Keywords: fiaba, Re bazza di tordo, Animus, Anima, psicoterapia dinamica breve.
Abstract: I motivi fiabeschi secondo l’ottica junghiana sono immagini archetipiche che hanno grande attinenza con la vita pratica (von Franz 1972). Per Jung l’archetipo è una “categoria a priori di esperienza e di conoscenza” (1936–1954). Jung ebbe modo di affermare che le fiabe permettono di studiare al meglio l’anatomia comparata della psiche: esse sono, infatti, l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa (Von Franz 1970). La von Franz ritiene che quasi tutte le fiabe ruotino intorno al tentativo di descrivere metaforicamente il processo di individuazione, o meglio, il processo di incarnazione del Sé. L’autrice sostiene che “dopo aver lavorato per molti anni in questo campo, sono giunta alla conclusione che tutte le fiabe mirano a descrivere un solo evento psichico, sempre identico, ma di tale complessità, di così vasta portata, e così difficilmente riconoscibile da noi in tutti i suoi diversi aspetti, che occorrono centinaia di fiabe e migliaia di versioni, paragonabili alle variazioni di un tema musicale, perché questo evento penetri alla coscienza (e neppure così il tema è esaurito). Questo fattore sconosciuto è ciò che Jung definisce il Sé. Esso costituisce la totalità psichica dell’individuo” (Ibidem).
Partendo da queste premesse vogliamo fornire una chiave interpretativa della fiaba dei fratelli Grimm “Re Bazza di Tordo” proponendo un’analogia in chiave clinica, tramite un caso singolo di una paziente che ha portato a termine un percorso di psicoterapia dinamica breve a orientamento psicologico Analitico Comunicativo.
Il nostro gruppo di lavoro condivide con la von Franz il medesimo interesse di studio per le fiabe, infatti “per l’indagine scientifica dell’inconscio esse valgono più d’ogni altro materiale […]. In questa forma così pura, le immagini archetipiche ci offrono i migliori indizi per comprendere i processi che si svolgono nella psiche collettiva” (Von Franz, 1970).
Introduzione
I preziosi contributi di Carl Gustav Jung e della sua celebre allieva Marie-Lousie von Franz hanno permesso di comprendere che le fiabe parlano di quei contenuti psichici che sono molto lontani dalla coscienza umana e di quanto esse siano basate su alcune funzioni universali della psiche.
Nel contenuto delle fiabe si osserva la più pura e semplice espressione dei processi psichici dell’inconscio collettivo, esse infatti rappresentano gli archetipi nella loro forma più genuina (von Franz 1970).Grazie alla psicologia di C.G. Jung è stato possibile ottenere alcuni strumenti concettuali che hanno permesso di penetrare il senso delle fiabe e di coglierne gli insegnamenti e i benefici effetti che esse, in ogni tempo, hanno avuto il compito di trasmettere (von Fraz 1972).
I motivi fiabeschi che sono, secondo l’ottica junghiana, immagini archetipiche, hanno grande attinenza con la vita pratica (ibidem). Jung definisce l’archetipo come una “categoria a priori di esperienza e di conoscenza” (1936–1954). Sul piano epistemologico gli archetipi, come elementi strutturali (categorie a priori), rientrano nell’ambito della possibilità di percepire e rappresentare, cioè fattori formativi delle rappresentazioni interiori e quindi condizioni a priori della loro strutturazione (Jung 1927, 1931). Sul piano ontologico gli archetipi sono impersonali e universali, costanti e invarianti, congeniti, mitologicamente organizzati e perciò, producenti “conoscenze” nel linguaggio del mito (Berivi 2012 a).
Tra i vari archetipi quelli maggiormente presenti all’interno delle fiabe sono Animus e Anima.
Per orientarsi nell’interpretazione delle fiabe, la von Franz (1970) suggerisce di seguire delle norme valide. Alla stregua di come s’interpreta un sogno, l’autrice suddivide la storia archetipica nei suoi vari aspetti partendo dall’introduzione (tempo e luogo, “c’era una volta…” e numero dei personaggi); descrivendo poi la narrazione, o inizio del problema; a questa fase segue la peripétia e la conclusione. “Nel lavorare su una fiaba, quindi, ci si trova di fronte alla struttura fondamentale della psiche, una sorta di scheletro dal quale i muscoli e la pelle siano stati tolti, lasciando soltanto gli elementi d’interesse generale” (von Franz 2002).
Alla luce di questa premessa il nostro tentativo in questa sede è di offrire un’interpretazione della fiaba “Bazza di Tordo” dei fratelli Grimm, in riferimento alle funzioni psichiche junghiane degli Archetipi Animus (immagine interiore del maschile nella psiche femminile) e Anima (immagine del femminile presente nella psiche maschile).
Inoltre, vorremmo proporre una chiave di lettura clinica di queste due funzioni archetipiche attraverso l’esposizione di un caso singolo di psicoterapia dinamica breve a orientamento psicologico analitico comunicativo, svolto all’interno del setting a cornice sicura di Robert Langs (1973-74, 1980, 1983, 1985,1988, 1996, 1998).
Langs ha approfondito lo studio della “comunicazione inconscia” di tipo interazionale tra paziente e terapeuta analizzando, in particolare, l’importante ruolo che giocano gli interventi del terapeuta nel determinare le risposte del paziente. Il suo complesso e articolato modello teorico-clinico di psicoterapia comunicativa si caratterizza in quattro aspetti fondamentali. Il primo punto è il “sistema di decodificazione” delle comunicazioni del paziente per derivati[1], i quali rappresentano la trama sulla quale si fonda la relazione terapeutica. Il derivato è un prodotto della Mente emotiva che assume la forma di messaggio in codice che comunica simbolicamente la percezione esatta della realtà e delle reazioni emotive e affettive che risiedono nell’inconscio e sono disconosciute dalla coscienza. I derivati si osservano nelle comunicazioni associative del paziente, in seduta, sotto forma di descrizioni, di racconti di fatti e personaggi, di racconti di storie e trame di film, di sogni, di ricordi, di lapsus e di atti mancati. Tale metodo, basato sulla analisi sistematica e sulla decodifica delle comunicazioni inconsce, permette di assumere ciò che il paziente dice, come un “commentario inconscio” di quello che accade nella relazione terapeuta-paziente, fino vieppiù a considerare l’inconscio del paziente come un “supervisore” del terapeuta stesso. Il secondo aspetto riguarda il nuovo modello della mente elaborato da Langs che vede nella “Mente Emotiva” il corollario metapsicologico su cui si fonda il concetto di malattia, di cura e di salute. Il terzo aspetto riguarda la riformulazione dei concetti di “transfert e controtransfert”. Langs si differenzia dall’impostazione analitica classica, riformulando i concetti stessi di transfert e controtransfert e di neutralità analitica[2].
Il quarto aspetto saliente della tecnica di Langs è la messa appunto di uno schema metodologico che prevede precise regole per la individuazione della “cornice sicura”. Grazie ai suoi numerosi contributi clinici Langs (1976) rileva che in tutti i pazienti è presente un congenito assetto inconscio di regole stabili che disciplina la relazione terapeutica. Da ciò deriva che il compito ineludibile dello psicoterapeuta fosse di stabilire le regole del setting, di mantenerle e di interpretare ogni tentativo di travalicarle (Berivi 2012b). Sono proprio queste regole, pattuite nel contratto iniziale, che determinano appunto la “cornice sicura”, ovvero l’unica in grado di promuovere un processo psicoterapeutico curativo (Grassi 2012).
Alla luce di ciò Langs (1998) asserisce che fosse un doveroso “compito dissipare ancora una volta il timore e il dubbio che queste regole di base siano troppo rigide, troppo difficili da stabilire e mantenere e troppo problematiche per pazienti e terapeuti. […]. Un lavoro terapeutico fruttuoso non sarà possibile fino a quando il terapeuta non offrirà la cornice più sicura al suo paziente. In conclusione, un profondo apprezzamento del ruolo svolto dalle cornici e dagli interventi sulle cornici rende tutte le forme di psicoterapia molto più efficienti” (Langs1998).Viceversa la rottura del setting rappresenta ciò che altera in modo brusco ed evidente le regole del trattamento, modificando di conseguenza l’assetto analitico. Tale alterazione a volte proviene dal paziente, configurando quindi un agito transferale; altre volte da un errore (o un agito) del terapeuta, quindi controtransferale; altre infine da una circostanza fortuita, generalmente da un’informazione non pertinente che il paziente riceve da terzi. In ogni caso, l’ambito in cui si svolge il processo viene perturbato (Etchegoyen1986).
