DERIVA DEL GIOCO D’AZZARDO DI MASSA CON LA PANDEMIA. IMPLICAZIONI PER LE PROFESSIONI D’AIUTO <br> di Maurizio Fiasco

VAN GOGH, LA LOTTERIA DI STATO ( ACQUARELLO,1883)

DERIVA DEL GIOCO D’AZZARDO DI MASSA CON LA PANDEMIA. IMPLICAZIONI PER LE PROFESSIONI D’AIUTO
di Maurizio Fiasco

Parole chiave: gioco d’azzardo, addiction, compulsività, redditualità.

Abstract:

Sono trascorsi dieci anni dalla data del riconoscimento dello Stato italiano che a una diffusione di massa delle pratiche di gioco d’azzardo è correlato un problema importante di salute. Appare oggi necessario pervenire a una visione unitaria d’insieme delle implicazioni del particolare rischio sanitario. Si tratta di esaminare l’efficacia della regolazione sociale e il trattamento degli aspetti sanitari,  mentre va accertata la compatibilità delle attività legalizzate dei giochi con le ragioni di sicurezza pubblica e di salute. Anche il professionista della clinica è obbligato a sviluppare una lettura multidisciplinare e multiprofessionale che comprenda anche numerosi aspetti pur estranei alla sua iniziale preparazione specialistica. Domande, all’apparenza semplici, rendono ardua la comprensione sufficiente della stessa dinamica della dipendenza. Occorre comprendere come funzionano i vari distinti giochi d’azzardo, quale cambiamento ha arrecato l’impiego delle tecnologie digitali, come le major del gambling manipolano il cliente nel gioco d’azzardo online, che è la modalità che sta prevalendo su quella in uno spazio materiale. E in generale, vanno affrontati gli effetti della presenza quotidiana dell’always on, dell’ingaggio della persona in una universale gamification, in una “ludicizzazione” tecnologica che rinvia al flusso di ricompensa, a livelli in successione, a jingle che corredano le sfide, a nuove ricompense attese.

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Introduzione

Che a una diffusione di massa delle pratiche di gioco d’azzardo fosse correlato un problema importante di salute, è stato sancito dall’ordinamento italiano soltanto in tempi recenti. È datata, infatti, all’anno 2012 l’assunzione da parte dello Stato della evidenza del rischio sanitario[1], peraltro già nota e classificata negli organismi internazionali della salute fin dal 1980. Ma la particolarità di questo problema, con la necessità di pervenire alla reductio ad unum, a una visione unitaria d’insieme comporta, per il clinico, da un lato lo sforzo di coltivare l’autonomia di scienza e coscienza e, dall’altro lato, di reclamare la coerenza per le scelte istituzionali attinenti ai profili economici, giuridici, eccetera, tra loro connessi. Si tratta di esaminare l’efficacia della regolazione sociale e il trattamento degli aspetti sanitari, insieme alla compatibilità delle attività legalizzate dei giochi con le ragioni di sicurezza pubblica e di salute. In definitiva, ciò implica di analizzare il funzionamento effettivo dell’Istituto della concessione statale.

Osserviamo, insomma, che anche il clinico, diremmo soprattutto lui, deve sviluppare la competenza di una lettura multidisciplinare e multiprofessionale che comprenda anche numerosi aspetti pur estranei alla sua iniziale preparazione specialistica. In altri termini, se egli non vuole contribuire a indirizzare fuori bersaglio i suoi sforzi, non gli resta che volgere lo sguardo a un set di competenze esterne, eppure contigue: che gli sono necessarie proprio per svolgere con onestà il suo lavoro diretto. Le domande, all’apparenza semplici, rendono ardua la comprensione sufficiente della stessa dinamica della dipendenza. Come funzionano i vari giochi d’azzardo? Qual cambiamento ha arrecato l’impiego delle tecnologie digitali? Qual è il trattamento riservato dalle major del gambling al cliente nel gioco d’azzardo online, che è la modalità che sta prevalendo su quella in uno spazio materiale?

E in generale, come trascurare che la presenza quotidiana dell’always on, dell’ingaggio della persona in una universale gamification, in una “ludicizzazione” tecnologica che rinvia al flusso di ricompensa, a livelli in successione, a jingle che corredano le sfide, a nuove ricompense attese ecc.? Può un clinico ignorare come il gioco d’azzardo effettivamente praticato da enormi masse di popolazione, grazie all’ impiego delle nuove tecnologie digitali abbia riorganizzato i bioritmi, codificato e scandito i tempi delle emozioni, interpolato i percorsi della quotidianità con le sequenze della gratificazione e della obliterabile frustrazione?

Il gioco d’azzardo come un prisma

Per una rapida cognizione di tale complessità si può far riferimento alla figura del prisma. È una figura della geometria solida, composta di varie facce, ciascuna delle quali è connessa alle altre e determina l’assieme. Mentre siamo nel campo della fortuna, del caso, dell’alea, nel prisma del gioco d’azzardo non c’è nulla che è indeterminato. Niente, nessun dettaglio di questa costruzione che sia affidato alla sorte, all’evento naturale.

Un volume d’assieme che si tiene se le facce del solido sono tutte ben collegate tra di loro. La sua geometria rimanda a tante variabili costitutive, ciascuna connessa alle altre, per l’appunto inseparabili. Il prisma del gioco d’azzardo in Italia, seppure non costituisca una eccezione nel pianeta, è senza equivalenti in paesi di similare consistenza demografica e profilo socioeconomico.

Sia detto per inciso, è dall’Italia che ha preso le mosse il più grande trust dell’economia del gioco d’azzardo del mondo. Dalle attività installate infatti nella holding del gruppo De Agostini, si perviene a un volume di 4,1 miliardi di euro[2] dei ricavi del complesso di decine di società del settore: da quella principale (la International Gaming Technology – IGT) alle varie espressioni di Lottomatica, fino alla finanza dei derivati, sia sui giochi d’azzardo e sia su fondi speculativi NPL. Insomma, la crisi delle produzioni dell’economia reale (essenzialmente delle manifatture) è stata bilanciata dalle performance dell’industria dell’azzardo, con le relative filiere commerciali.

