia, con la “ludoterapia”, come tecnica favorente espressività, empatia, socializzazione, condivisione di oggetti e di interessi in individui problematici (A. Freud, M. Klein), il «gioco psicoterapeutico tra paziente e operatore» (Winnicott, 1974), lo «psicodramma» (giochi curativi di gruppo: J. Moreno, 1985);
  6. f) in psichiatria, con T. S. Szasz (1966, 1972) per il quale tutti giocano a impersonare un ruolo, a formarsi un’identità funzionale al sistema, a districarsi fra regole e condizioni, a usare certi simboli (dove l’isterico fa l’isterico, il medico fa il medico, i famigliari lo stesso, ecc.). Ma si tratterebbe di tattiche personali e di giochi di ruolo predefiniti che solo una psichiatria come scienza del linguaggio, una psicologia del segno e della comunicazione (capace di ascoltare il malato prima di stigmatizzarlo con facili diagnosi) può comprendere facendo ritrovare chi ha bisogno, in primo luogo, sé a se stesso, permettendogli così di giocare più consapevolmente la sua vita.

Detto ciò, ci manca una definizione universale di gioco e non esiste un prototipo di gioco da cui ricavare gli altri o un unico approccio disciplinare con cui guardarlo. Si pensi pure che in certe lingue, il termine “giocare” è lo stesso di “suonare”, come nel verbo inglese to play. Così il gioco è una realtà complessa e polivalente, pieno di sproporzioni tra risorse impiegate e risultato ottenuto, pieno di opposti e di ossimori: simulazione senza inganno, serio/non-serio, utile/inutile, nemici/amici, ripetizione/variazione, rilassamento/eccitazione, gratuito/lucrativo, realtà/rappresentazione, realtà/fantasia e realtà/finzione (queste ultime tipiche soprattutto nei bimbi, che passano disinvoltamente da un piano all’altro, dal reale al magico, dal compratore al venditore, dall’attore al regista, scaricando su oggetti-simbolo le proprie ansie e i propri desideri).

Tutto ciò conduce spesso a un uso strumentale del termine “gioco”, come nei delitti registrati dalla cronaca nera, in cui i colpevoli si giustificano affermando che si trattava solo di un “gioco”; o come il sesso libero praticato nei locali per scambisti, dove le coppie (anche di coniugi) giustificano il loro comportamento come semplice e innocuo “gioco”; o come quando le giovani partecipanti ai concorsi di bellezza, affermano che lo fanno “per gioco”, nascondendo spesso a loro stesse e agli altri che lo fanno piuttosto per esibire impudicamente le proprie forme e venderle al miglior offerente con la speranza, magari, di un futuro nel mondo dello spettacolo!

Molti anni fa – sempre in tema di strumentalizzazione del termine “gioco” – due personaggi pubblici fecero una rapina in banca ma furono uccisi dalle guardie, però tutta la stampa disse che si trattava di uno scherzo, di una scommessa, di un “gioco” finito in tragedia: i due non volevano rapinare! Poi, un tale ha ucciso a martellate in testa l’amante facendone sparire il corpo in un fiume, ma giustificandosi dicendo che l’amante era morta durante un “gioco erotico” (ma di questi casi la cronaca ne registra parecchi, dove nel “gioco erotico” un giocatore finisce assassinato!). Un altro ha ucciso il futuro genero mentre “giocava” con una pistola carica e pronta all’uso, chiamando con ritardo i soccorsi dicendo che il malcapitato si era ferito con un pettine e urlava solo per un attacco di panico! Bisognerebbe forse curare l’educazione antropologica e linguistica onde evitare tali assurdità!

Nonostante l’assenza di un concetto univoco di gioco, esso si svolge dentro alcune coordinate spazio-temporali e con alcune condizioni, per cui si danno classificazioni comunemente accettate, che raggruppano i giochi in due specie: 1) quelli stimolanti le facoltà psicofisiche (percezione, apprendimento, motricità, reimpiego di scorte energetiche, intuizione, ecc.); 2) quelli attivanti speciali comportamenti (competizione, imitazione, socializzazione, divertimento, rispetto delle regole).