I significati della cornice sicura toccano le aree fondamentali della vulnerabilità umana del paziente e del terapeuta e il sollievo ottenuto attraverso la deviazione da una delle regole di base ha sempre una componente patologica o inappropriata (Grassi 1999).Grazie al setting a cornice sicura “il paziente può riconoscere ed affrontare, accompagnato dal terapeuta che le condivide, le angosce[3] che lo affliggono e dalle quali rifugge attraverso i tentativi di rottura del setting e la follia”(Berivi 2012b).
Sintetizzando, il mantenimento della cornice sicura permette al paziente di:
- sviluppare un sentimento di fiducia di fondo;
- stabilire chiari confini interpersonali;
- avere un sostegno inconscio al suo contatto con la realtà;
- poter stabilire una simbiosi terapeutica salutare con il terapeuta;
- disporre di una situazione nella quale gli eventi dinamici e genetici convergano sul nucleo di disturbo emozionale del paziente, invece che sui problemi psicologici del terapeuta;
- percepire la presenza di un holding e un contenimento adeguato;
- la possibilità di ricevere frustrazioni adeguate e soddisfazioni salutari;
- la possibilità di una introiezione di aspetti narcisistici sani dello psicoterapeuta (ibidem).
In accordo con quanto sostenuto da Langs, il nostro gruppo di ricerca condivide con l’autore l’importanza di mantenere un setting a cornice sicura, in quanto esso offre le migliori condizioni possibili entro le quali si possa sviluppare in tempi rapidi un processo psicoterapeutico curativo (Langs 1985).
Ricapitolando, se da un lato i contributi teorico-clinici di Jung sugli Archetipi e i preziosi studi della von Franz sulle fiabe ci permettono di rilevare la loro importanza per l’indagine scientifica dell’inconscio, dall’altro lato noi riteniamo che il metodo clinico comunicativo di Langs sia il più idoneo per l’osservazione di queste dinamiche archetipiche. Infatti, mediante la ricognizione dell’Ombra personale del paziente, cioè della natura inconscia predatoria dei suoi conflitti interiori, il terapeuta può nella prima fase della psicoterapia accompagnarlo verso la presa di coscienza di sé. Nella seconda fase, che potremmo definire di confronto, il terapeuta potrà sostenerlo nell’assunzione di un comportamento etico dell’Io nei confronti delle verità emergenti da un rapporto stabilizzato con l’inconscio (Grassi 2012). “Perché possa catalizzare la trasformazione psichica del paziente, viene però richiesto al terapeuta il requisito di aver egli già raggiunto lo stesso stadio, come ci insegna Jung” (Ibiem).
Interpretazione della fiaba “Il re Bazza di Tordo”
La fiaba dei fratelli Grimm (1951)“il re Bazza di tordo” racconta la storia di un re esasperato dalla figlia che non volendosi sposare, deride tutti i pretendenti che giungono a corte per ammogliarsi, respingendoli l’uno dopo l’altro. Tra questi vi è un re buono, con un mento pronunciato, appellato derisoriamente dalla principessa come “re bazza di tordo”. All’udire quest’ultima calunnia il re padre perde la pazienza e minaccia la fanciulla di darla in sposa al primo mendicante che avrebbe bussato alla sua porta. Qualche giorno dopo un suonatore, lurido e lercio, si mette a cantare sotto la finestra per chiedere l’elemosina e quando il re l’udì, gli ordina di sposare la principessa. Il re fa chiamare il parroco per la celebrazione delle nozze e al temine della funzione il suonatore e la principessa lasciano il palazzo reale e si avviano verso la casa dell’uomo. Durante il viaggio i due sposi attraversano un grande bosco, poi un bel prato e infine giungono in una grande città. Alla vista di tutto ciò la principessa si domanda chi fosse il proprietario di tutti quei beni e il marito le dice che appartengono al re Bazza di tordo. Giunti alla misera casa del marito la principessa deve imparare un mestiere (intrecciare i giunchi per fare dei canestri, filare, vendere pentole e stoviglie al mercato), ma fallisce in ogni cosa e subisce un avvenimento a lei avverso. Il marito pazientemente sopporta insieme alla donna la miseria e cerca di trovare un’occupazione a lei più indicata. Alla fine la principessa accetta di fare da sguattera nella cucina del castello reale. Per provvedere alla sussistenza di entrambi ella si lega dei pentolini alle tasche per poi riempirli con gli avanzi di cibo dei pranzi e delle cene dei nobili castellani. Un giorno a corte vennero celebrare le nozze del figlio primogenito del re e nel corso della festa la donna riconosce il famoso re Bazza di Tordo come padrone del castello. Egli vedendola nascosta dietro la tenda le prende la mano e nell’atto di trarla a sé si ruppe la cordicella delle tasche e caddero per terra tutti gli avanzi di cibo contenuti nei pentolini. In preda alla vergogna la principessa prova a scappare, ma re Bazza di Tordo la ferma e le rivela che in realtà lui è il suonatore, suo marito. Il re Bazza di Tordo svela il suo travestimento, spiegando che tutto ciò era accaduto per spezzare l’orgoglio della principessa e per punire l’arroganza con la quale lei lo aveva trattato. La fiaba si conclude con il festeggiamento delle loro nozze.
Il punto di partenza di questa fiaba è incentrato sul rapporto padre–figlia dal quale, successivamente, prende vita il rapporto tra la principessa e il suonatore e, attraverso il dipanarsi delle vicende della fiaba, si assiste alla trasformazione della dinamica interpersonale tra questi due personaggi, intesa come l’incontro del principio maschile e femminile, fra inconscio e coscienza, che trova la sua espressione nella coniunctio finale tra Animus e Anima.
I personaggi che figurano nella scena introduttiva della fiaba sono: da un lato il re, che desidera dare in sposa la figlia e dall’altro lato la principessa di straordinaria bellezza, ma altera e sdegnosa che respinge tutti i pretendenti.
Da questa configurazione iniziale si dipana tutta la trama. Ciò che si rileva sin dall’inizio del racconto è la mancanza di una figura materna, uno degli aspetti significativi del problema presentato. Nel suo eminente lavoro dal titolo L’Animus e l’Anima nelle fiabe la Von Franz (2002) fornisce preziose indicazioni sul significato della presenza o dell’assenza della figura materna e ritiene che in alcune fiabe, in termini di psicologia personale, la sua assenza possa dar spesso luogo a debolezza e a insicurezza in tutte le questioni attinenti alla femminilità, esponendo così la donna al pericolo di essere posseduta inconsciamente dall’Animus. Tratteremo successivamente quest’argomento al fine di chiarire il significato da attribuire all’assenza di questo personaggio.
Seguendo le norme che la von Franz (1970) ha individuato, poniamo ora la nostra attenzione su questi due protagonisti, il re e la principessa, e sul loro rapporto, allo scopo di individuare e di comprendere ove sia collocata l’esposizione ovvero l’inizio del problema.
Nella fiaba la problematica è rintracciabile nel comportamento della principessa che, inizialmente, è caratterizzato dal suo sprezzante rifiuto di unirsi in matrimonio, conservando così il proprio status di figlia.
Da qui in poi analizzeremo dapprima le implicazioni generate da questa problematica e in seguito osserveremo il processo volto alla sua risoluzione che, come vedremo nella fiaba, produce a sua volta la costellazione di una psiche sana. La fiaba ci mostra come il processo dell’abbandono della condizione di figlia/principessa per poi divenire donna e moglie simboleggia da un lato, in termini relazionali, l’entrare in un rapporto appagante di comunione con l’uomo e dall’altro, in termini intrapsichici, dare luogo all’integrazione dei due archetipi Animus e Anima attraverso la coniunctio (Berivi 2006). Per Jung questi due sono gli archetipi della mascolinità e della femminilità. L’Animus è l’archetipo del “significato” nella donna, mentre l’Anima è l’archetipo della “vita” nell’uomo (Jung 1950). Gli archetipi sono strutture innate della psiche che precedono l’esperienza e sono costituiti da immagini precostituite primordiali che si trasformano in rappresentazioni interiori nel Complesso creato dalla relazione della prima infanzia con la madre, prima figura dell’Anima, e con il padre, portatore dell’Animus. Nella vita adulta queste immagini interiori complessuali sono trasfigurate in proiezioni e vissute attraverso le relazioni con uomini e donne (Berivi 2006; 2012).