L’azzardo che predomina ai nostri giorni è un vero sistema interdipendente, progettato e governato con metodi della pianificazione industriale. È per questo che tale “gioco”, pur librandosi nel regno della Fortuna, subisce un beffardo contrappasso: il suo edificio contemporaneo non permette che alcun dettaglio sia affidato al caso. Né sono impiegate in modo naturale e spontaneo le parole che vengono proposte al pubblico dei consumatori, all’ambiente degli opinion leader, ai decisori politici, alle istituzioni giudiziarie e ovviamente alle amministrazioni locali e regionali. Niente di tutto questo è lasciato all’indeterminato. Persino l’interpunzione nel discorso, la semantica degli sfondi, il glossario – che si supporrebbe rappresentare aspetti secondari del modello – non possiedono una rilevanza qual semplice “dettaglio” nella costruzione, in verità sapiente e scaltrita del gioco d’azzardo qual business con oltre cento volte nove zeri. Si è dentro il sistema del gioco “di fortuna” contemporaneo, con ben pochi addentellati con quello che si praticava nella Marienbad del Giocatore di Dostoevskij.

Osserviamo la terminologia. Le parole che si usano per denominare in pubblico i giochi, i concetti messi a disposizione le analisi economiche, i modelli proposti per l’analisi clinica: è un apparato che avvicina, o allontana dall’inquadramento del fenomeno? Naturalmente non sfugge la stessa delineazione del profilo della dipendenza correlata all’azzardo, nella particolarità che propone. Perché anche nell’attività che svolgono i clinici non è ininfluente se all’esterno del setting terapeutico i messaggi siano univoci o viceversa “doppi”. La terminologia è importante anche con riguardo agli aspetti istituzionali. Messaggi e parole tecniche si calano nell’approccio terapeutico che lo specialista sta cercando di programmare in funzione di un recupero della persona stessa.

Le facce del prisma gioco d’azzardo industriale di massa si possono così enumerare e quindi descrivere: 1. Il progetto e la strategia industriale; 2. La manomissione delle parole per diffondere un senso comune teso a prevenire preoccupazioni sociali o allarme; 3. Marketing molto raffinato e innovativo, anche all’insegna della Gamification; 4. Sponsorizzazioni a largo spettro per Cause Related Marketing e, finché ammessa dalla legge, pubblicità; 5. Inserimento negli eventi sportivi; 6. Condizionamento delle scelte di modello della clinica delle dipendenze “senza sostanza”; 7. Interferenza sull’esercizio dei poteri delle Autonomie locali e regionali; 8. Fiscalità a “doppio legame”, ovvero addiction fiscale dello Stato; 9. Creazione di una finanza derivata; 10. Accentuazione del rischio di riciclaggio e di interferenza sulla democrazia; 11. Incentivo all’evoluzione della questione criminale; 12. Insicurezza diffusa sul territorio e fenomeni collegati di estorsione e di usura.

Le facce del prisma sono tra loro collegate in quanto il gioco d’azzardo di cui parliamo oggi non l’esperienza estetica di fine Ottocento, quando si praticava nelle località termali dov’erano allestiti i casinò eleganti, con gli specchi e il corredo Iconografico. Dobbiamo invece riferirci oggi a un gioco d’azzardo industriale, quindi costruito con un progetto strutturato, corredato da moderne tecniche di marketing che tendono a catturare, coinvolgendo ogni giorno fasce di consumatori di ciascuno, per ciascuna delle quali viene tracciato un profilo (anagrafico, sociale, per differenza di genere). Si utilizzano un complesso di discipline scientifiche. Se non ci si addentra negli interna corporis del progetto industriale non si mettono a fuoco i punti di forza e di debolezza, come pure le opportunità e le trappole.

 

Un progetto industriale e un success story per un consumo universale

Per proporre un inquadramento unitario, efficace e comprensibile a un tempo, è conveniente denominarlo con l’espressione definitoria di “gioco d’azzardo industriale di massa”. Avanziamo, nel corso dell’esposizione, una definizione paradigmatica.

Ebbene, le caratteristiche essenziali sono date: a) dalla combinazione di alea e tecnologie avanzate, con le seconde che hanno incorporato quasi completamente la “funzione del caso”; b) dalla sostituzione di giochi ad alta remunerazione promessa e a bassa frequenza di svolgimento con altri giochi a remunerazione “bassa ma raggiungibile” dal cliente e ad altissima frequenza; c) dall’aver soppresso la funzione compensatoria della ricerca della Fortuna con la gratificazione attesa, esperita e ripetuta ad altissima frequenza mediante erogazione di piccole somme “non risolutive”; d) dall’impiego su larga scala e ad alta intensità delle acquisizioni delle neuroscienze e del behaviourismo per il “condizionamento” operante; e) dal dispiegamento del marketing e della stabilizzazione della domanda di alea puntando alla fidelizzazione mediante addiction; f) da una struttura del business interdipendente con un mercato finanziario derivato dall’andamento dei conti dell’azzardo.

Un gioco industriale di massa è dunque un’esperienza di azzardo a bassa soglia, che occupa progressivamente sempre maggiore porzione del tempo sociale di vita, che interpola gli itinerari della vita quotidiana delle persone, impegnandole per molte ore della loro giornata, poiché basato su tecniche di rinforzo del comportamento e d’induzione alla compulsività. In generale il gioco d’azzardo industrializzato di massa ingaggia e stabilizza i comportamenti dell’utente con un sistema bidirezionale qual è reso possibile dal sistema, sia on-line e sia fisico, delle sequenze “input-altro investimento-ricompensa attesa”. Con un lavoro paziente di composizione si perverrà a individuare le connessioni e la struttura sistematica della complessità del gioco d’azzardo industriale di massa.

Dotandosi di un apparato concettuale almeno corrispondente alle principali articolazione del progetto industriale, si può rendere alla portata delle culture professionali mobilitate per l’aiuto alla persona, la linea di valutazione dell’impatto dei circa 111 miliardi di euro che costituiscono la sommatoria del flusso di transazioni che sono state registrate nell’anno secondo del tempo della pandemia da covid-19. Con molte delle porte d’accesso contingentate per le misure sanitarie di distanziamento, eppure il saldo del 2021 ha superato il record già segnato nel 2019, l’anno della normalità che non s’immagina di perdere nella vita quotidiana delle città.

