Motivazioni, Esilio, Spirito di scissione, Combattività politica del Sommo Poeta. <br> Maurizio Fiasco

Motivazioni, Esilio, Spirito di scissione, Combattività politica del Sommo Poeta.
Maurizio Fiasco

Riflessioni sul concetto di Trasformazione nel processo di individuazione psicologico-analitico.

 

di Maurizio Fiasco.

Parole chiave: Politica e esistenza, Psicologia dell’esilio, menzogna in politica, immaginazione eroica

Abstract:

In questo scritto l’autore guarda alla biografia e alle parole di Dante nella esperienza politica del sommo poeta. La rilettura di alcune opere lo stimola a meditare sulla psicologia sociale della responsabilità nelle situazioni estreme provocate da una scelta politica rivolta all’universale.
Quale uomo costretto a vivere per lunghi anni nella condizione di rifugiato, di messo al bando, di esiliato, Dante Alighieri elabora dunque una motivazione esistenziale che possiede attualità in ogni epoca: egli proietta in visione escatologica la sconfitta dolorosa, la condizione di uomo perdente nella società del suo tempo, del condannato senza appello.
Nella figura dell’Alighieri l’autore vede l’archetipo della passione politica e della psicologia della intransigenza filosofica e militante. Perché una personalità continua a combattere pur essendo consapevole dell’irrevocabilità della sua sconfitta storica?
Invece di ripiegare nella cura del particulare, il Poeta investiga sul senso della storia e ci consegna il modello ideale della politica, illuminata dalla escatologia della Salvazione. Testimoniare fino all’ultimo, anche quando “qua tutto vacilla” (V. Klemperer).
La sconfitta politica si rovescia in primato nella storia, nella coscienza e nella lingua. Dante è impresso nel carattere degli italiani. Non di tutti, ma certamente degli italiani che amano la libertà e il servizio alla patria.
Dante riassume la psicologia della politica, se la politica è “come costruzione vivente di una unità intellettuale e di una [unità] etica, conforme a una concezione del reale” (Gramsci). Insomma, è la rappresentazione perfetta dell’autocoscienza in cui teoria e pratica finalmente si unificano. L’autocoscienza impone di dare un senso trascendente all’impiego della propria esistenza, limitata dalla natura nel tempo, per uno scopo alto, per i valori universali di bene comune che si intende realizzare, sui piani sociale, religioso, psicologico, morale.
Dante è un immenso giacimento dove scavare per comprendere come si costruisce la vera motivazione; come si forma il soggetto; come si oppone la resistenza; perché la testimonianza non cessa pur davanti all’esilio e alla sofferenza estrema.
Tale questione è d’importanza capitale nel tempo presente dell’eclissi delle potenze ideali. Il punto è: perché alcuni profondono le proprie energie intellettuali pur dopo una sconfitta irrimediabile? Della quale sono peraltro consapevoli. Perché consumano le proprie risorse biologiche, gli anni di vita, sopportando sacrifici conseguenti alla loro strenua volontà per perseguire un progetto di società?

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Introduzione

In un tempo quando la menzogna pervade e domina la cosa pubblica, divenendone un metodo permanente e raffinato di governo (secondo la lettura di Hanna Arendt[1]) quando tutto questo avviene perché le motivazioni dominanti dell’agire dei “politici” (o più esattamente, del personale che dovrebbe rappresentare una funzione generale) sono di mero interesse privato (economico-materiale o narcisistico: non fa differenza granché) allora rileggere Dante qual appassionato e sofferente intellettuale-politico può farci riscoprire un paradigma di pedagogia, per l’appunto politica. Può mostrarci come nell’opposizione al Particulare si forma e si attiva una spinta all’impegno trascendente, nell’anima e nell’intelletto di chi possiede tanto amor proprio da muovere a pensare un governo civile in profondità e all’insegna della onestà razionale.

Dante trasmette un archetipo di sentimento interiore, del dover essere nella sfera politica. Ci si batte, testimoniando fino in fondo perché si concepisce un disegno universale che trascende i destini individuali. Perché la concezione politica diviene tutt’uno con la sfera morale privata della esistenza del Poeta, ponendosi qual esempio mirabile di quel “il privato è politico” che sei secoli e mezzo dopo si imporrà come uno slogan, al netto della consapevolezza dei replicanti: dei severi significati e doveri evocati, oltre la banale frase fatta.