Jung (1967) afferma che l’Anima sia la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili della psiche dell’uomo, ovvero i sentimenti e atteggiamenti vaghi e imprecisi, presentimenti, ricettività dell’irrazionale, l’amore di sé, il sentimento della natura e l’atteggiamento nei confronti dell’inconscio. Mentre, “l’Animus è una specie di sedimento di tutte le esperienze che le antenate fecero dell’uomo e non soltanto di questo: è anche un ente generatore, creatore, non già nella forma della creazione maschile, ma in quanto produce qualcosa che potrebbe essere chiamato logos spermatikos, una parola generatrice” (Jung 1911).
L’archetipo maschile può dare la possibilità alla donna d’acquisire una conoscenza più allargata e impersonale e ciò le permette di percepire le situazioni in modo più obiettivo, sganciandosi così dal punto di vista collettivo. Inoltre, la componente maschile all’interno della donna può aiutarla a comprendere meglio l’uomo e ad avere con lui un rapporto più profondo (Berivi 2006; 2012a).
L’archetipo dell’Anima ha una funzione di relazione a vari livelli nella personalità. A livello interpersonale esso costella nell’uomo la relazione con la donna, che diviene così portatrice dell’immagine interiore maschile dell’Anima. Attraverso l’amore per la donna l’uomo può attivare in sé il contatto con la propria interiorità, con l’inconscio. Se l’uomo smarrisce il contatto con l’Anima perde la sua umanità a favore della ricerca sfrenata di mete egoiche (Berivi 2006, 2012 a; Grassi 2010).
Osserviamo adesso più dà vicino la natura della problematica iniziale della protagonista della fiaba. La principessa in questione non è più una ragazzina, ma una donna. Il Padre desidera che lei si unisca in matrimonio con un uomo. Nella fiaba lei è descritta come altera, sdegnosa, dominata da un continuo comportamento respingente e derisorio nei riguardi di ogni pretendente. Tale descrizione ci permette di rintracciare il nucleo problematico: ella appare posseduta da un Animus che non le permette di accogliere la ricchezza del maschile. Inoltre, considerato che una delle qualità dell’archetipo Anima è rappresentata dalla recettività, possiamo osservare come in lei questa qualità sia continuamente mortificata dal ricorso alla repulsione dell’alterità nei confronti del maschile.
In prima analisi è possibile osservare come l’uso di questo comportamento sia di fatto funzionale per tutelare e per mantenere il proprio status di figlia/principessa. All’interno di questa fiaba è possibile osservare la presenza di due dinamiche interpersonali e intrapsichiche, che seguono direzioni diametralmente opposte: una verso l’evoluzione e l’altra verso la regressione. Infatti, si osserva che, da un lato il re desidera dare in sposa la figlia, esortandola verso l’autonomia e dall’altro lato la principessa si oppone a questo desiderio respingendo tutti i pretendenti, contrastando di fatto il processo evolutivo.
Prendiamo adesso in analisi la figura del re. Nella fiaba egli organizza una grande festa in onore della propria figlia per trovarle un marito, invita tutti i pretendenti che desiderano ammogliarsi, per presentarli poi alla principessa secondo un ordine ben preciso rispetto al grado e al ceto: per primi i re, poi i duchi, i principi, i conti e i baroni e infine i nobili. Che cosa sta offrendo il re alla principessa? La risposta è traducibile in termini simbolici: il re, tramite la sua funzione paterna, sollecita la figlia verso l’autonomia ovvero verso l’incontro sano con l’uomo. Il padre offre e propone alla figlia la ricchezza dell’incontro con l’uomo, da non fraintendere con la ricchezza meramente materiale e transitoria, ma quella ricchezza rappresentata dalla relazione appagante con l’uomo, intesa come arricchimento psichico (Berivi 2006). Il re di questa fiaba è il corrispettivo di una funzione paterna sana, rappresenta l’archetipo paterno di natura affettiva, fondativa, normativa e simbolica. Il re non è egoista, non è geloso o possessivo, non compaiono aspetti ombra nei riguardi della figlia e non ostacola il processo di crescita; viceversa la esorta e desidera per lei lo svincolo dalla dipendenza genitoriale per condurla verso l’individuazione.
All’interno della fiaba non compare una regina, la figura materna. Qui la sua assenza suggerisce una delle criticità alla base dell’iniziale difficoltà della principessa. L’elemento femminile che dovrebbe accompagnare il re è assente, dunque mancano all’orientamento dominante le qualità di sentimento e di Eros (von Franz 2002). L’assenza della regina indica l’assenza di una valida prospettiva di sentimento (ibidem) in entrambi, ossia si crea un’antitesi di potere fra padre e figlia. Inoltre, questa assenza rappresenta di fatto la mancanza di una barriera contro l’incesto, infatti, la principessa rifiutando ogni pretendente rimane figlia e prende, di fatto, il posto della madre.
Freud (1912-13) ci ha permesso di comprendere che la strutturazione triangolare dell’Edipo sia il fondamento universale della vita psichica degli esseri umani. L’autore ha ipotizzato che l’affettività dei bambini si organizza in questo modo intorno ai tre-cinque anni di età (Freud, 1905) e che, fisiologicamente, questa organizzazione debba declinare all’epoca della latenza per subire poi una parziale riacutizzazione all’epoca della pubertà. Fisiologicamente, questa organizzazione psicoaffettiva si struttura da un lato in un sentimento di attrazione amorosa nei confronti del genitore dell’altro sesso e dall’altro lato in sentimenti di gelosia e d’ostilità verso il genitore del proprio sesso. Per Freud questa è la forma “positiva” del Complesso Edipico che però, a volte, si presenta in forma “negativa” ovvero attraverso l’amore per il genitore del proprio sesso e l’ostilità verso quello dell’altro sesso. Secondo l’autore il Complesso Edipico costituisce l’elemento fondante della strutturazione della personalità umana e, qualora esso non dovesse essere superato, costituirebbe il nucleo di base di tutte le psicopatologie (ibidem). Infatti, “Se la tenerezza dei genitori verso il bambino è riuscita felicemente a evitare che un risveglio prematuro (cioè avvenuto prima che siano date le condizioni fisiche della pubertà) della pulsione sessuale raggiunga intensità tale che l’eccitamento psichico trabocchi inequivocabilmente sul sistema genitale, essa potrà adempiere il suo compito di guidare questo bambino, fattosi ragazzo, nella scelta dell’oggetto sessuale. Certamente per lui la cosa più naturale sarebbe di scegliere come oggetti sessuali quelle persone che egli sin dall’infanzia ha amato, per così dire, con libido smorzata. Ma col differimento della maturazione sessuale si è guadagnato tempo sufficiente per erigere, accanto ad altre inibizioni sessuali, la barriera contro l’incesto, accettando quelle prescrizioni morali che escludono espressamente dalla scelta oggettuale le persone amate nell’infanzia, in quanto consanguinee. Il rispetto di questa barriera è prima di tutto un’esigenza civile della società, che deve difendersi contro il pericolo che gli interessi di cui ha bisogno per instaurare superiori unità sociali vengano assorbiti dalla famiglia, e perciò agisce con tutti i mezzi onde allentare in ogni individuo, specialmente nell’adolescente, il legame familiare che nell’infanzia era il solo decisivo”(Ibidem).
Nella fiaba è possibile osservare come l’assenza della figura materna possa ostacolare la creazione di un adeguato spazio all’interno del quale sia possibile istaurare di un equilibrato rapporto tra padre e figlia. Tutto ciò può avvenire solo quando non facciano da ostacolo alcuni aspetti materni patologici, come ad esempio la gelosia e la competizione. In altri termini quando una madre non è gelosa del rapporto padre-figlia, diviene possibile questo incontro; viceversa, non solo l’assenza, ma anche, come sostiene Neumann (1953), il predomino della madre sulla figlia impedisce l’incontro individuale e completo tra uomo e donna in funzione dell’autoconservazione, dell’indifferenziazione e dell’opposizione alla Sapientia (Berivi 2006).
La principessa di fronte all’offerta del re risponde respingendo ogni pretendente, trovando sempre qualcosa da ridire su ognuno di loro in modo derisorio, attaccando in tal modo il proprio processo trasformativo, rimanendo di fatto intrappolata nel Complesso Edipico.
Il punto di svolta nella fiaba, in cui si rompe questo circolo vizioso, è rappresentato dall’episodio in cui il re interviene nel momento in cui la principessa si fa beffa del “re buono”, che verrà soprannominato “Bazza di tordo”. Il padre non potendo più tollerare l’atteggiamento sprezzante della figlia, s’infuria e promette di darla in sposa al primo mendicante che avrebbe bussato alla porta del palazzo reale.