Nota è pure la classificazione di Caillois, basata sulle diverse finalità del gioco: 1) ambizione di vincere grazie al proprio merito (piacere della competizione, duello, confronto); 2) abdicazione della volontà in favore di un’attesa passiva e ansiosa della sorte (piacere del caso); 3) capacità di assumere una personalità estranea e diversa da quella abituale (piacere della maschera); 4) ricerca spasmodica del pericolo e dell’abbandono (piacere della vertigine).

 

  1. Il gioco come patologia

Una prima forma di mistificazione del gioco, è data per esempio dal “gioco patologico” (ludopatia semplice, giocomania). Solitari di carte, flipper, yo-yo, enigmistica, giochini elettronici preinstallati sugli smartphone, concorsi a premi, colpire un bersaglio, ecc. Sebbene questi giochi conservino una loro legittima funzione e possano costituire un momento rilassante e una piacevole abitudine, troppo spesso se ne abusa e diventano quindi giochi ossessivi, futili e ben poco arricchenti.

Di ciò quasi nessuno si preoccupa, sebbene siano molto diffusi, con evidente spreco di energie e di tempo altrimenti meglio utilizzabili a favore di sé e del prossimo. Pensiamo solo a quanti bambini sono “abbandonati” per tutto il giorno coi loro videogiochi, tanto da diventarne dipendenti e compromettere la loro funzionalità su altri piani: a fine 2017, le cronache nazionali hanno raccontato persino di un figlio tolto alla madre accusata di averlo trascurato e fatto diventare ludopatico! E nessuno si preoccupa quando, con ogni mezzo, si viene raggiunti da messaggi pubblicitari che invitano a partecipare a giochi e concorsi di ogni tipo; o come quando, in molti giochini all’apparenza innocui (destinati anche ai più piccoli), s’innestano dinamiche del tipo: “accumulo punti”, “vincite potenziali”, “divertiti con la fortuna”, ecc., così da preparare e formare la psicologia del futuro giocatore d’azzardo. Si pensa al gioco come a un antidoto alla solitudine, però proprio il gioco può aumentare situazioni di solitudine, emarginazione e sofferenza, specie quando diventa patologico.

 

  1. Il gioco d’azzardo

Una seconda mistificazione del gioco si caratterizza per un discreto livello di azzardo, pericolo e spettacolarizzazione del rischio. In senso stretto, il gioco d’azzardo è solo quello in cui si puntano denaro o altri beni di valore senza poter più ritirare la posta in palio e in cui l’esito del gioco dipende esclusivamente o prevalentemente dal caso e non dall’abilità del giocatore che si illude di poter controllare gli eventi. Ma in un senso più ampio, possiamo far rientrare in questa seconda categoria: a) gli sport estremi; b) i giochi trasgressivi dei giovani; c) certe attività professionistiche (“giocatori sponsorizzati”).

Esiste tuttavia un gioco d’azzardo semplice, cioè occasionale, non necessariamente patologico né dispendioso, come le scommesse fra amici, la lotteria di Capodanno, la pesca di beneficienza, il gratta-e-vinci saltuario, ecc.; oppure certi giochi tipici in alcune culture e popoli: pai gow, domino, scommesse su cani e cavalli, schedina domenicale, ecc.

Per la psicologia transculturale, ciò che in un contesto è percepito come un azzardo, in altri non lo è, magari è solo un sistema per ridistribuire ricchezze; perciò i vari giochi di queste due prime categorie (“gioco patologico” e “gioco d’azzardo”) sono forme ludiche per lo più socialmente accettate. In ogni caso però, queste forme non problematiche di svago, possono produrre dapprima giocatori a rischio (si gioca regolarmente sperperando tempo e denaro) e poi veri e propri giocatori patologici.

Tralasciamo di esporre in questa categoria, quei giochi macabri nei quali si scommette sulle cose più disgustose, come per esempio, le disgrazie altrui, la data di morte di personaggi pubblici e persino – negli USA – dei condannati a morte: qui si vince quando l’esecuzione è rimandata, o quando il condannato si toglie la vita o viene assassinato prima dagli altri detenuti!

Vari autori hanno visto inoltre nel gioco d’azzardo, una cifra simbolica che sposta l’“azzardo” dal gioco alla vita stessa: il giocatore non sfida tanto la sorte dei numeri e del denaro, ma sfida la vita ossia sfida in modo supremo la morte in persona, seppure momentaneamente, nell’auto-illusione di padroneggiarla e vincerla sempre: cosa che gli procura un certo sentimento di onnipotenza (ma che nasconde per lo più forme di masochismo e autolesionismo inconsapevole).