Sottoposto all’oltraggio del bando di esilio, al decreto di espulsione dalla costruzione storica e filosofica del Comune, a seguito della sconfitta senza possibilità di rivincita della sua parte, egli coltiva un radicale “spirito di scissione[2]” che attinge al cristianesimo per corroborarne il disegno universalistico con una grande scelta dei miti e delle figure della tradizione classica, della quale l’Inferno ne è che un concentrato meraviglioso, proprio a iniziare dallo stesso Virgilio.

Nell’Inferno, Canto VI, dove incontra Ciacco Dell’Anguillara si palesano le sofferenze inevitabili e il destino irrevocabile degli sconfitti in politica.

E quelli a me: «Dopo lunga tencione

verranno al sangue, e la parte selvaggia

caccerà l’altra con molta offensione.

 

Poi appresso convien che questa caggia

infra tre soli, e che l’altra sormonti

con la forza di tal che testé piaggia.

 

Alte terrà lungo tempo le fronti,

tenendo l’altra sotto gravi pesi,

come che di ciò pianga o che n’aonti.

 

Giusti son due, e non vi sono intesi;

superbia, invidia e avarizia sono

le tre faville c’hanno i cuori accesi». 

La politica è scontro violento, che risolve le contese con le armi e con la coercizione estrema. Dopo che i Bianchi, cioè i guelfi del partito di Dante, avranno cacciato i guelfi Neri, questi ritorneranno al potere quasi tre anni dopo favoriti dall’aiuto che il papa (Bonifacio VIII) subdolamente fornisce delegittimando la fazione dell’Alighieri.

E il disastro morale dei fiorentini agevolerà l’oppressione dei vinti, sotto il tallone di ferro di “superbia, invidia e avarizia”, vizi capitali che soli infiammano i cuori dei compatrioti.

E così anche il nome di Dante è iscritto nel Libro del Chiodo[3], vero repertorio dei bandi contro i Ghibellini e i Guelfi Bianchi, per l’accusa infamante di ribellione al Comune, e esclusi definitivamente dalla vita pubblica, con pene graduate fino all’esilio e alla morte.

Tra i condannati, Dante Alighieri è bollato come colpevole di appropriazioni indebite (baratteria) effettuate durante il suo priorato (1300), di aver agito contro il Papa e Carlo di Valois, contro il pacifico stato della città di Firenze e della Parte Guelfa, di aver provocato la scissione dei Guelfi di Pistoia e l’espulsione della parte Nera.

Il Cante de’ Gabrielli da Gubbio il 27 gennaio 1302 comminò dunque l’esilio e il 10 marzo successivo addirittura la condanna alla pena di morte.

La coscienza di una condizione irrevocabile espone i dilemmi drammatici nella psicologia del dissenso politico: quando comporta costi estremi e non risarcibili più mai in vita. Le figure che si accostano sono quelle di Enea e Dante, sconfitta militare e politica e conseguenza la fuga e l’esilio. Il tema che ci colpisce è quello della sconfitta in politica, quando la dimensione esistenziale personale è inscindibile da un destino di parte generale, che non lascia altra via per eventualmente sottrarvisi, che il disonore.

Come riesce l’uomo a “tenere il punto”? Perché lo sconfitto – consapevole dell’impossibilità della rivincita – spinge la sua produzione intellettuale a vette altissime? Perché nella sofferenza estrema le funzioni della ragione consegnano una perspicacia inaudita? E la cognizione di tale potenza della mente, perché rinforza la determinazione a testimoniare fino all’ultimo?

Non vi è riforma politica senza una riforma morale intellettuale. È uno dei discrimini tra la mera velleità e l’impegno che colora di significato l’esistenza dei singoli. Un autore di sei secoli dopo l’Alighieri, Antonio Gramsci, ne scolpisce dal buio del carcere il caposaldo: “ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà“[4].

 I riflessi sulla psiche e sull’orgoglio li percepiamo nella funzione liberatoria dell’invettiva dantesca.

«Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!»

(Inferno, canto XXXIII)

«Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!»

(Purgatorio, canto VI)

Tutto è politico nella Commedia. La condizione di esule e la sofferenza per la patria, Firenze. Dante imprime un carattere al patriottismo italiano. Che permane tuttora. L’irrevocabilità della condizione di esule di fuoriuscito senza speranza, di ritorno in patria spinge l’Esule a delineare un grande disegno escatologico del nuovo assetto storico politico: l’Impero come governo mondiale che ha la missione di condurre alla pacificazione dei popoli, dell’Italia.

Si legge nel punto 7 della Epistola VI: “Le sante sanzioni delle leggi dichiarano appunto, e la ragione umana dopo attento esame stabilisce, che i pubblici domìni delle cose, per quanto a lungo trascurati, non possono mai estinguersi, e, se pur svigoriti, impugnarsi; poiché ciò che contribuisce all’utilità di tutti, senza danno di tutti non può perire o anche essere infirmato: e questo Dio e la natura non vuole, e il consenso dei mortali profondamente aborrirebbe”[5].

Ecco che nel leggere Dante ci si aggancia a un rapporto critico-attivo alle presenti miserie della politica, coltivando – quasi al limite dell’immaginazione eroica – l’utopia della giustizia per via di cambiamento della politica. E così la politica, che abbiamo imparato a comprendere, con il Machiavelli, ontologicamente separata dalla morale, opera per assorbire la sfera etica fino a sopprimerla anche come mera istanza; per recuperarla infine qual “concetto limite”, qual pensamento di mete alte, che trascendono la meschina congerie di operazioni tattiche, di pulsioni di potere e di celebrazioni di ruolo in chi detiene una qualsiasi postazione di comando.

La passione politica è qui inquadrata quale proiezione all’universale della storia presente, quella che si sta vivendo con le cronache, negli scontri, con le mobilitazioni e con le proiezioni di cittadinanza, attraverso un credo elaborato, ricco, sincero, poetico e filosofico per l’appunto. La genealogia e l’evoluzione della passione politica, intendiamo sottolineare, è una questione rilevante anche nell’epoca attuale, caratterizzata da sconcertante crisi dello spirito pubblico (Gramsci) e dalla imperante faziosità per perseguire il Particulare (Guicciardini un secolo e mezzo dopo).

Dante creatore sia della lingua italiana e sia dell’archetipo della passione politica, dello spirito di partito e di fazione, si staglia ancora di fronte a noi come modello di adesione alla coerenza, al sacrificio, al fuoco che arde in permanenza, creando il filo che guida il progress dell’azione, della scienza e della filosofia che connota una biografia: reale e anche ideale per l’emulazione, la promessa morale che l’uomo di partito fa a se stesso quale asse di impegno permanente. Fino a divenire investimento totale, vocazione, esaltazione, fanatismo.

Così sentiamo la solitudine nell’esilio politico di un genio che aveva totale cognizione, sentimento della storicità del tempo che viveva, dell’universale che era e sarebbe restato dopo di lui. E la sofferenza dell’esilio gli riusciva di affrontare, bevendone ogni giorno il calice amaro.

 

Esilio, esule, esiliato, ostracizzato, ostracismo

È stato opportunamente osservato che “L’itineranza connessa all’esilio ha determinato per Dante lo sganciamento culturale da Firenze” per poi generare “una figura ideale di poeta-profeta”[6]. E questo davanti alla violenza inaudita della condanna, in un’epoca che comportava per l’esiliato il destino di morire come persona. “Appellato wargus, lupo, obbligato a vagolare per silvas”, esposto al vilipendio impunibile di chiunque ardisca farlo. Dante, dunque è bannitus, e reagisce capovolgendo la stigmatizzazione in una grande visione escatologica della politica, consegnandoci un monumento di pensiero che vince il silenzio dei secoli. Le feroci umiliazioni sono inquadrate nella spietata esattezza della profezia di Cacciaguida, suo avo:

Tu lascerai ogne cosa diletta

più caramente; e questo è quello strale

che l’arco de lo essilio pria saetta.