Questa importante decisione del re, che a prima vista potrebbe essere facilmente fraintesa come un atto lesivo nei riguardi della figlia, rappresenta in realtà un atto benevolo e amorevole sebbene impositivo grazie al quale inizia a prendere vita il processo trasformativo. Infatti, il re padre pone un limite ai “capricci” della principessa e porta fino in fondo la sua decisione, mantenendo fede alla promessa fatta.
A seguito di questa decisione-azione paterna, la figlia inizia a confrontarsi con tutte quelle parti di sé problematiche dominate dalla superbia e dall’arroganza. L’aspetto autodemolitore perpetuato dall’atteggiamento fallico della principessa nei confronti dei pretendenti proposti dal re, ricorda le dinamiche che si riscontrano all’interno del rapporto analitico tipiche di quei pazienti che impiegano molte delle loro energie in terapia per distruggere ogni intervento, solo per il suo significato paterno. Ad esempio in tutti quei casi in cui i pazienti ridicolizzano le interpretazioni del terapeuta allo scopo di distruggere la relazione, la sana dipendenza dall’altro, essi mortificano in tal modo ogni aspetto che dia valore alla relazione, ponendo di fatto un veto alla profondità nel rapporto. Ciò accade anche in tutti quei casi in cui i pazienti tentano di alterare le regole del setting, che sono espressione della funzione paterna in psicoterapia.
Ritornando alla fiaba, il passaggio successivo è rappresentato dal fatto che il re mantiene la promessa fatta e, nonostante le proteste della figlia, consegna la principessa in sposa al suonatore, facendo celebrare il matrimonio dal parroco. È interessante evidenziare che il padre vuole che ella riceva il sacramento del matrimonio, prima di mandarla via. Dopo che le nozze furono celebrate, il re esorta la figlia a lasciare il castello, con un chiaro messaggio rappresentato dall’invito solerte a seguire il marito, poiché non essendo più figlia deve lasciare la casa del padre. Così i novelli sposi lasciarono il palazzo per dirigersi verso la casa del suonatore.
Da qui in poi si osserva come la principessa dia l’avvio al proprio processo trasformativo, attraverso il matrimonio con il suonatore, la conseguente uscita dal palazzo paterno e il viaggio verso la casa del marito. Infatti, è proprio nel lungo viaggio che la sposa inizia a entrare in contatto con quegli aspetti emotivi che prima non avevano accesso alla coscienza. Si assiste qui al primo momento introspettivo in cui affiorarono sia il ripensamento sia il rammarico per le conseguenze del proprio atteggiamento sprezzante, arrogante e superbo, che rimanda un po’ al famoso proverbio “chi disprezza compra!”.
Durante il viaggio verso la casa del suonatore la principessa vede le ricchezze del re Bazza di Tordo: un bel bosco ovvero un luogo ricco di arbusti, di vegetazione, di flora e di fauna; un bel prato che ricorda l’aspetto della fertilità della terra, da coltivare, che dà i suoi frutti e anche nutrimento agli animali al pascolo, e, infine, una bella città che apre le porte a nuove realtà e a nuove opportunità.
La fiaba continua raccontando che gli sposi raggiungono la piccola casa, senza servi, in cui la donna deve fare i conti con se stessa, utilizzando le parole del marito “devi farti da sola ciò che vuoi”. Ciò rappresenta appunto il passaggio evolutivo dall’essere accuditi come figli dai propri genitori, all’occuparsi di se stessi autonomamente e di essere anche in grado di dispensare le proprie cure verso l’altro, in altre parole l’abbandono della neotenia psichica, ovvero quella situazione psicologica in cui si trova una persona che si rifiuta o è incapace di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. L’ingresso in questa nuova casa/realtà pone la principessa di fronte alla sua totale incapacità di badare a se stessa, ma rappresenta anche la grande opportunità per imparare a farlo. Lei, infatti, non sapeva né accendere il fuoco né cucinare, ma osserviamo che proprio grazie all’aiuto del marito lei apprenda come fare. Quando terminano tutte le provviste, l’uomo decide per prima cosa di insegnarle a fare i canestri intrecciando i giunchi, ma ancora una volta lei non era capace e si feriva le mani. Come seconda scelta il marito prova ad insegnarle a filare, ma con il filo duro la principessa si feriva le dita; “non sei buona a nulla”, commenta il marito. Questi due episodi ci permettono di comprendere che l’Anima senza l’apporto dell’Animus diviene incompleta, incapace, manca di forza di volontà direzionata, di azione, di progettazione e possiede un significativo potenziale auto lesivo (Berivi 2006).
Il marito a questo punto propone alla moglie una terza opzione ovvero di vendere al mercato pentole e stoviglie di terracotta, che ella accetta, seppur controvoglia per timore di essere derisa dalle persone del regno del padre. In un primo momento la donna riesce a vendere e riceve del denaro in più grazie al supporto della sua bellezza; infatti la gente acquista la merce perché era attratta da lei, mentre altri le davano del denaro senza acquistare nulla. La seconda volta in cui la principessa si ripresenta al mercato espone la merce mettendosi poi a sedere in un angolo del mercato, ma all’improvviso giunge al galoppo un ussaro ubriaco che finisce con il proprio cavallo tra le pentole, mandandole tutte in frantumi. Questo secondo episodio mette in evidenza oltre la difficoltà di progettazione della principessa anche la mancanza del senso di responsabilità e la noncuranza per il proprio operato. L’essersi messa in un angolo corrisponde alla difficoltà di portare a termine un compito. La donna riferisce in lacrime l’accaduto al marito e lui la ammonisce dicendole: “Chi va mai a sedersi all’angolo del mercato con stoviglie di terra” e continua dicendo: “non sei buona a nulla.” L’apporto del marito è rappresentativo del contributo dell’Animus nei confronti dall’Anima, egli invitala donna a prendere coscienza degli aspetti autolesivi messi in atto: mettere in un angolo stoviglie e pentole di terracotta significa esporsi al rischio della distruzione. In effetti quello che l’Animus offre alla donna è un insegnamento importante, che in primis le consente di demolire l’aspetto di noncuranza e d’irresponsabilità, ma soprattutto le permette di fare i conti con la propria incapacità di portare a termine un’azione direzionata, la possibilità di maturare (Berivi 2006). Come sostiene la von Franz (1970) l’effetto della pressione dell’Animus può guidare la donna a una femminilità più profonda a patto che ella accetti d’essere posseduta dall’Animus e si dia da fare per portare il suo Animus nella realtà (1970).
Ancora una volta, grazie all’ultimo intervento dell’Animus, la donna trova infine ancora un’occupazione. Il marito si rivolge al re del loro regno per chiedere un lavoro per la moglie. In quest’ultima occasione la donna venne chiamata a fare la sguattera nelle cucine del palazzo reale.
È interessante notare che in questa parte della fiaba, per la prima volta, la donna non si rifiuta né si lamenta. Ella accetta di svolgere lavori faticosi e utilizza dei pentolini per portare gli avanzi di cibo a casa, da consumare con il marito; in questo modo ella provvede dunque al sostentamento di entrambi. Per la prima volta la donna si piega al volere dell’uomo, non si ribella, non disubbidisce, ma accetta silenziosamente quella condizione di miseria. Questo sottostare al volere del marito non va confuso con l’accettazione passiva, viceversa rappresenta una decisione attiva della donna. Ciò permette alla donna di spogliarsi definitivamente da quell’atteggiamento infantile che la rendeva incapace di lavorare, di portare a termine un compito e che le impediva di entrare in un rapporto profondo con il marito. Per la prima volta osserviamo come la principessa si lascia finalmente guidare dall’Animus.
Nella fiaba si assiste adesso al momento decisivo di svolta, che corrisponde all’episodio del giorno delle nozze del primogenito del re. Presa dalla curiosità per l’evento, la principessa sale su per le scale per vedere la celebrazione e quando vede la sala adornata e la tavolata, in quel preciso istante, ella maledice l’arroganza e la superbia che l’avevano condotta in quello stato di miseria. In questo episodio della fiaba la protagonista riconosce finalmente la vera natura della sua problematica, ovvero di essere stata posseduta da tali aspetti distruttivi che hanno creato dentro di sé la condizione di miseria psichica che lei stessa si era sempre rifiutata di contattare, perché sia la superbia sia l’arroganza la difendevano dal fatto di sentirsi totalmente incapace e inadeguata. Inoltre, si accorge che tali aspetti erano di fatto funzionali per il mantenimento del proprio status di figlia, sostituto materno edipico.