 

  1. Gioco d’azzardo patologico e DIAGNOSI psichiatriCa

Un ultimo passo verso la totale mistificazione del gioco, ci porta nel campo psichiatrico, cioè nella ludopatia o azzardomania o azzardopatia o gioco d’azzardo compulsivo (Gambling Abuse Pathology, in acronimo GAP). Il termine ludopatia deriva dal latino ludus: spettacoli pubblici, religiosi e civili, organizzati nell’antica Roma (ma ludus significa anche burla, scuola, esercitazione dialettica), e dal greco pathos (patimento, sofferenza), quindi, per esteso, s’intende con ludopatia, la “dipendenza patologica dai giochi d’azzardo; l’incapacità di resistere alle scommesse, con tutti gli eccitamenti emotivi del caso”. “Azzardo” deriva invece dall’arabo az-zahr (dado, gioco dei dadi per denaro).

Il fenomeno dell’azzardo non è inedito nella storia: dagli antichi popoli mediorientali ai greci (scommesse sui giochi olimpici), dagli antichi romani (scommesse sui gladiatori) a oggi, ha coinvolto celeberrimi personaggi. Ma oggi il gioco d’azzardo ha raggiunto una dimensione planetaria, entrando in ogni casa e colpendo maschi e femmine di ogni età, ceto sociale, livello culturale.

È superata quindi la figura del giocatore incallito, ma distinto, di elevata estrazione sociale. Consumismo, tempo libero, disponibilità economiche e nuove tecnologie mass mediatiche (“net-patologie”), permettono di giocare sempre, ripetutamente e dovunque: casinò, centri commerciali – i nuovi santuari della domenica – betting office, sale da gioco, ricevitorie, tabaccherie, bar e finanche interi quartieri e città (Las Vegas). L’offerta è molto ampia: roulette, lotteria, lotto e derivati, bingo, totip, gratta-e-vinci, black-jack, slot machine, aste on line, videolottery, pachinko, tagò, win-for-life, giochi di carte, ecc. Ma nel GAP il gioco è così mistificato, sofferto e incontrollabile, che la mancanza di numerosi elementi positivi sopra elencati, lo portano fuori della denominazione stessa di “gioco”! Alcuni paesi hanno assunto il controllo del gioco d’azzardo (stato “biscazziere”?) e sono in rapporti commerciali con le agenzie private che lo gestiscono.

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5, 2014c) offre il capitolo “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”, dove afferma che «i comportamenti derivati dal disturbo del gioco d’azzardo riescono ad attivare sistemi di ricompensa e producono sintomi comparabili a quelli attivati dalle sostanze di abuso». Cioè: il meccanismo della dipendenza da gioco è analogo a quello della dipendenza dalle droghe!

Il Manuale elenca nove criteri per determinare la compromissione clinicamente significativa del disturbo su tre livelli (lieve, moderato, grave). Entro un periodo di 12 mesi l’individuo (nostro adattamento sintetico):

  1. Ha bisogno di quantità crescenti di denaro per ottenere l’eccitazione desiderata, ma non si tratta solo di disponibilità economica, potendo uno averla, e persistere il vizio.
  2. È irrequieto o irritabile se tenta di ridurre o smettere di giocare.
  3. Ha già fatto sforzi infruttuosi per smettere, controllare o ridurre il gioco anche in periodi di remissione del disturbo.
  4. Ha pensieri persistenti e preoccupazioni sul gioco e rivive le esperienze passate, analizza gli ostacoli, pianifica le prossime puntate, pensa a come trovare denaro.
  5. Spesso, gioca quando si sente a disagio, indifeso, colpevole, ansioso, depresso o in occasione di eventi traumatici come conflitti sul lavoro o delusioni amorose.
  6. Dopo aver perso, ritenta e rincorre le proprie perdite. Ma non si tratta solo di frequenza: il gioco rimane un problema ogniqualvolta è il prodotto di un problema e se causa problemi (quand’anche si giochi di rado).
  7. Mente per nascondere l’entità del coinvolgimento e il fatto stesso di giocare.
  8. Mette in pericolo o ha già perso relazioni significative quali affetti, lavoro, studio, carriera.
  9. Conta sugli altri per procurarsi denaro (ma aiutarlo a ripagare i debiti, pur sembrando una soluzione veloce, più essere nel contempo diseducativo e de-responsabilizzante), oppure entra apertamente nell’illegalità (furto, frode, appropriazione indebita, ecc.) per tentare di risolvere situazioni finanziare disperate.