Utilizziamo un’appropriata terminologia. Quel volume di denaro e la corrispondente porzione del tempo sociale di vita spesi dalla popolazione rappresentano un “flusso monetario di transazioni” senza pari nelle abitudini degli italiani. Per indicare l’ammontare di quanto giocato, peraltro, è preferibile il concetto dinamico di “flusso”, di una corrente tumultuosa, disordinata, travolgente. È più corretto esprimersi così, invece che evocare il termine anodino di “raccolta”. Infatti, “raccogliere” suggerisce l’idea del partecipare, del concorso collettivo al formarsi di un montepremi che proviene dai sottoscrittori. Un cumulo, che poi è redistribuito dalla fortuna, dal caso, a seconda dell’esito degli eventi. Se quest’accezione è in effetti fondata per alcune tipologie tradizionali, pressoché estinte (come il totocalcio) oppure per il Superenalotto (una tipologia moderna di giochi a estrazione) tuttavia non vale per l’assieme dei 51 tipi di giochi che sono attualmente disponibili nell’offerta dei concessionari. Gli algoritmi, le proporzioni, le combinazioni dell’incasso e del versamento sono assolutamente prefissate, come pure l’entità complessiva dei premi non è variabile, ma regolata rigorosamente. La percentuale che resta al “banco” è predeterminata.

La quota del denaro puntato rigidamente trattenuta si ripartisce tra la filiera dei concessionari e la “filiera” dello Stato per il pubblico erario. Il restante viene riversato nei premi con un frazionamento pianificato.

Paradigmatico è quel che è proposto nelle cosiddette “lotterie istantanee”. In una di queste (denominata “Bianco Natale”, per coordinare il format alle festività) il “banco” si garantisce il 33,49 per cento del margine, che in euro fanno 19 milioni 291 mila 400 (19.291.400) sui 57,6 previsti da “raccogliere” vendendo 19,2 milioni di tagliandi da 3 euro. Un biglietto ogni 16 “rimborsa” la somma equivalente al prezzo del tagliando; uno ogni 16,7 eroga una somma del 66,6% superiore a del costo (quindi un effettivo “premio” di 2 euro); uno ogni 45,5 gratifica con un saldo netto di 17 euro. Il salto avviene subito dopo, perché si fanno intascare 50 euro (47 al netto del costo) ogni 2400 biglietti, ovvero il margine è di 7150 euro a fronte di una erogazione di soli 47 (vedi tavola 1). E così via. Fonte: nostra elaborazione dal prospetto sul sito di ADM (aprile 2022).

Tavola n. 1

Gratta e Vinci “Bianco Natale” – con costo del biglietto di euro 3

 

DATI D’INSIEME:

Numero biglietti in vendita della lotteria “istantanea”

Importo totale (euro)

Margine effettivo (euro) per concessionario e Erario

Restituzione come rimborso o premio effettivo

Biglietti venduti

19.200.000

57.600.000

19.291.400

38.308.600

Di cui Biglietti con solo rimborso

  2.995.200

8.985.600

Di cui Biglietti con 2 euro di premio effettivo

  1.190.400

3.571.200

1.190.400

2.380.800

Di cui Biglietti con delta su costo tra 7 e 97 euro

   2.851.398

8.554.194

8.554.194

5.702.796

Biglietti senza alcun premio o rimborso

 12.163.002

36.489.006

21.110.994

 

Cosa è posto in vendita, allora? L’acquisto di una possibilità di ottenere una ricompensa dal caso. Diciamo meglio: dal caso regolato dagli algoritmi compilati per erigere la struttura dei 51 differenti tipi di giochi. È con queste procedure che il gioco d’azzardo industriale permette ai clienti di proseguire di là dell’effetto euforizzante da essi provato: valicando – in analogia con la consumazione di bevande alcoliche o allo shopping di merci restanti poi inutilizzate – il limite fisico della “sazietà”, forzando la fisiologica  capacità umana di consumare un bene.

Con questa chiave di interpretazione osserviamo adesso cosa ci restituisce il grafico seguente, che per comodità di esposizione è suddiviso tra una prima parte, per gli anni interi dal 2006 al 2014 e una seconda parte con i dettagli per il periodo 2015-2021. 

 

Figura n. 1 A – 2006 – 2010 Volumi totali di giocato e di quote ricavate, distinte tra Erario e Concessionari

Appare netto l’incremento esponenziale del consumo “lordo”, che raddoppia il suo volume in soli cinque anni – tra il 2006 e il 2011 – mentre con un andamento lineare crescono limitatamente le entrate erariali e progressivamente quelle dei concessionari. Il vantaggio per questi ultimi supera la quota statale nel triennio 2012-2014.

Nei sette anni successivi accade però un fenomeno che va interpretato corredando l’osservazione del comportamento dei consumatori con una semplice analisi economica. L’arruolamento della popolazione al gioco d’azzardo prosegue inarrestabile, e va considerato nelle due principali variabili: vi partecipano sempre più numerosi consumatori e vi impegnano quote crescenti del tempo sociale di vita.

Eppure, sia lo Stato e sia la stessa industria del gioco d’azzardo tradizionale sperimentano l’inizio della “fase perdente[3]”: dopo i larghi margini di entrate fiscali e di profitto, s’inizia e si prolunga la stagione della progressiva riduzione dei vantaggi. Come appare evidente, a una semplice visione delle figure che seguono.

Figura n. 1 B – 2015 – 2021 Volumi totali di giocato e di quote ricavate, distinte tra Erario e Concessionari

La prima informazione che rileviamo è che per ricavare le stesse utilità marginali – ma in quantità assolute – si deve innescare la crescita esponenziale del consumo: declinando infatti il valore percentuale sia della somma trattenuta dallo Stato, sia di quella remunerativa per i privati “investitori”.

Osserviamo come si pone l’andamento nelle colonnine rosse delle entrate erariali e nelle colonnine verdi dei ricavi della parte privata commerciale. Le colonne blu, infine, rappresentano il flusso di denaro, ovvero il consumo di miliardi e miliardi di operazioni che vengono ripetute per ciascun anno: per puntare del denaro e per tentare di averne indietro un multiplo come premio.

Il grafico ci espone come la curva delle entrate erariali e quella dei ricavi dell’industria privata rimangano stabili, invece di crescere in proporzione dell’aumentare del flusso. È la conferma schiacciante che per ottenere le stesse quantità assolute, si  deve contrastare quella che Leon Walras[4] chiamava la caduta delle utilità marginali. I prezzi relativi delle merci, in questo caso dei singoli acquisti di “giochi”, sono determinati dall’utilità marginale che i consumatori gli attribuiscono, in una progressiva caduta per ciascuna unità acquistata. La conferma vistosa è nella discesa della percentuale che va a remunerare (in questo caso) sia lo Stato, sia il privato investitore.