Solo tramite l’apporto dell’Animus (il marito le ha fatto esperire “non sei buona a nulla”) lei ha potuto prendere coscienza del proprio nucleo problematico e proprio grazie a questo insight può abbandonare e maledire questi aspetti ombra dell’Animus per lasciar spazio ai suoi aspetti luce. A seguito di ciò si costella l’apparizione del principe, tutto vestito d’oro (l’oro come simbolo dell’incorruttibilità),che la invita a ballare. Inizialmente osserviamo che lei si rifiuta di ballare con il figlio del re per timore di essere derisa, perché riconosce in lui proprio il re Bazza di Tordo, il pretendente che lei in precedenza aveva respinto e dileggiato.
In questa scena finale della fiaba si ricrea una scena simile a quella introduttiva, ma con la differenza che adesso è la donna ad essere derisa da tutti perché, mentre lei tenta di sottrarsi all’invito del re Bazza di Tordo, lui la tira a sé e in quel preciso istantesi rompe anche il cordino che teneva legati i pentolini che cadono a terra, sparsi qua e là con tutti gli avanzi di cibo. In preda all’imbarazzo e alla vergogna la fanciulla tenta di scappare via verso la porta, ma viene riportata indietro dal re Bazza di Tordo che in quel momento le svela anche il segreto del suo travestimento.
La storia termina con una grande trasformazione, la donna finalmente può indossare le vesti più sontuose e realizzare i festeggiamenti delle sue nozze. Infine accoglie, riconciliandosi, il padre sopraggiunto con tutta la corte per farle gli auguri per lo sposalizio.
Il personaggio re Bazza di Tordo è rappresentativo di un principio maschile sano, è un re buono che per amore della principessa si traveste da suonatore. Egli escogita questo trucco perché riesce a comprendere che dietro l’atteggiamento egoico della principessa, che lei utilizzava per respingere tutti i pretendenti, si nascondeva il suo vero potenziale. Il re Bazza di Tordo si prende cura della principessa, la supporta e la aiuta a far luce, anche con la sua ruvida determinazione, sugli aspetti patologici che le impedivano di vedere tutte le qualità e le ricchezze di cui lui era dotato. Il re permette dunque alla donna non solo di confrontarsi con l’incapacità di badare a se stessa, ma le insegna come porvi rimedio facendola confrontare vieppiù con i suoi atteggiamenti auto-sabotanti che la dominavano. Il re Bazza di Tordo quindi è mosso dall’amoree ricorre al travestimento solo allo scopo di piegare il suo orgoglio e di punire l’arroganza con cui lei lo aveva trattato, come se le volesse insegnare quello che recita il famoso detto “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. La lezione che il re impartisce alla principessa è fondata sulla virtù dell’umiltà. La principessa era posseduta dalla superbia, ovvero un amore sregolato di sé e un’illogica presunzione di essere superiori agli altri. La parola superbia origina dall’aggettivo latino super, cioè sopra, perché il superbo si ritiene al di sopra di tutti. La superbia ha tanti sinonimi: orgoglio, vanagloria, presunzione, vanità, arroganza. Nella tradizione cristiana è il primo peccato capitale e rappresenta la causa di tutti i vizi.
Alla luce di tali considerazioni, è probabile che, aduna lettura superficiale, sfugga il senso profondo del messaggio di cui la fiaba è portatrice; infatti, si può mal interpretare e confondere il ruolo di re Bazza di Tordo, attribuendogli delle caratteristiche rivendicative nei riguardi della moglie. A nostro modo di vedere, è invece proprio tramite l’Animus che l’Anima può accedere al piano trascendente ed entrare in contatto con la sfera della spiritualità. “La spiritualizzazione dell’Animus, che è funzione conoscitiva, porta a un più facile riconoscimento dell’Ombra e alla sua integrazione e permette lo sviluppo, nella donna, di un pensiero tutto femminile collegato all’eros: una Sapientia che è una sintesi di sentimento e pensiero, non un sapere solamente intellettuale […] L’Animus dunque non interviene solo nelle attività spirituali o maschili, ma soprattutto fa sì che nella donna si sviluppi un atteggiamento spirituale che la libera dai limiti e dai pregiudizi di un punto di vista strettamente personale”(Mazzarella 1991).
Nella fiaba, il re Bazza di Tordo aiuta la principessa a liberarsi dagli attaccamenti infantili, aiutandola a entrare in un rapporto di comunione con l’Animus, adempiendo in tal modo a un volere più alto ovvero «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,24). Questo passo ci ricorda che un’unione matura uomo/donna spezza di fatto i legami con il passato e inaugura i legami futuri. Infatti, la famiglia precedente, le esperienze della giovinezza, i legami del passato restano ancora, ma si evolvono e vengono superati dal nuovo orizzonte che si schiude davanti alla famiglia nuova che sta nascendo.
In conclusione, la fiaba ci permette di osservare un faticoso cammino che conduce alla strutturazione di una psiche sana; infatti, il percorso che la principessa compie è una delle più diffuse rappresentazioni del processo che Jung chiama individuazione. Nella fiaba la principessa vive un percorso trasformativo, denso di sofferenza e di miseria, ma è solo facendo i conti con tale sofferenza e patendo la condizione della miseria che ella riesce a realizzare un reale cambiamento, reso possibile principalmente grazie al contributo dell’Animus sia del padre sia del re Bazza di Tordo, entrambi portatori di un maschile sano.
Il lieto fine di questa fiaba ci dimostra che solo attraverso l’amore si compie l’unione tra i due protagonisti, l’amore rappresentato dalla coniunctio tra Animus e Anima (Berivi 2006).
Vignetta clinica
Di seguito illustriamo una breve esemplificazione clinica attraverso la quale è possibile rintracciare le funzioni archetipiche Animus e Anima all’interno della relazione terapeutica.
La seguente vignetta clinica riguarda il trattamento di un caso di psicoterapia dinamica breve a orientamento psicologico Analitico Comunicativo (durata sei mesi per un totale di 24 sedute) di Annalisa, una donna di circa 55 anni, che in quel momento della sua vita stava fronteggiando l’evento traumatico della perdita del lavoro. Di seguito illustriamo degli estratti di tre sedute. Nel corso del primo colloquio di accoglienza, previsto prima dell’avvio della psicoterapia, sono state definite le regole del setting a cornice sicura[4], questa cornice di lavoro psicoterapeutico prevedeva degli elementi stabili.
Seduta n.1 Pz: Io non parlo perché temo di voler prendere il controllo.