Altre possibili caratteristiche del giocatore d’azzardo sono: distorsione dei processi cognitivi (negazione, superstizione, senso di potere); credenza che il denaro sia la causa di tutti i mali; irrequietezza, impulsività, competitività, noia, fuga; fenomeni di comorbilità (disordini alimentari, disturbo bipolare, sentimenti di ostilità/sfida verso l’ambiente, tendenze autodistruttive/autopunitive, uso di alcol e tabacco).

  1. Ulteriori interpretazioni psico-esistenziali del gioco

Tutti siamo immersi nel gioco fin dalla nascita e a tutti piace giocare. Ma il gioco è spesso un’arma a doppio taglio, come quando, per esempio, lo idealizziamo e ne facciamo un simbolo attorno a cui far ruotare tutto; o quando diventa una valvola di sfogo per nascondere disagi esistenziali e riempire male tempi vuoti; o quando diventa un’attività ossessiva: fissazione, irresistibilità all’impulso, azione automatica e irresponsabile.

Spesso il GAP non presenta segni rivelatori e l’individuo gioca in segreto (per questo si parla di “malattia nascosta”), illudendosi che il gioco possa risolvere le cose, liberare da schiavitù e lavoro (presunta redditività economica), riscattare ingiustizie, ritrovare serenità perdute per tornare d’incanto al reale e riacquistare dignità. Così si deride il destino, si compete col Banco, si sottovalutano i rischi della propria condizione svantaggiata, si crede che la perdita sia paradossalmente una quasi-vincita, una vincita ritardata (come quando il numero vincente è inferiore/superiore di una cifra rispetto a quello giocato) e dunque si rincorrono le perdite per tentare di recuperarle. Si rifiutano contestualmente aiuti e gestioni alternative del disagio (crearsi nuovi hobby, cambiare abitudini, affidare le proprie sostanze a terzi, passare più tempo con gli amici). Il GAP è una realtà tragicamente seria, un giocare con un fuoco che non risparmia nessuno e scava abissi tra fatti e aspettative.

Per la psicoanalisi, il gambling è: un’attività erotizzante sostitutiva rispetto a un sistema sociale che non appaga i desideri, uno iato tra impulsi e realtà identificativa; una forma di masochismo con fasi compulsive e di rimorso; un epifenomeno dell’inconscio con vari potenziali significati simbolici. Il gioco può rappresentare anche l’auto-affidamento a entità superiori che regolano il mondo (Caso, dea Fortuna, Provvidenza, Stato), salvo poi condannarle come Entità esattoriali e punitive. Il gioco non è privo di cattiveria, nella misura in cui si dispregia la malasorte dell’avversario perdente.

Per la psicologia cognitivista, il GAP è una disfunzione mentale consistente nell’illusione razionalistica di dominare eventi aleatori o magici, con calcoli probabilistici del tutto infondati: per esempio, scommettere sul ritardo dei numeri al lotto, come se questi avessero memoria o debbano uscire per forza! Per il comportamentismo, il gioco è la possibilità della rivincita immediata, del gusto della velocità e della ripetizione. Per certa psichiatria, esso è legato ad alterazioni neurologiche, di trasmissione dei marker e persino a eziologia genetica. Altri approcci psicologici hanno posto l’attenzione sul giocatore anziché sul gioco – al fine di un’eventuale terapia – classificandolo in suggestionabile, emotivo, disadattato, a-rischio, patologico, ecc.

Diverse sono infine le psicoterapie offerte, sebbene, vincere una dipendenza non è mai semplice, come non lo è mantenerne la guarigione; basti pensare a quanti smettono di fumare, drogarsi o bere per poi ricominciare più volte; tanto che, per tutte le forme di dipendenza, più che di guarigione si preferisce parlare di “remissione protratta”.