Figura n. 2 – Ripartizione percentuale del giocato in “Montepremi” – “Incassi di Erario” – “Margine

dei concessionari”

Qual è la ricaduta di questa operazione necessitata? L’incremento esponenziale del consumo lordo, reclutando in massa la popolazione al gioco d’azzardo, così da riuscire a compensare con le quantità assolute (cioè il “consumo lordo”) la caduta costante e drammatica dei margini relativi. Per fare un esempio, nel nell’anno 2000, quando in Italia ai prezzi il flusso di denaro giocato era pari a 11 miliardi di euro (ai prezzi attuali) il margine complessivo per lo Stato superava il 38 per cento, ma ai privati concessionari – incaricati della sola distribuzione del Lotto e delle Lotterie – era corrisposto un “aggio”, più o meno come quello riconosciuto a un esattore delle imposte.

Nell’anno 2021, la media “mediata” del prelievo statale non supera i 7,5 punti percentuali dei 111 miliardi circa di flusso di denaro giocato. La tendenza – già vistosa nel corso degli ultimi 7 anni – è ormai divenuta irreversibile.

Addiction fiscale dello Stato

Se è “condizionato” il comportamento del giocatore d’azzardo, non si può affermare che le amministrazioni pubbliche, dietro la loro “impersonalità” non versino in uno stato analogo. Aver legato la fiscalità ad un consumo correlato a un danno di salute, consumo di scommesse et similia, riproduce il paradosso già verificatosi con il tabagismo: una curiosa dipendenza patologica speculare a quella del consumatore, ovvero la dipendenza anche da parte dello Stato. Una simmetria, che si può evocare come qual addiction fiscale, come una patologia secondaria che si manifesta nella ricerca compulsiva di nuove entrate per la finanza pubblica. “Compulsiva”, poiché l’immane quantità di debito pubblico accumulato si risolve in coazione a reperire denaro per coprire la spesa crescente degli apparati amministrativi[5].

E questo avviene di là di ogni elementare e razionale apprezzamento dell’effettivo rapporto tra costi e benefici. Gioco d’azzardo patologico e tabagismo sono strutturati da un dispositivo analogo. Il gettito fiscale creato dalle sigarette è di 14 miliardi di euro annui[6]? E se il carico finanziario della Sanità fosse di entità maggiore degli introiti monetari dal fumo?

Con 93 mila decessi per tabagismo, che il ministero della Salute stima come correlati al fumo, le spese dirette e indirette, per le cure e per effetti correlati, si palesano essere di gran lunga superiori: oltre 26 miliardi di euro[7]! La somma algebrica delle due partite non viene tratta, le emergenze di cassa sono quasi sempre fronteggiate iscrivendo a bilancio la previsione di nuovi ricavi da tassazione aggiuntiva sui tabacchi. La domanda di questo “bene” è infatti rigida, e gli 11,5 milioni di tabagisti[8] continueranno a consumare quanto offre l’industria del fumo sotto l’ombrello del monopolio statale. L’aumento del prezzo del fumo è ininfluente sulla propensione a inalarsi tabacco combusto (come pure nella variante hi-tech. del tabacco riscaldato da un congegno elettronico per inalare vapori di nicotina[9]).

Per scommesse, slot machine e lotterie la spirale di induzione statale all’azzardo espone dunque una nuova simmetria tra decisione burocratica e comportamento del giocatore. Quest’ultimo, quando perde denaro, si vuole rifare, e quindi continua a investire somme crescenti. Immerso nella palude dei debiti, parimenti lo Stato è oberato da una sua crisi, nel dispositivo di spese crescenti e di entrate insufficienti. In questo senso anche la pubblica amministrazione scivola nel chasing, nella rincorsa delle perdite: si vuole “rifare” (loss-chasing) per reperire il denaro necessario a coprire la spesa corrente degli apparati.

Ecco, dunque, esattamente come avviene al giocatore d’azzardo, l’amministrazione pubblica – da intendersi qui come il complesso dei decisori burocratici e politici agganciati nelle sue procedure – si esonera di adottare una visione sistemica. Dovrebbe suonare così, invece, una decisione razionale: “se si rilancia la produzione dei beni e dei servizi, non solo si crea occupazione, ma si stimola anche la crescita economica. Di conseguenza aumenta il gettito di tasse e imposte”. Insomma, quel che non proviene dalla tassazione dell’alea è compensato dalle imposte su altri consumi che beneficiano della maggior disponibilità di denaro delle famiglie.

La prigione dell’ottusità costringe però la pubblica amministrazione a una scorciatoia cognitiva, a un’euristica: sotto la pressione del bisogno di rifornirsi di denaro, burocrazie e ceto politico vanno a cercare alimento là dove percepiscono una disponibilità. E il differimento della scelta strutturale sembra essere facilmente avallato. Intanto con il ricavato dei giochi d’azzardo tamponiamo una falla. Come dire: siamo pieni di debiti e allora chiediamo dei prestiti per finanziarli. E così si continua a pagare a prezzi crescenti il tempo ottenuto “a credito”. Conclusione: l’abnorme espansione del consumo di gioco d’azzardo è divenuto un ulteriore fattore strutturale sia del deficit e sia del debito dello Stato. Nell’inseguimento delle perdite (e nella fuga dalle responsabilità) Governo e Parlamento si proiettano vicendevolmente in un Pathological Gambling, ovvero in una spirale senza fine.

Appare problematico che vi possa essere un trattamento delle dipendenze che riguardano la singola persona che non sia coerente con il trattamento delle dipendenze quando coinvolgono un Paese intero. È una spirale che è arduo padroneggiare quando un sistema di gioco industriale si sostiene con l’allargamento continuo del numero dei partecipanti al gioco d’azzardo. La premessa “emancipatoria” è il ripristino dei presupposti etico-politici di garanzia dello Stato di diritto.

A parità di flusso di somme immesse e uscite dal gioco, la clamorosa prevalenza del consumo tramite le piattaforme online, conferma la impossibilità totale per lo Stato di recuperare quantità assolute di “gettito” e di ritornare ai valori dell’anno precedente la pandemia da covid-19.

Patologia “duale”: nella persona e nello Stato

Insistiamo sul paradosso, perché si continua a negare l’evidenza. Si può seccamente formulare così: la promozione governativa dei giochi d’azzardo non può ottenere alcun significativo recupero “monetario”, ma per contro esaspera la dipendenza di massa nella popolazione dal gioco d’azzardo.

Si constata così una dipendenza patologica “duale”:  la prima derivante dal disturbo da gioco d’azzardo dilagante all’interno di una cospicua popolazione “abitudinaria” (nel 2018 era stimata in 5,1 milioni di adulti e di 130 mila minori); la seconda, dal lato dello Stato, quella che poc’anzi abbiamo denominato con “addiction fiscale”.