T: prendere il controllo? Pz: si (un minuto di silenzio). T: che le passa dentro in questo silenzio? Pz: non so, penso: “quale prova mi aspetta?”, “perché tu stai in silenzio?”(squilla il telefono). Scusa (disattiva il telefono). Poi penso: “farà così con tutti o solo con me? Passeremo tutta la mezz’ora così in silenzio?” (silenzio). Il silenzio è una punizione, quando sono arrabbiata con mio marito sto in silenzio, ah, ho fatto un sogno, non gliel’ho portato ma glielo dico adesso? Sogno: “dovevo scaricare il bagaglio dalla macchina, io non ho la patente, facevo uscire due carrelli della spesa, erano pieni di cibo e li trasporto a casa di un’amica, scarico dalla macchina anche un mobiletto, ma lo lascio incustodito e mentre ritorno mi accorgo che questo mobiletto si trovava a bordo di una barca. Vedo un ragazzo di spalle su quella barca e in contemporanea mi ritrovo a bordo di un’altra barca e lo inseguo, non guido io, adesso la scena dall’esterno, la barca la sta guidando una ragazza più giovane di me, ha i capelli rossi e gli occhi scuri, la barca raggiunge l’altra imbarcazione perché lui si era fermato ed era entrato in un posto. A quel punto il comodino non m’interessa più, adesso questo ragazzo si trasforma in un musicista e ci sono altri ragazzi e fanno un concerto e un ragazzo chiede a questa ragazza che guidava la barca “ti piaccio io o lui?”. E io rispondo “non mi piaci né tu né lui, ma lui” (il ragazzo della barca che aveva rubato il comodino) e non so perché io mi ritrovo con questo ragazzo a passeggiare abbracciati e ci ritroviamo a XX, e mi accorgo che lui ha il volto di un amico mio che non vedo da molti anni. Sono sempre abbracciata a lui e camminiamo per le vie di XX, e gli dico: “io sono felice quando sono a XX e tu?”. E lui risponde: “no perché non ho superato il test della pronuncia”. Il terapeuta invita la paziente riguardo al sogno ad associare liberamente senza sottoporre a critica, valutazione o censura, per quanto possibile, tutte le emozioni, i pensieri e le sensazioni che la attraversano. Pz: Il comodino lo associo dal punto di vista fisico al comodino dei miei genitori, ha la forma del mio comodino, ma il materiale è quello dei miei genitori e in più ha le ruote, non riesco ad associarlo a nient’altro, non ha cassetti per riporre la spesa. La ragazza che guida la barca, non l’ho mai vista in vita mia, non è bella e piena di lentiggini, non riesco ad associarla a nessuna persona, ha i capelli rossi (pausa), la barba rossa ce l’ha il fidanzato di mia figlia, i capelli rossi ce li aveva l’ex di mia figlia. Lei è diversissima da me e nel sogno penso che a quel punto che non mi devo preoccupare di guidare la barca perché ci pensa lei. Il ragazzo che mi abbraccia, eravamo assieme alle medie, all’epoca non ero fidanzata, lui era fidanzato con la mia amica, lui adesso fa una professione sanitaria, poi si è sposato con la mia amica e adesso loro vivono in XX. Lui fa una professione sanitaria, dopo le medie ci siamo persi di vista, lui era il belloccio e piaceva, ma all’epoca mi piaceva un altro, non ricordo di aver fatto grandi chiacchierate con lui, noi eravamo in classi diverse, mi ha fatto piacere sapere che ha sposato la mia amica. Lui aveva 13 o 14 anni e io ero in seconda media, ma eravamo timidi, all’epoca credo che non ci interessassimo l’uno all’altro, lui stava sempre con un suo amico e non avevo molta stima di lui, mi sembrava stupido e invece si è fatto strada, si è laureato, si è sposato, ricordo che era bello. L’inadeguatezza la lego al fatto che non ha superato il test nel sogno, lui parlava di questo test di pronuncia. Mi ricordo che alle medie i miei genitori mi mandarono vicino a xxx da una famiglia per uno scambio culturale, ma io non capivo e loro non capivano me per la pronuncia, mentre i miei compagni ci capivano. E dopo crescendo ho studiato lingue all’università e ho capito che è tutta una questione di pronuncia. Interpretazione Il terapeuta comunica ad Annalisa i suoi tentativi di ribellione alle regole del setting, prima di tutte quella di associare liberamente, sta in silenzio perché la fa arrabbiare lasciarsi andare, ricorre all’uso del Tu per stabilire un rapporto simmetrico, ma in fondo Annalisa fa tutto ciò per evitare di entrare in rapporto intimo con il terapeuta. E aggiunge che lei, attraverso l’immagine della ragazza che guida la barca, sta comunicando alla terapeuta che se lei lascia andare questa dimensione di controllo può rilassarsi e lasciarsi guidare dalla terapeuta (mi ritrovo con questo ragazzo a passeggiare abbracciati- Derivato inconscio/ funzione dell’archetipo Animus). Pz: io non sono arrabbiata, allora m’impegno a darle del lei, ma sappia che lo faccio solo perché lei me lo richiede. Non è una cosa che faccio con tutti, sì io tendo a mettermi in un rapporto alla pari, perché pensavo erroneamente, che il lavoro lo abbiamo fatto insieme io e lei. Al lavoro solitamente c’è un gran bisogno di collaborazione e spesso si passa subito al “tu” e le persone fanno fatica a darmi del “tu”, io do del “tu” anche alle persone più grandi di me. Mi dispiace che venga interpretato da lei come un modo per screditarla, a me non dispiace di essere guidata a me piace invece se qualcuno guida, così io mi rilasso, io non ho un capo io avevo due socie e quando dovevo prendere le responsabilità mi dispiaceva perché, anche se siamo socie, alla fine le decisioni le prendevo io. |
Seduta n. 19
In questa seduta Annalisa inizia raccontando un sogno fatto qualche giorno prima. Nella seduta precedente ella aveva espresso il desiderio di proseguire la terapia fino al termine dei 24 incontri e il terapeuta le aveva prospettato la possibilità. Sogno n.1)Sono in una delle dighe della spiaggia del Lido di xxx. Il mare ha dei meravigliosi colori tra il blu e il verde. Ho voglia di nuotare ma non posso tuffarmi perché la marea è bassa, il salto è troppo alto e m’impianterei sul fondale, quindi scendo giù per la scaletta in ferro per entrare in acqua. Una volta arrivata al gradino più basso, mi accorgo che nonostante l’acqua sia bella e trasparente, è piena di uccelli neri morti. Non ho modo di aggirarli perché sono ovunque. Decido di non fare il bagno e risalgo la scaletta, ma quando sono al gradino più alto mi accorgo che la sommità della scala è troppo distante dal piano della diga. Lì c’è un ragazzo che invece non avrebbe difficoltà a compiere quel passo che per me è troppo lungo, quel giovane mi tende la mano, ma io dico no. Il terapeuta invita la paziente ad associare liberamente. P: allora io andavo al lido di xx e nel sogno il mare mi sembrava quello di un’isola italiana. Io sono su una piattaforma di legno e da lì ci si tuffa. Ma nel sogno io vedo che la marea è bassa e non mi posso buttare e scendo dalla scaletta, mi accorgo che appena arrivo in acqua vedo uccelli piccoli morti, sembrano corvi, anche il becco è nero. Non so perché ma c’è stata una moria e io di nuotare tra le carcasse, non mi va. Cambio idea, salgo su e mi trovo intrappolata perché la scaletta si è staccata dalla piattaforma e penso di non farcela a saltare su perché è troppo lontana. Poi appare quel giovane e mi tende la mano, ma io dico “no”. So che lui è più giovane di me e può aiutarmi, ma io dico di no, lui allunga il braccio ed io dico “no” perché non voglio saltare, perché so che se salto, penso che cadrò perché mi sembra troppo distante la diga dalla scaletta. Sotto c’è il vuoto, l’acqua è troppo bassa e se mi butto mi farei male. Da bambini lì s’impara subito che se ti butti da lì devi fare attenzione all’acqua, perché l’acqua inganna, c’è l’alta e la bassa marea. E ci sono stati degli incidenti, anche mortali. Adesso hanno messo i paletti di segnalazione per la marea. T: gli uccelli morti? Pz: mi ricordano i periodi del passato, quando l’acqua inquinata e i pesci tornavano a galla. Ma nel sogno erano uccelli, c’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di morte, è inquietante, è come una catastrofe che incombe, qualcosa di brutto. In montagna, i corvi li ho visti vivi e vegeti, non ho familiarità, alcuni sembrano pipistrelli, mi possono ricordare i piccioni che sono preda dei gabbiani. È una cosa generica, è una cosa negativa e che cancella questo mare così bello. T: il giovane uomo? Pz: è un estraneo, di lui ho l’immagine di un braccio, non c’è un viso, immagino sia giovane e penso che per lui sia più facile fare questo salto, io penso “ma perché m’invita a fare questo salto?”, sarebbe pericoloso “che m’invita a fare?” e allora non gli do la mano. Mi è venuto in mente adesso un ricordo, avevo 20 anni ero su una nave da crociera per lavoro ed ero in pausa, andavamo a fare un giro in vespa e un giorno eravamo rimasti senza benzina e abbiamo perso tempo e siamo arrivati di corsa davanti alla nave che stava per partire, io stavo per fare un salto sul ponte e mi hanno bloccato perché era pericoloso, poi il capitano mi ha mandato una piccola imbarcazione per prendermi e sono riuscita a salire, il comandante è stato generoso, poteva licenziarmi. E