  1. Considerazioni socio-politiche E Valutazioni Morali

Dopo secoli di proibizionismo ed elenchi polizieschi di giochi vietati, negli anni 2001-2003 l’Italia ha liberalizzato i giochi d’azzardo diventando il primo consumatore in Europa e tra i primi cinque al mondo. Il GAP è un’autentica piaga sociale, un business scientifico in mano ai poteri forti di politica, finanza, malavita, multinazionali (“ludocrazia”). I governi tassano il gioco, ne gestiscono direttamente alcuni e lo incentivano con campagne pubblicitarie; ma poi inseriscono la ludopatia nell’assistenza sanitaria coi relativi costi diretti (spese mediche, psicologiche, farmacologiche), indiretti e sociali (usura, infiltrazione del crimine, fallimenti di aziende, riciclo di denaro sporco, perdita di giornate di lavoro, bocciature scolastiche, violenze, aumento di giochi illegali, suicidi).

Si ritiene in merito, che il gioco d’azzardo sia un moltiplicatore negativo in un sistema economico, in quanto, sebbene arricchisca certamente qualcuno – i pochi operatori del settore – nel complesso sottrae risorse per beni e servizi e non incentiva il tessuto economico di un territorio. Auspicabili sono dunque regolamentazioni restrittive alla sua diffusione, nonché interventi di tipo educativo e preventivo nei luoghi di socializzazione (famiglie, scuole, oratori, comunità) per sensibilizzare i giovani al problema. Qualcosa è stato fatto con la legge n. 189/2012, che cerca di proteggere i minori, che impone alla pubblicità di avvertire del rischio di dipendenza e informare altresì sulle effettive possibilità di vincita; mentre la sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2014, permette alle singole amministrazioni comunali di mettere vincoli e restrizioni al gioco d’azzardo nel loro territorio.

La Chiesa ha condannato in passato molti giochi (d’azzardo o no, per esempio, per lungo tempo anche gli scacchi!), ritenendone alcuni “vizi diabolici”; mentre per i rabbini “chi gioca a dadi per denaro è un rapinatore dell’anima”! Ogni pratica ludica che sfrutta la persona e non ne rispetta la dignità, reca danno alla salute fisica o mentale, offende la bellezza e la prudenza, non contribuisce allo sviluppo delle abilità individuali e al perfezionamento delle virtù, arrischia l’economia domestica esponendosi immotivatamente alla fortuna, declina responsabilità attribuendo colpe agli altri, fa dei desideri un commercio, insomma, tutti i giochi diseducativi che disprezzano pericoli e valori sono moralmente inaccettabili.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, pur dicendo che «i giochi d’azzardo e le scommesse non sono in se stesse contrarie alla giustizia, lo diventano quando privano la persona di ciò che le è necessario per vivere e quando la passione del gioco diventa schiavitù» (n. 2413). Il caso appunto del GAP, per cui esso rimane «un’attività contraria all’ordine pubblico, alla morale e al senso etico della comunità; punito dagli articoli 718-722 del Codice Penale [salvo i casi autorizzati]» (Occhetta, 2014).

Soprattutto, e questo è un punto fondamentale, bisognerebbe annullare nel gioco il suo “codice dell’azzardo” per farlo tornare un puro gioco (fine a se stesso con tutte le sue positività) e non un mezzo (stratagemma) per guadagnare qualcosa! Il gioco non va giocato per scherzo o per azzardo, ma seriamente, cioè con spirito critico, eticità, salute mentale, finalità appropriate.

Il gioco migliore sarà quello senza scommesse, dove nessuno vince e nessuno perde, dove tutti si divertono e tutti fraternizzano. Bisogna infine recuperare il valore teologico della gratuità ludica, come in Proverbi 8,30, dove la Sapienza si diletta quotidianamente sulla terra e delizia il Signore, o in Siracide 32: «divertiti e benedici chi ti ricolma di beni». Il gioco dev’essere vissuto con un conato di trascendenza, come un’attesa del tempo in cui «i bimbi giocheranno sulle buche di serpenti velenosi e il lupo e l’agnello staranno insieme» (Isaia 11). Perciò San Paolo invita i cristiani a gareggiare per ottenere premi incorruttibili:

«Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1 Corinzi 9, 24-27).