 

Tu proverai sì come sa di sale

lo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.

 

E quel che più ti graverà le spalle,

sarà la compagnia malvagia e scempia

con la qual tu cadrai in questa valle;

 

che tutta ingrata, tutta matta ed empia

si farà contr’ a te  ma, poco appresso,

ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.

 

Di sua bestialitate il suo processo

farà la prova; sì ch’a te fia bello

averti fatta parte per te stesso.

(Paradiso”, Canto XVII)

Il prototipo universale dell’ esiliato è descritto. In un’accurata pagina del Convivio

  1. Ahi, piaciuto fosse al dispensatore dell’universo che la cagione della mia scusa mai non fosse stata! ché né altri contra me avria fallato, né io sofferto avria pena ingiustamente, pena, dico, d’essilio e di povertate.
  2. Poi che fu piacere delli cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo della vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo core di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato -, per le parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.
  3. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertate; e sono apparito alli occhi a molti che forse che per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato: nel conspetto de’ quali non solamente mia persona invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta come quella che fosse a fare.
  4. La ragione per che ciò incontra – non pur in me, ma in tutti – brievemente or qui piace toccare: e prima, perché la fama oltre la veritade si sciampia; e poi, perché la presenza oltre la veritade stringe[7].

La sofferenza estrema e ingiustamente inflitta è capovolta in un’accelerazione della visione storico-politica di un grande “progetto di organizzazione della cultura e della lingua e insieme di una poesia universale e di una figura ideale di poeta-profeta che già affiora nelle rime dell’esilio e trova la sua più completa realizzazione nella commedia. Con la quale Dante è consapevole di costituire un epos volgare cristiano originale ricreazione della poesia alta dell’epos latino” (Mercuri, cit.). 

L’esilio doveva arrecare umiliazione profonda, colpendo l’autostima della persona. In chi aveva ricoperto ruoli di primo piano nel governo civile, come appunto Dante, poteva infliggere una ferita per effetto della frustrazione dell’autostima, di squalifica alla cognizione della propria grandezza di visione e di capacità pratiche in diversi campi, compresi quelli più eccentrici alla produzione intellettuale, come il combattimento con le armi in pugno (Dante era in prima linea nella battaglia di Campaldino[8]). E invece di esser vissuta come l’ostracismo e l’oltraggio alla dignità, provoca una formidabile accelerazione verso una visione cosmica che esplora nei minimi dettagli il processo di degenerazione del mondo: “noi appoggeremo la bilancia del nostro giudizio alla ragione piuttosto che al sentimento”[9].

L’exul immeritus reagisce volgendosi a un disegno grandioso, che fonte poesia, filosofia, teologia, scienza della politica e della Giustizia.

E tuttora, nel carattere degli Italiani, la parola di Dante s’istalla e permette loro di far emergere, inaspettate, volontà e soggetti della classe dirigente. Senza tale ancoraggio, non ci resterebbe che replicare le parole del Foscolo “tutto è perduto”.

Dante, iscritto nel Libro del Chiodo, subisce uno stigma non revocabile, che si coniuga con l’ostracismo, una condanna a essere ignorato, respinto, escluso. E il paradigma dell’esilio totale formulato nella profezia del trisavolo Cacciaguida nel Canto XVII del Paradiso.

Tutti coloro che sono ostracizzati – sia su scala del gruppo sociale ristretto e sia di un ampio ambiente trasversale e “trans comunale” – subiscono comunque una grave dissociazione relazionale. Con violenza – esplicita o silenziosa – vengono espropriati dei naturali e quotidiani contatti interpersonali, delle spontanee amicizie, affetti, scambi di parole e opinioni. Sempre evitati e respinti ai margini. È questo un tema centrale della psicologia sociale, che può riguardare anche i geni ostracizzati. Si deve al professor A. Zamperini la descrizione completa di una condizione gravida di sofferenza senza interruzione, nell’alternarsi dei sentimenti di perdita, lutto, sconfitta, cognizione morale, coercizione subita, dissidenza, di sopportazione nel tenere la posizione mentre “qui tutto vacilla” (Klemperer, l’esilio in casa del filologo autore di Lingua Tertii Imperi).