quando sono salita, lui mi ha convocato ed io sono andata da lui e gli ho detto “lo so.” E lui mi ha detto “se lo sai, allora vai al tuo lavoro” e non sono stata licenziata. Nel sogno la soluzione c’era, scendevo in acqua e gli uccelli morti li avrei dovuti attraversare e arrivavo dove dovevo arrivare, ma rimanevo sulla scaletta. Il terapeuta interpreta ad Annalisa che attraverso il sogno il suo inconscio commenta il fatto che lei da un lato ha chiesto coscientemente di poter continuare la terapia, ma dall’altro inconsciamente non vuole proseguire per timore di affrontare quegli aspetti mortiferi simboleggiati dagli uccelli morti. Pz: Certo, era nei patti, ma non le nego che io ero convinta che avrei voluto continuare. È la prima volta che l’inconscio va d’accordo con il conscio, non so come devo interpretarla. Non so se è un passo verso una simbiosi tra conscio e inconscio, perché io li ho sempre considerati separati. Mi pare di essere più una come l’unione del corpo e della mente, se conscio e inconscio comunicano insieme e mi sembra che mi pare bello, come più integra versus separata e incoerente. È come se la mia razionalità andasse in sintonia con l’istinto. Mi preoccupavano di più i miei sogni quando mi diceva delle cose su di me e sul mio inconscio e dicevo tra me e me “ma è possibile che io mi conosco così poco?” e mi stupiva negativamente, adesso mi stupisce positivamente. Seduta n. 20 (puntuale). Pz: buonasera, eccomi. Ho fatto un sogno: ho sognato che andavo a casa di mio fratello, ma era un negozio e li appoggiavo il mio cellulare su un mobile e poi uscivo e mi ritrovavo fuori dalla hall di un albergo di xx, l’hotel xxx, c’erano degli amici e le mie due socie. Una socia arriva con un vassoio di cioccolatini ricoperti di cioccolato fondente che è il mio preferito, li assaggio, sono buoni. Lei nella realtà ha la passione della pasticceria. Poi si decide di andare a fare un corso di cucina ma io non sono molto convinta di fare il corso perché mi reputo abbastanza brava come cuoca, e poi usciamo dall’hotel. Siamo per strada, mi accodo a questo gruppo di amici, ma non so dove sia il posto e l’orario, ma li seguo, ma mi accorgo di aver lasciato il telefono in casa di mio fratello. Quindi avrei dovuto andare a prendere il telefono e li avrei raggiunti, ma realizzo che mi fa male la gamba destra, mi accorgo che zoppico. Io vorrei correre e invece dico “accidenti, proprio oggi dovrei correre e oggi sono lenta” ma mi accorgo che non ho le chiavi di casa di mio fratello e poi mi sveglio mentre sto cercando una soluzione. Il sogno finisce prima di trovare una soluzione o conclusione. T: lascia il telefono a casa di suo fratello? Pz: si, ho l’immagine che lascio il telefono sul mobile. Il telefono mi fa venire in mente la necessità di avere il telefono per ogni evenienza, quando ce l’hai facilita la situazione, più che il telefono mi colpisce il fatto che io lo appoggio, non avevo necessità di metterlo li, avrei potuto metterlo in borsa, mi sono sentita sciocca. Una volta me l’hanno rubato, un’altra volta mi ci sono seduta sopra e l’ho crepato, e averlo dimenticato mi dà fastidio. Basta non saprei a cosa altro associarlo, è fastidioso, non averlo, non è una liberazione. T: la socia che porta i cioccolatini? Pz: è la mia preferita, è più simile a me, c’è più sintonia rispetto all’altra, è quella con cui ho un rapporto fuori dal lavoro, la considero un’amica, c’è molta confidenza, ci confidiamo, le nostre telefonate iniziano con un “ho bisogno di avere una consulenza”. Non ricordo un contrasto grave, giusto una volta un’interpretazione sbagliata ma si è scusata, il nostro rapporto non s’interrompe mai, ci conosciamo da tempo, è proprio una presenza, una costante, d’estate ci vediamo, quando lavoro sul campo o in smartworking, noi l’ufficio lo abbiamo chiuso, noi lavoriamo in smartworking anche dalla spiaggia al mare. Adesso si sta riprendendo il lavoro, anche se minimo rispetto a prima. T: il corso di cucina? Pz: lo associo alla mia socia, perché lei ne ha fatti tanti, è una cosa che associo a lei, la gente la segue, lei è un capo popolo, se lei lancia un’idea la gente la segue, anche se dice una sciocchezza, gli altri hanno un atteggiamento di sudditanza con lei. Io non sono convinta di fare il corso, nel sogno vedo la massa di gente che la segue come pecore perché lei ha detto di fare il corso di cucina. Io mi accodo per il bene comune, ma non sono convinta. T: la gamba destra che le fa male? Pz: mi fa male nella realtà, ma nel sogno mi dava fastidio l’impedimento, perché vorrei correre invece devo sottostare ai limiti del mio corpo, e spero che mi passi. La gamba destra è la gamba più forte, tutta la mia parte destra è più forte, più elastica, meno rigida, mi sento più connessa con la parte destra, ma è la stessa parte che più si fa sentire quando mi fa male, ho male alla spalla, al braccio destro, è la cosa su cui faccio più affidamento la parte destra, anche se la parte sinistra. T: attraverso il sogno mi dice che nel rapporto con me io le ho offerto una possibilità di procedere, me lo dice attraverso il corso di cucina, sa in fondo mettere insieme questi ingredienti emotivi per dargli un significato, ma lei mi dice che ha interrotto la comunicazione con me, me lo dice inconsciamente, nel sogno ha lasciato il telefono a casa di suo fratello. Pz: allora io provo ad andare a riprenderlo questo telefono (ride), ma ho trovato un impedimento, proprio interessante. Ma perché tutti i miei sogni ruotano attorno al rapporto con lei? E non attorno a mio marito o ai miei figli? Sa, probabilmente mi aspettavo di scoprire delle cose su di me e sugli altri, faccio fatica a considerare lei come una cosa quotidiana, sa mezz’ora alla settimana ci vediamo. Mi stupisce che io dedico la mia attività onirica a lei, come se io non mi occupassi delle persone della mia vita quotidiana, è come se le persone siano più marginali rispetto a questo spazio. Non mi fa né piacere né dispiacere, è una constatazione che mi sorprende. Così tanto spesso gli elementi che vengono considerati fanno riferimento a lei. T: guardi mi dice attraverso la sua socia, mi dice che le fa piacere lavorare sulla sua emotività qui con me, ma mi dice anche che è faticoso Pz: come si fa a non essere interessati all’emotività, forse c’è gente che ha paura? Boh! Non lo so, forse mi sbaglio, questo per me è un viaggio, forse sono più concentrata sul viaggio (pausa). Anche se è difficile, è un impegno, è faticoso, non è sempre una strada in discesa o in piano. Io lo vivo come un lavoro più che un piacere o una chiacchierata. T: sa in fondo lei attraverso il sogno mi parla di una sua modalità relazionale, mi dice che se si affida a me in un rapporto intimo lei teme di essere guidata, e nello specifico con me lei teme di essere guidata da me, perché significa per lei essere una pecora, nel senso che teme di lasciarsi guidare, perché se entra in un rapporto intimo di dipendenza affettiva con me allora lei perde il controllo della situazione. Pz: interessante, ci rifletterò, non ci avevo pensato (silenzio fino a fine seduta). |
Analisi clinica
In questa vignetta clinica osserviamo come nella prima seduta Annalisa metta in atto azioni volte a deviare dalle regole del setting allo scopo di evitare un rapporto intimo con il terapeuta, attraverso il quale può affrontare quegli aspetti emotivi che non hanno accesso alla coscienza.
Il parallelismo con la fiaba Re bazza di tordo ci permette di analizzare come, alla stregua della principessa che respingeva tutti i pretendenti proposti dal re-padre, anche Annalisa inizialmente si ribella e respinge le regole del setting ovvero rifiuta quegli interventi espressione della funzione paterna (funzione dell’archetipo Animus) rappresentati dalle regole del setting e dalle interpretazioni.
In questa seduta iniziale è possibile osservare, come sostiene Langs (1973-74), che il setting sicuro dà al paziente una forte sensazione di holding e di contenimento e favorisce un salutare funzionamento dell’Io. L’assunto di base della cornice sicura è che essa mobiliti insieme alle angosce claustrofobiche e alle angosce di morte del paziente, anche le sue risorse sane, quindi necessarie per la realizzazione di un processo terapeutico, rendendo tali angosce sempre più tollerabili e assottigliando vieppiù le difese nevrotiche e psicotiche (Langs 1980). L’alterazione di tali regole fa precipitare la psicoterapia dalla cornice sicura in una psicoterapia dalla cornice deviante (Ibidem). “In quest’ultima, il prezzo pagato dal paziente è un rafforzamento delle difese nevrotiche e psicotiche e un incremento dell’angoscia di morte unita alla sensazione di frammentazione psichica che non può che rafforzare la sua patologia”(Berivi2012b).
La tenuta del setting operata dal terapeuta ha garantito un adeguato holding ad Annalisa, la quale, nonostante l’iniziale resistenza evidenziata dal tentativo di deviare le regole stabilite, è riuscita a lasciarsi “guidare” dal terapeuta, comunicando liberamente sogni e associazioni.