Contro le insensatezze e i mali del mondo, la libertà del gioco può diventare energia redentrice, impulso altruistico, sereno disinganno, preludio di quel regno in cui regola e spontaneità non sono più nemiche e in cui lo spirito, affranto da ogni conflitto, godrà di un mondo trasfigurato.

 

bibliografia

AA.VV. (2014a), Atlante delle dipendenze, Abele: Torino.

AA.VV. (2014b), L’azzardo del gioco. Riflessioni sulle ludopatie, La Meridiana: Molfetta.

AA.VV. (1981), Il gioco, 4 voll., Armando: Roma.

AA.VV. (1985). Il gioco come mondo matematico, NIS: Roma.

AA.VV. (2017), Gioco d’azzardo ed antisocialità, in “Giornale italiano di psicologia”, n. 2, pp. 219-248.

AA.VV. (2001), Il gioco e l’azzardo, F. Angeli: Milano. 

AA.VV. (2014a), GAP. Il gioco d’azzardo patologico, Pacini: Pisa.

AA.VV. (2014b), Gioco d’azzardo. Difendersi si può, Minerva: Bologna.

AA.VV. (2015), Gioco d’azzardo e denaro, Bonanno: Roma.

AA.VV. (1973). Homo ludens, “Vita e Pensiero”, LV, n. 5.

AA.VV. (2010a), Il gioco d’azzardo patologico, Carocci: Roma.

AA.VV. (2010b), Il gioco d’azzardo patologico, Springer: Milano.

AA.VV. (1988), Gioco e simbologia degli affetti, Guerini: Milano.

AA.VV. (2006), Psicologia del gioco d’azzardo e della scommessa, Carocci: Roma.

AA.VV. (2016), Ludocrazia. Un lessico dell’azzardo di massa, O barra O edizioni: Milano.

AA.VV. (2014c), “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”, in Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5, 2013), Cortina: Milano, pp. 563-686.

AA.VV. (2019), Vite in gioco. Ludopatia e gioco d’azzardo, Carocci: Roma.

AA.VV. (2022), Sicurezza sociale e gioco d’azzardo, in “Sicurezza e Scienze Sociali”, n. 1/2022.  

Angelucci, A, (2017), Non è solo un gioco. Superare la dipendenza dal gioco d’azzardo, San Paolo: Cinisello Balsamo

Beccaria, A, Liuzzi E, (2012), Giochi non proibiti. Viaggio nell’industria del gioco d’azzardo. Chi ci guadagna e perché, Imprimatur: Reggio Emilia.

Berne, E, (2010), A che gioco giochiamo?, Bompiani: Milano.

Borsari, prefazione di Remo Bodei, Bruno Mondadori: Milano, pp. 1063-1074.

Brezzi, F, (2018), Gioco senza regole, Castelvecchi: Roma.

Caillois, R, (2000), I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano.

Cicchese, G, (ed.) (2019), Homo ludens, “Per la filosofia. Filosofia e insegnamento”, XXXVI, n. 106.

Chimirri, G, (2018), “Ludopatia”, in Nuova enciclopedia di bioetica, LDC: Torino.

Cox, H, (1971), La festa dei folli, Bompiani: Milano.

Croce, M, Rascazzo, F, (2013), Gioco d’azzardo, giovani e famiglie, Giunti: Firenze.

Donadeo, C, (2014), Giochi d’azzardo e ludopatia, Auditorium: Milano.

Fiasco, M, (2020), Il gioco d’azzardo incontra il cigno nero. Problemi epistemologici e istituzionali (2020), LIRPA International Journal, n. 1, pp. 118-138; Id., Gambling meets the black swan. Epistemological and Istitutional Problems (2020), pp. 139-158.

Fink, E, (1969), Il gioco come simbolo del mondo, Lerici: Roma.

Fornero, G, (2000), “Gioco”, in N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET: Milano, pp. 525-527.

Gebauer, G, (2002), “Gioco”, in Le idee dell’antropologia, a cura di Christoph Wulf, ed. it. a cura di Andrea

Giacchetta, F, (2005), Gioco e trascendenza, Cittadella: Assisi.

Guerreschi, C, (2012),  Non è un gioco. Conoscere e sconfiggere la dipendenza da gioco d’azzardo, San Paolo: Cinisello Balsamo.