La tavola seguente la descrive in maniera netta. È la paradossale coazione che si risolve nel dispositivo brutale: per ottenere delle quantità di gettito fiscale e di profitto invariate, la sola leva è quella del volume generale dei flussi di denaro giocato.

Figura n. 3 – Andamento dei giochi d’azzardo. Confronto tra forme sul territorio fisico e sui canali online

S’intravvede così una patologia “duale” o un dualismo di patologia, che connette dunque quel che è materia della clinica con numeri di transazioni di gioco dall’entità iperbolica, fino a prospettare un problema grave anche in termini di cyber sicurezza nazionale: un flusso annuo di 67 miliardi di euro di transazioni online e pone un problema non solo di sicurezza pubblica, ma anche di gestione di queste di queste reti.

Il grafico ci mostra come con il passaggio al digitale, l’ampiezza dei consumatori si si va espandendo, e di molto. Osserviamo allora a distribuzione dei conti di gioco per fasce di età. Le fasce giovanili prevalgono nettamente, perché l’altissima frequenza delle puntate che si susseguono consente il trattenimento della persona al device di gioco. Nelle modalità cosiddette del “gioco fisico” si registra anche lì la ripetitività dei gesti di input e output, ma la struttura dell’impianto materiale perviene a provocare l’esaurimento del budget del gambler in quattro, massimo cinque turni di gioco.

Figura n. 4 – Ripartizione delle quote trattenute del gioco d’azzardo on line tra Erario e Concessionari

Figura n. 4 bis – Rapporti percentuali tra entrate erariali e margini dei concessionari nel gioco d’azzardo on line

Con la sostituzione delle modalità “sul terreno fisico” con quelle nel cyberspazio, le proporzioni tra ricavi erariali e ricavi dell’industria del gambling si capovolgono: a ogni euro che viene trattenuto dallo Stato ne corrispondono tre che alimentano la filiera commerciale. Un quarto dei ricavi allo Stato, tre quarti alle parti private: dove si colloca l’interesse pubblico? E questo è un problema che rende anche molto difficile la riduzione delle frequenze.

Il gioco interamente praticato nel canale digitale smantella la barriera del limite fisico alle frequenze. E infatti, considerate complessivamente le varie modalità (nel vasto campo dell’online vi sono diverse specificazioni) occorrono circa 20 turni per esaurire il denaro che si era portato al “tavolo da gioco” virtuale. Detto in breve: gioco d’azzardo online comporta la reiterazione ad altissima frequenza delle puntate. È questa la struttura fondamentale del gambling a tecnologia avanzata. Ma questo ormai prevalente approccio della persona al gioco, presenta un paradosso, che poi si rovescia sulla clinica del Disturbo da Gioco d’Azzardo.

Allo Stato e alle società private occorrono più outcome, ma ne ottengono meno income (relativo). Insomma, alla estensione esponenziale del consumo, fanno da riscontro quantità decrescenti di reddito relativo. Il saldo (con la sommatoria di gioco “fisico” e di gioco online) è decrescente  per entrambe le parti.

L’online attrae la popolazione a reddito più basso?

L’ aumento esponenziale delle quantità mostra anche un tratto paradossale. Nel passaggio all’online, le regioni più sviluppate sono quelle dove si ha maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali, anche se, grazie alla alfabetizzazione di massa che si è avuta nella tragedia della pandemia, è aumentata di molto l’utilizzazione dell’online in ogni provincia d’Italia. Eppure, quel dualismo (leggi: ritardo di sviluppo) tra nord e sud del Paese non si è riassorbito. Tra meridione e settentrione dell’Italia permane un netto divario nell’alfabetizzazione informatica. Secondo l’Istat, nella Lombardia due persone su tre utilizzano con competenza e continuità internet[10]. All’opposto, nella Calabria e in Campania il dato non raggiunge il 50 per cento. Ancora più bassa appare poi la proporzione in raffronto ai numeri della Sicilia (43,3). Dunque, si supporrebbe, a meno consuetudine con internet corrispondono  meno scommesse “a distanza”.

Nel gioco d’azzardo via web avviene invece tutto il contrario. Numeri sotto gli occhi, in Campania nell’anno 2020 sono stati attivi oltre due milioni e mezzo di conti di gioco online (2 milioni e 526 mila, per l’esattezza). In Lombardia “solo” un milione e 556 mila, vale a dire oltre il 38 per cento in meno che nell’altra regione. La “locomotiva d’Italia” ha perso anche sulla Sicilia (e per ben 280 mila conti). Insomma, Campana, Sicilia, Calabria e Puglia surclassano letteralmente per conti gioco online il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia e Romagna,  cioè la dorsale dell’Italia più sviluppata nella manifattura e nell’agricoltura moderne. E fin qui si tratta di numeri in assoluto. Se li rapportiamo alla numerosità della popolazione, si va ben oltre il paradosso. Si perviene a un grave indizio di influenza delinquenziale.

Nella regione settentrionale più popolosa, la Lombardia, gli abitanti risultano essere infatti quasi il doppio di quelli della Campania. Ma in quest’ultima, per ogni cento residenti si sono contati invece 13,3 conti aperti. E anche negli altri territori – come la Sicilia (10 conti ogni cento abitanti), la Calabria (9,3) e la Puglia (8,9) – si conferma come l’azzardo online prospera assai meglio che al nord. Il risultato di questa analisi semplice è che le prime quattro regioni in classifica – per l’appunto quelle del Sud –  sono state seguite a grandissima distanza dalla Lombardia, che di conti attivi ne ha solo 5,3, sempre ogni 100 residenti. Insomma, un dualismo alla rovescia nel divario digitale del gioco d’azzardo.

Tavola n. 2 – Diffusione dei conti per scommesse, casinò e altre modalità digitali

Dunque, non solo in rapporto alla numerosità della popolazione residente, ma anche in cifre assolute i conti attivi nella Lombardia (regione con più di un sesto dei cittadini italiani residenti) sono di gran lunga inferiori a quelli della Campania, che pure ha una popolazione pari alla metà circa di quella del nord industriale avanzato. Nel gioco online il Mezzogiorno “povero” è molto più proiettato del Settentrione “avanzato” e industrializzato che genera la maggior quota del PIL nazionale.