A tal proposito Langs (1980) identificava uno stile comunicativo che definì di tipo A, in cui il ruolo centrale era giocato dal simbolismo e dall’illusione. In questo caso il campo bipersonale (paziente-terapeuta) che si veniva a creare era caratterizzato dal formarsi di uno spazio di gioco o spazio transizionale in cui il paziente si sentiva sufficientemente libero di comunicare derivati analizzabili di percezioni, di fantasie, ricordi e introietti inconsci. Pertanto lo stile comunicativo di tipo A “è uno stile caratterizzato dalla presenza di sogni che per quantità e qualità sono utilizzati simbolicamente come riferimenti alla relazione terapeutica e con tendenza all’insight”(Langs 1973-74).
Nell’immagine onirica di Annalisa appare un mobiletto che lei lascia incustodito e che ritrova sulla barca condotta da un ragazzo. Dalle sue successive associazioni emerge che il mobile abbia delle connessioni con i propri genitori, ciò significa vecchie modalità relazionali.
In fondo, questo sogno ci mostra come all’interno della relazione terapeutica che sta prendendo vita, il terapeuta attraverso la stabilità del setting e le interpretazioni “ruba il legame con il passato/genitori” simboleggiato dal mobiletto rubato dal ragazzo e ciò può rappresentare per Annalisa la possibilità di abbandonare quella dimensione di controllo che lei tenta di esercitare sul terapeuta. Attraverso il sogno, Annalisa comunica inconsciamente che se viene liberata da quella dimensione controllante lei può relazionarsi in modo più accogliente, abbracciando la sua dimensione Animus attraverso il rapporto con il terapeuta.
Così come nella fiaba, il re bazza di tordo si traveste da suonatore per sposare la principessa, anche nel sogno di Annalisa, il ragazzo che ruba il mobiletto (ovvero il suo Animus) si trasforma in musicista. È possibile ipotizzare che il terapeuta attraverso i suoi interventi, il mantenimento del setting e l’interpretazione, abbia fornito alla paziente la possibilità di contattare il proprio mondo emotivo, simboleggiato dall’immagine onirica della relazione con il musicista. Attraverso le associazioni su questo ragazzo, Annalisa comunica inconsciamente che ella ha dovuto ricredersi sull’operato del terapeuta. Così come la principessa della fiaba si era ricreduta sulle qualità del re bazza di tordo, anche Annalisa muta opinione e inconsciamente apprezza gli interventi del terapeuta.
Nelle sedute n.19 e n. 20l’evento stimolo è rappresentato da un lato dal termine delle 24 sedute e dall’altro dalla possibilità di poter proseguire con un altro ciclo di psicoterapia. In entrambe le sedute il tema centrale è rappresentato dal timore di proseguire la terapia, perché se Annalisa scende a un livello di analisi più profondo emergono degli aspetti Ombra dai quali lei si difende.
La possibilità offerta ad Annalisa di proseguire il percorso terapeutico viene commentato attraverso i sogni della paziente da quello che Langs chiama “Sistema Inconscio Profondo di Saggezza o Mente Emotiva” (1996). Per l’autore questo Sistema usa efficacemente la percezione profonda e l’intelligenza emotiva profonda per ricevere ed elaborare le informazioni e i significati inconsciamente elaborati (è questo il sistema che genera le comunicazioni in codice). I derivati sono riconoscibili nelle comunicazioni associative del paziente in seduta sotto forma di descrizioni di fatti e personaggi, di racconto di storie e trame di film, di sogni, di ricordi, di lapsus, di atti mancati e, in generale, della maggior parte dei resoconti di eventi che riguardano situazioni al di fuori del rapporto analitico. Poiché il derivato è considerato da Langs come un messaggio in codice, il sistema di decodifica rappresenta per lui il punto centrale del processo psicoterapeutico, al punto che il sistema di decodifica dei derivati all’interno della relazione terapeutica rappresenta precisamente la cura della psicopatologia del paziente.
Attraverso il sogno della seduta n. 20Annalisa comunica che è spaventata dalla possibilità di proseguire la psicoterapia, infatti il suo inconscio commenta che “accettare il corso di cucina” significa l’approfondimento di quelle parti di sé disfunzionali (simboleggiate dai corvi morti del sogno della seduta precedente). Il Sistema Inconscio Profondo invita la paziente a proseguire – “avrei dovuto andare a riprendere il telefono” – altrimenti rimarrebbe zoppa ovvero incompleta e dominata dall’Animus. Nel sogno di Annalisa emerge anche il motivo del perché non vuole continuare: «io non sono molto convinta di fare il corso perché mi reputo abbastanza brava come cuoca». A tal proposito Emma Jung riconosce nella donna “posseduta dall’Animus” il tentativo dell’elemento maschile spiritualizzante di uscire all’esterno per essere riconosciuto, questo però soffocala femminilità e diventa fallicismo esibito (Berivi 2006). La sicurezza arrogante ostentata dalla “donna Animus” maschera la timidezza e la mancanza di convinzione personale ed è tutto sommato, il segno di un’identità solo incompletamente raggiunta (Jung E. 1983).
Nella fiaba re Bazza di Tordo la protagonista, nonostante i suoi tentativi di ribellione, si piega alle richieste del suonatore e affronta le varie peripezie che le hanno permesso di fare i conti con le dimensioni ombra del suo Animus. Grazie a ciò abbiamo osservato come questo le abbia consentito l’accesso alla coniunctio Animus/Anima. A differenza della protagonista, vediamo che Annalisa non sopporta di piegarsi alle richieste provenienti dal proprio inconscio e tutto ciò allo scopo di evitare di fronteggiare i propri aspetti Ombra. Seppur contrariamente all’invito da parte del suo inconscio profondo a proseguire la terapia, a nostro modo di vedere, la paziente ha dunque rifiutato questa possibilità per timore di approfondire proprio quegli aspetti Ombra. Nonostante ciò, questa psicoterapia breve ha permesso ad Annalisa di trarre dei benefici in termini di supporto ed elaborazione emotiva in riferimento alla perdita del lavoro, consentendole di ritrovare la spinta per intraprendere una nuova situazione lavorativa.
Conclusioni
L’obiettivo che ci siamo prefissati in questo scritto è quello di proporre, tramite l’interpretazione in chiave junghiana della Fiaba “Re Bazza di Tordo”, uno spunto di riflessione sul funzionamento degli Archetipi Animus e Anima e della loro integrazione attraverso quella che Jung definì la coniunctio, che conduce all’individuazione. Abbiamo voluto arricchire la trattazione teorica con l’analisi clinica del caso di Annalisa allo scopo d’illustrare il funzionamento degli archetipi all’interno della relazione terapeutica.
Il nostro gruppo di lavoro condivide con la von Franz il medesimo interesse di studio per le fiabe: infatti “per l’indagine scientifica dell’inconscio esse valgono più d’ogni altro materiale […] In questa forma così pura, le immagini archetipiche ci offrono i migliori indizi per comprendere i processi che si svolgono nella psiche collettiva” (Von Franz, 1980).In tale forma gli archetipi forniscono gli indizi per la comprensione dei processi che si svolgono nella psiche collettiva (von Franz 1970).La von Franz ritiene che quasi tutte le fiabe ruotino intorno al tentativo di descrivere metaforicamente le tante facce del processo di individuazione, o meglio il processo di incarnazione del Sé(Von Franz, 1980).
È grazie ai contributi teorico-clinici di Jung sui concetti di Animus e Anima, che l’autore ci ha permesso di comprendere come essi rappresentino non solo gli aspetti della mascolinità e della femminilità come nuclei profondi della nostra identità, ma rappresentino anche gli aspetti del funzionamento della mente che, integrati (coniunctio), consentono il processo di autoconoscenza.
In conclusione, questi funzionamenti archetipici osservabili all’interno della relazione terapeutica, a nostro avviso, trovano la possibilità d’integrazione all’interno di una psicoterapia a“ cornice sicura”[5](Langs 1973-74, 1979), ovvero l’unica in grado di promuovere un processo psicoterapeutico curativo (Grassi 2012). La cornice sicura, adottata nella psicoterapia psicodinamica breve, consente al paziente di confrontarsi da un lato con le dimensioni di grandiosità in cui può cortocircuitare il processo terapeutico senza definiti limiti di tempo e di durata, dall’altro lato costringere il paziente a fare esperienza del senso del limite e le correlate angosce di morte che animano la soluzione rappresentata dai sintomi della sua psicopatologia.
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- Vedi Langs 1980 ↑
- Langs (1988) parla di quattro tipi di angoscia:claustrofobica, persecutoria, di separazione, di morte. E una quinta forma di angoscia definibile angoscia di sanità, intesa come morte (Berivi 2012b). ↑
- Vedi Langs 1973-74, 1980,1988, 1996. ↑
- Vedi Langs 1973-74, 1980,1988, 1996 ↑