Heidegger, M, (1991), L’essenza del fondamento (1957), Adelphi: Milano.

Huizinga, J, (2002), Homo ludens, Einaudi: Torino.

Iurilli, C, (2016), Giochi e scommesse. La ludopatia, Res: Pontedera.

Kaiser, A, (1996), Antropologia pedagogica della ludicità, La Scuola: Brescia.

Kaiser, A, (2006). “Gioco”, in AA.VV., Enciclopedia Filosofica, vol. V, Bompiani: Milano, pp. 4755-4763.

Kane, P, (2017), The play ethic, PanMacmillan: London.

Lavanco, G, Varveri, L, (2006), Psicologia del gioco d’azzardo e della scommessa. Prevenzione, diagnosi, metodi di lavoro nei servizi, Carocci, Roma.

Lethem, J, (2017), A Gambler’s Anatomy or The Blot (2016): tr. it. Anatomia di un giocatore d’azzardo, La nave di Teseo: Milano (romanzo).

Linden, D, (2011), The Compass of Pleasure. How Our Brains Make Fatty Foods, Orgasm, Exercise,
Marijuana, Generosity, Vodka, learning, And Gambling Feel so Good
, Penguin: New York; tr. it. (2012) La bussola del piacere. Ovvero perché junk food, sesso, sudore, marijuana, vodka e gioco d’azzardo ci fanno sentire bene, Codice: Torino.

Mathieu, V, (1989), Gioco e lavoro, Spirali: Milano.

Melchiorre, V, (1977),  Il gioco come simbolo, in Metacritica dell’eros, Vita e Pensiero: Milano, pp. 158-193.

Meneghetti, C, (2019), In gioco veritas, Flaccovio: Palermo.

Moltmann, J, (19882), Sul gioco, Queriniana: Brescia.

Moreno, J, (1985), Manuale di psicodramma (1946), Astrolabio: Roma.

Neumann, J, von, (2021), The computer and the brain (1958), Yale University Press: New Haven; tr. it. Computer e cervello, Il Saggiatore: Milano.

Occhetta, F, (2014), La piaga sociale del gioco d’azzardo, “La Civiltà Cattolica”, n. 3943, pp. 59-70.

O’Connor,  K J, Schaefer, CE, Braverman, LD, (20162), Handbook of Play Therapy, John Wiley & Sons: Hoboken, New Jersey.

Parolari, E, (2013), Il giocatore d’azzardo, in “Tredimensioni”, n. 1, pp. 71-78.

Rahner, H, (1969), L’homo ludens, Paideia: Brescia.

Saviani, L, (1998), Ermeneutica del gioco, ESI: Napoli.

Saviani, L, (2017), Ludus Mundi. Idea della filosofia con un poemetto di Pasquale Panella, postfazione di A. Masullo, Moretti & Vitali: Milano.

Schaefer, CE, (ed.) (20112), Foundations of Play Therapy, John Wiley & Sons: Hoboken New Jersey.

Stone J, Schaefer CE, (eds.), Game Play Therapy Therapeutic Use of Games with Children and Adolescents, Wiley, Hoboken, New Jersey 20193.

Suozzo, R, (2001), Il gioco. Formazione e creatività, Le Mani Università: Genova.

Szasz, TS, (1966), Il mito della malattia mentale. Fondamenti per una teoria del comportamento individuale (1961), Il Saggiatore: Milano.

Szasz, TS, (1972), I manipolatori della pazzia: studio comparato dell’Inquisizione e del Movimento per la salute mentale in America, Feltrinelli: Milano.

Valitutti, S, (1953), Il gioco dell’uomo, Viola Edizioni: Milano.

Winnicot, D, (1974), Gioco e realtà (1971), Armando: Roma.

Wittgenstein, L, (1967), Ricerche filosofiche (1958), Einaudi: Torino.

(1) gennarocicchese@gmail.com,  professore di Antropologia filosofica ed Etica, I.S.S.R. Ecclesia Mater (Pontificia Università Lateranense – Roma);

(2) gio.chimirri@gmail.com, saggista, filosofo, teologo, bioeticista e psicopatologo, cultore di estetica e filosofia dei linguaggi all’Università dell’Insubria (Varese).

Leave a Reply