Passiamo direttamente alla clinica e al quesito sull’impatto sociale e sulla persona singola. Un progresso avvenuto a tappe forzate, con il riconoscimento pubblico delle patologie correlate al gioco d’azzardo che è avvenuto tardivamente nel 2012, con il primo provvedimento rivolto al Servizio Sanitario Nazionale. Nel 2017 è emanato il DPCM dei Lea e viene sancita, definitivamente, l’obbligatorietà per lo Stato di prevedere un sistema di cura. Si avviano dei piani regionali. Manca ancora – come messo nettamente in evidenza dalla deliberazione del 30 dicembre 2021 della Corte dei conti nella relazione al Parlamento – l’inserimento nel sistema informativo nazionale delle dipendenze (SIND) della rilevazione sui casi che sono in carico presso il servizio sanitario nazionale o presso i servizi accreditati dal dallo Stato. È un adempimento che tarda, come ha fatto notare lo stesso magistrato estensore della deliberazione della Corte dei conti.

L’ultima rilevazione che ci consente di superare la totale ignoranza di una epidemiologia proviene però dall’Istituto superiore di sanità, che nel 2018 ha prodotto un’immagine abbastanza importante. Afferma l’ISS che partecipano al gioco circa 18 milioni e mezzo di adulti e circa 700.000 minori. Dall’economia di queste cifre si passa alla epidemiologia, attraverso la selezione – all’interno dell’universo rappresentato da 18 milioni e mezzo di persone adulte e di 700 mila minorenni – di 5,1 milioni di individui abitudinari (dati riferiti all’anno 2018, che vanno aggiornati per l’avvenuta migrazione all’online). E all’interno del sottoinsieme degli abitudinari, si pone in evidenza che vi sono circa un milione e mezzo di “giocatori problematici”.

Scavando nella miniera d’informazioni dell’indagine dell’ISS abbiamo scoperto come il consumo si distribuisce concentrandosi proprio in un cluster di popolazione. Ebbene, l’ottanta per 100 del consumo lordo (nel 2018 si aggirava intorno ai 100 miliardi di euro) è imputabile al sottoinsieme di giocatori abitudinari, e tra essi all’ulteriore sottoinsieme dei “problematici”. Precisiamo che nella lingua italiana il termine “problematico” rinvia a una dimensione essenzialmente di teoria, a un problema logico. Nella lingua inglese significa non una question, ma un nodo strutturale ed importante, connesso a una difficoltà o a un pericolo.

La selezione del sottoinsieme degli abitudinari e quindi dei “problematici” ci restituisce l’immagine quali-quantitativa di un comportamento sociale all’interno del quale viene a collocarsi la patologia. E si si arriva al punto, cioè al cut off, alla soglia da fissare tra il “ludico” e il “patologico”. La misura è data dalla combinazione delle quantità di denaro impiegato e di tempo sociale di vita impiegato: da quel 32 per cento di abitudinari e (sempre all’interno di questa frazione) 29,4 per cento di abitudinari-patologici estremi.

Il Report dell’ISS riferisce questi dati: su una popolazione residente di ultra-diciottenni (50 milioni e 680 mila persone, secondo ISTAT 2016), vi sono 5 milioni di “abitudinari” (suddivisi in “problematici”, “a rischio moderato”, “a basso rischio”). Dunque, poco meno di un terzo degli abitudinari sono problematici: 1 milione e 526 mila persone, cui aggiungere circa 150 mila minorenni studenti (tra 80 mila “a rischio” e 69 mila “problematici), tra i 670 mila rilevati da uno spin off dell’indagine dell’Istituto)[11].

Tavola n. 3 – Evidenze dalla Ricerca ISS (rilevazione condotta nell’ anno 2018)

Adulti

Il 36,4% degli italiani (circa 18.450.000 persone):

risultano aver giocato almeno una volta nei 12 mesi antecedenti

  • Centro, (42,7% vs 36,4% di media nazionale)
  • Nord Ovest (39,3% vs 36,4% di media nazionale)
  • Isole (35,8% vs 36,4% di media nazionale)
  • Sud (33,8% vs 36,4% di media nazionale)
  • Nord Est (29,3% vs 36,4% di media nazionale).
  • Quasi un uomo su due (43,7% pari a oltre 10.500.000 residenti) e una donna su tre (29,8% pari a 7.900.000 residenti).
  • Fasce d’età prevalenti: tra i 40 e 64 anni.

Da rimarcare che nell’anno considerato (il 2018) il volume del giocato online e la numerosità dei giocatori “da remoto” risultavano essere meno della metà di quelli del 2021 (vedi supra, Figura n. 3).

Arriviamo a un paradigma su come si forma l’utenza per i servizi di presa in carico della persona con disturbo da gioco d’azzardo (o comunque con gioco problematico o con un disturbo lieve o pronunciato). Come sanno tutti gli operatori delle dipendenze, la soglia di accesso ai servizi che prendono in carico la sofferenza della persona si presenta di solito molto alta, difficile da valicare dalla persona. In pratica, chi soffre per una dipendenza da gioco d’azzardo (ma il ragionamento vale anche per le altre addiction)  dovrebbe: a) riconoscere la sua patologia; b) essere informato circa le procedure per evitare lo stigma di questa patologia che gli viene imputata, e quindi seguire gli step per accedere a un sistema di cura. Il programma terapeutico dovrebbe quindi esser “personalizzato”, e riguardare sia lui, sia il suo gruppo familiare, o comunque delle di relazioni primarie, ed esser seguito nel tempo.

E qui, simultaneamente, si presenta sia l’esigenza di offrire un’ampia e diversificata gamma di terapie, localizzate in quanto più possibile di prossimità con la persona. Senza sottovalutare aspetti, all’apparenza banali, come quello degli orari d’accesso ai luoghi della terapia. Si spiega anche così la difficoltà d’inserimento della specifica voce Disturbo Da Gioco d’Azzardo nel SIND, sistema nazionale informativo sulle dipendenze. Il processo di richiesta d’aiuto è fortemente influenzato dai servizi e come il loro accesso sia disponibile. L’ultima rilevazione di quanto risultava al Servizio Sanitario Nazionale è stata promossa dal Dipartimento delle politiche antidroga nel lontano anno 2011, quindi prima dello stesso “Decreto Balduzzi”. Una raccolta d’informazioni approssimativa e assai carente, che venne alimentata da solo tredici Regioni su 20. I Servizi territoriali sulle Dipendenze – prima dell’ammissione istituzionale della patologia che doveva impegnare il SSN – avevano accolto (ripetiamo in 13 Regioni su 20) circa 4500 persone. E per esse il trattamento doveva essere correlato con una patologia primaria, da documentare proprio per evitare, per esempio, il pagamento del ticket.

Nei primi anni di questo secolo, intorno al 2005-2006, ho seguito la formazione degli operatori delle Asl della Toscana. In quel periodo, i Serd per poter curare le persone affette da patologia di gioco d’azzardo dovevano dichiarare un altro disturbo clinico, che pure era presente come patologia primaria, per esempio tabagismo, alcolismo[12].

Eppure, esiste un potenziale di bisogno di presa in carico molto esteso, che è dimensionabile anche solo evocando il teorema delle proporzioni definite. Se in un dato composto dove due o più elementi reagiscono per formarlo, i loro sottoinsiemi  si combinano sempre secondo proporzioni in massa definite e costanti: nel “composto” gioco d’azzardo ne troviamo tre: a) la totalità della popolazione che nel corso di un anno denuncia almeno un contatto con uno o più dei “giochi”; b) la popolazione abitudinaria in complesso “a rischio” (basso, moderato, alto); c)  (quella ad alto rischio o dei giocatori problematici[13]).

Dunque, la popolazione di giocatori problematici (sottoinsieme degli “abitudinari”) richiede di essere intercettata, affinché il bisogno di presa in carico sia trasformato in domanda di salute, presa in carico dai servizi. Tutto ciò richiede la promozione attiva da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Ma questo attualmente sta prendendo le mosse con molta lentezza.

Ecco le ragioni che impongono di affrontare, sia pure indirettamente, questioni istituzionali e giuridiche anche a quanti sono proiettati nella clinica delle dipendenze correlate al gioco d’azzardo.

Bibliografia

Balduzzi, R, (2021) Il (disturbo da) gioco d’azzardo tra politica e magistratura, in Corti Supreme e Salute, n. 1 del 2021

Bobbio, L, (1996) La democrazia non abita a Gordio: studio sui processi decisionali politico-amministrativi, Milano, Ed. Franco Angeli 

Custer, Robert L. – Milt, H, (1985), When Luck Runs Out: Help for Compulsive Gamblers and Their Families, in Facts on File; 1st edition

Fiasco, M, (2015), Azzardo virtuale e vita quotidiana. Anatomia d’una impostura, in Giochi di Stato, a cura di Coccia B., Edizioni Apes

Fiasco, M, (2019), La complessa sociologia del gioco d’azzardo contemporaneo, in Corti Supreme e Salute, n. 3 del 2019

Grinols, EL, – Mustard, DB, (2001),Business profitability vs. social profitability: Evaluating the social contribution of Industries with externalities and the case of the casino industry, in Managerial and Decision Economics, n. 22

ISTAT, (2019, Report Cittadini e Ict, anno 2019

Istituto Superiore di Sanità, (2019), Il Gioco d’azzardo in Italia, Ricerca realizzata nell’ambito dell’Accordo di Collaborazione tra Agenzia delle Dogane e Monopoli (ADM) e Istituto Superiore di Sanità (ISS) Anni 2016-2019.

Lesieur, H, – Custer, RL, (1984), Pathological Gambling: Roots, Phases, and Treatment, in The Annals of the American Academy of Political and Social Science 474(1):146-156, July

Motterlini, M, (2011), “Neuroeconomia” e “Teoria del prospetto” in Enciclopedia dell’economia Garzanti, Milano, Garzanti

Sukhwinder Singh Sohal, Mathew Suji Eapen, Vegi G.M. Naidu, Pawan Sharma,(2018), IQOS exposure impairs human airway cell homeostasis: direct comparison with traditional cigarette and e-cigarette, Published Online by European Respiratory Society, ISSN 2312-0541, 2019 5: 00159-2018.

Walras, Marie-Esprit-Léon, (1874), Éléments d’économie politique pure, ou théorie de la richesse sociale, 1874, trad. it. Elementi di economia politica pura, Torino, UTET 2013

[1] Con il così denominato decreto Balduzzi (DL 13 settembre 2012, n. 158).

[2] Il Gruppo in Italia opera nei giochi attraverso Lottomatica, nell’editoria attraverso De Agostini Editore e nella finanza mediante Dea Capital. Informa un comunicato del luglio 2019, che gli azionisti hanno approvato un Bilancio Consolidato con ricavi netti di quasi 4,5 miliardi di euro (4.497 milioni) con margine lordo del 34 per cento (1 miliardo e 546 milioni). Il delta positivo è derivato dai giochi d’azzardo per 1 miliardo e 482 milioni, dunque per il 95,9 per cento. Scende invece la redditualità delle originarie, tradizionali attività editoriali: solo 1,6 per cento, pari a 25 milioni su 333 di fatturato. Dall’azzardo alla finanza, che è stata Under Management per “quasi 12 miliardi”, compresi i volumi di intervento sui cosiddetti crediti deteriorati – NPL. Interessante un passaggio della nota diffusa: in Italia “la società si è posizionata al meglio per continuare nel percorso di crescita di questo settore di business “; ma all’estero non vanno così gli affari del gambling: “sia di Nord America, sia dell’Internazionale; i risultati sono ancora in parte sotto le attese”. Insomma, si conferma come l’Italia – ormai nel dodicesimo anno della stagnazione economica generale  – sia il territorio di una continua espansione dell’affare dell’alea.

[3] Utilizziamo un’ardita analogia con la terza fase – per l’appunto la “fase perdente” – della carriera del giocatore, ben descritta da Robert L. Custer (Midland, Pennsylvania, 1927 – 1990) psichiatra statunitense, pioniere nello studio e nel trattamento del gioco delle gambling addiction.

[4] Marie-Esprit-Léon Walras (Évreux 1834 – Clarens, Losanna, 1910) è citato qui per aver individuato come i prezzi relativi (di una merce, di un servizio) siano determinati dall’utilità marginale che i consumatori attribuiscono alle merci. Nel caso del gioco d’azzardo industriale, per correggere la costante disaffezione a corrispondere un prezzo invariante ad una chance – che si configura eccessivamente remota – di ottenere un premio (da una lotteria, da una scommessa, da una moneta inserita nella slot machine ecc.) il “banco” riduce sempre di più il margine di guadagno per frazionare, aumentandolo progressivamente, il più possibile il montepremi.

[5] Tra l’individuazione di un problema (ovvero “l’atto di nascita” di una questione sancito da un ordine del giorno) e l’approdo a risultati, si svolge un processo cognitivo e deliberativo secondo una successione di prospect e di inquadramenti che condizionano le scelte. Se però si pone la lente verso le “effettive condizioni” del decidere si può restare sconcertati dal susseguirsi, molto spesso, di semplificazioni erronee, di rozze scorciatoie (anche verbali) che caratterizzano il modo di interagire del personale detentore del potere pubblico.

Scrive Luigi Bobbio, in La democrazia non abita a Gordio: studio sui processi decisionali politico-amministrativi (Milano, Ed. Franco Angeli, 1996) che quando si delibera si guarda a “un modello lineare e razionale di decisione che mal si adatta alla complessità delle istituzioni e dei problemi che esse sono chiamate ad affrontare” (pag.8). In tale abito scorgiamo, da parte nostra, una delle matrici della persistente ottusità, ovvero del “condizionamento operante” che sotto la pressione dell’urgenza di entrate finanziarie spinge a “terribili semplificazioni” in materia di tabacco, alcol e gioco d’azzardo. “Ottusità” da intendersi come sinonimo di “Addiction fiscale”.

[6] Tra IVA (3,4 miliardi) e accise (10,6) lo Stato incamera dal consumo dei tabacchi (tutti i vari prodotti) quattordici miliardi di euro (consuntivo per l’anno 2020, da “Libro Blu” dell’ADM, ottobre 2021)

[7] Dal sito istituzionale del ministero: “In Italia si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco oltre 93.000 morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro (Tobacco Atlas sesta edizione). Per quanto riguarda i tumori, il tabacco è il fattore di rischio con maggiore impatto a cui sono riconducibili almeno 43.000 decessi annui” (ultimo aggiornamento 31 maggio 2021).

[8] Nel 2015, secondo i dati ISTAT, i fumatori, tra la popolazione di 14 anni e più, sono poco meno di 10 milioni. La prevalenza è pari al 18,4%. Forti sono le differenze di genere: tra gli uomini i fumatori sono il 22% e tra le donne il 15,1%. Il fumo di tabacco è risultato più diffuso nella fascia di età tra i 25-34 anni (24,2%).

[9] Da notare con attenzione come questa modalità è presentata, sia per indurre le persone a farla propria senza allarme per la salute e sia per ottenere la “bollinatura” delle autorità statali sulla non responsabilità dell’industria, se si rilevassero comunque dei dati sanitari. Alla vigilia dell’apertura dello stabilimento industriale in Italia, in quel di Crespellano (Bologna) il presidente della Philip Morris,  Calantzopoulos, magnifica  le stick di tabacco da riscaldare come prodotti a “potenziale rischio attenuato”. Nemmeno si ammette il rischio, ma solo l’eventualità di un rischio “potenziale”. Sottigliezza scaltra per eludere la contestazione di una responsabilità civile per le malattie procurate dal nuovo business. Eppure, la litote ( né rischio e né pericolo, ma solo un “potenziale rischio”: “attenuato”) non è riuscita a far assolvere il tabacco “riscaldato e non bruciato” da parte della European Respiratory Society, prestigioso istituto di ricerca sul cancro ai polmoni con sedi a Losanna, Bruxelles e Sheffield. I pericoli ci sarebbero, e tanti. Cfr. Sukhwinder Singh Sohal, Mathew Suji Eapen, Vegi G.M. Naidu, Pawan Sharma, IQOS exposure impairs human airway cell homeostasis: direct comparison with traditional cigarette and e-cigarette, Published Online by European Respiratory Society, ISSN 2312-0541, 2019 5: 00159-2018.

[10] ISTAT, Report Cittadini e Ict, anno 2019: “… si evidenziano forti differenze tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno (70,6% contro 62,5%). La Puglia e la Calabria sono le regioni con la quota più bassa di utenti di Internet (rispettivamente 59,7% e 60,1%) …. Rispetto al 2018 si registrano incrementi apprezzabili per Sicilia (+6,6 punti percentuali) e Campania (+3,5 punti percentuali)”.

[11] Istituto Superiore di Sanità, Il Gioco d’azzardo in Italia, Ricerca realizzata nell’ambito dell’Accordo di Collaborazione tra Agenzia delle Dogane e Monopoli (ADM) e Istituto Superiore di Sanità (ISS) Anni 2016-2019.

[12] Confermato in seguito dalla citata Ricerca dell’ISS: “Rispetto alle abitudini al fumo ed al consumo di bevande alcoliche il comportamento del giocare d’azzardo si osserva maggiormente tra i fumatori e tra coloro che consumano frequentemente birra, vino, aperitivi e superalcolici (4 volte o più alla settimana). Al contrario, la maggior parte di non fumatori e di non consumatori di bevande alcoliche non hanno giocato d’azzardo nell’ultimo anno” (pag. 56).

E più avanti: “…tra i giocatori d’azzardo problematici è maggiore la percentuale di chi fuma (fumatori occasionali o abituali 44,5% vs 31,7%), consuma birra (9,7% vs 4,3%; 4 o più volte a settimana), ready to drink (1,9% vs 0,3%; 4 o più volte a settimana), aperitivi (4.9% vs 0.9%; 4 o più volte a settimana) e superalcolici (5.4% vs 0.6%; 4 o più volte a settimana) rispetto ai giocatori sociali; anche la perdita di controllo a seguito dell’assunzione di alcolici (3,8% vs 0,6%; 3 o più episodi di ubriacature nell’ultimo mese) e il consumo di sostanze stupefacenti (10,6% vs 2,3%; consumo negli ultimi 12 mesi) sembra caratterizzare maggiormente il giocatore problematico” (pag.66).

[13] Specifica così l’ISS: “Con ‘Giocatore problematico’ si definisce un giocatore con un comportamento di gioco che crea conseguenze negative per sé, per le persone a lui vicine (rete sociale) o per la comunità e può aver perso il controllo del suo comportamento; i giocatori con un profilo di ‘rischio moderato’ mostrano uno o più comportamenti dei giocatori problematici “la maggior parte del tempo” e potrebbero avere conseguenze negative dal gioco d’azzardo; i giocatori con profilo a ‘basso rischio’, pur avendo ‘a volte’ uno o più atteggiamenti dei giocatori problematici, probabilmente non avranno alcuna conseguenza negativa dal gioco d’azzardo.

Infine, i giocatori con profilo di “nessun problema di gioco” sono coloro che non manifestano comportamenti problematici di gioco” (Istituto Superiore di Sanità, Il gioco d’azzardo nella popolazione adulta: studio epidemiologico trasversale di tipo osservazionale, Anno 2016-2019, pag. 47.

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