I valori trascendenti muovono le persone, perché sentono che la loro esistenza, illuminata da un bisogno di senso, si lega a mete alte di giustizia, di onestà, di salvaguardia della vita e dell’umanità: il modello universale di Dante si presenta qual parabola di come si suscitano e come si traducono in azione comune, in autodisciplina, in rispetto reciproco tra i sodali in un impegno generale. E qui Dante ci fa pensare alla ricerca contemporanea della logica dell’azione collettiva, e dunque alle tre condizioni di un impegno in progress.

La prima è il forte comune convincimento di un campo di valori trascendenti, sia dove affondino le radici della propria personalità e sia dove si rispecchino anche le aspirazioni, i bisogni connessi alle sofferenze del proprio essere sociale.

La seconda condizione è l’ancoraggio a una tradizione che abbia dato la forma e la profondità al pensiero e all’autocoscienza.

Infine, la terza: la deliberazione di statuire per sé e applicare un insieme di regole democratiche, a loro volta canone delle procedure della prassi comune: nella sequenza di spirito pubblico, coscienza politica, amor proprio che spinge alla prassi responsabile e perseverante.

Pressoché mai si indaga sul perché e come una persona prenda una posizione politica, al punto che attorno ad essa getti la propria vita in un investimento totale. Si assume la politica come un presupposto. E non la si spiega. Come sorge si forma la passione politica? Quali elementi motivazionali? Quali risorse simboliche? Quale corredo espressivo?

Il circolo dell’immigrazione e dell’esilio agisce come rinforzo della motivazione quando ci si è battuti e si è usciti sconfitti. Un problema cibernetico di motivazione, reazione, rinforzo da quando nasce la vocazione disinteressata a rappresentare un’etnia, un demos, una famiglia, una classe.

Il rapporto di responsabilità verso la comunità è stato sostituito con la tecnica di manipolazione. al limite d’impostura della comunità. Niente da allora è verificabile di quanto dichiarato e di come si è agito.

 

Come vediamo le persone: saggezza o rabbia?

La passione politica, le conseguenze nel corso dell’esistenza, il prezzo della sconfitta, fino alla conseguenza dell’esilio e della persecuzione perenne, nelle età della rinascita dell’Italia sono state figure della coscienza ricorrenti. E trovano il loro paradigma nella biografia di Dante. Ma hanno costituito una dimensione esistenziale per la psicoanalisi, a cominciare dalla vicenda del fondatore Freud, esiliato a seguito dell’Anschluss hitleriana. Nell’evocare questo tratto della biografia di Dante, il destino del “ghibellin fuggiasco”, trova rinforzo di volontà Ugo Foscolo, a sua volta esiliato dopo Campoformio.

“Da’ colli Euganei, 11 ottobre 1797.

“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri…”[10].

E davanti alla tomba del fratello:

In morte del Fratello Giovanni

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo

di gente in gente, mi vedrai seduto

su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

il fior de’ tuoi gentili anni caduto:

 

la madre or sol, suo dì tardo traendo,

parla di me col tuo cenere muto:

ma io deluse a voi le palme tendo;

e se da lunge i miei tetti saluto,

 

sento gli avversi Numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta;

e prego anch’io nel tuo porto quiete:

 

questo di tanta speme oggi mi resta!

straniere genti, l’ossa mie rendete

allora al petto della madre mesta.

Lungo i sette secoli che ci separano dalla morte del Poeta, prosegue e si rinnova dunque l’appello che dalle reminiscenze dell’opera giunge al “pensare ad alte mete”, a volgersi ai maiores nostri e a reagire alle miserie del presente, a quel “tutto è perduto” dell’Ortis foscoliano.

L’esilio politico di Dante – e il capovolgimento che Egli ne realizza con un’opera che sopravvive in ogni tempo – mantiene la sua forza pedagogica anche verso gli esiliati senza bando formale dal totalitarismo all’inverso, con la scomparsa della opinione pubblica e la conseguente eclissi della coscienza della responsabilità capitale in chi svolge una professione intellettuale e da lì assume una rappresentanza politica nelle istituzioni e nei partiti. In questo senso, l’esilio non è cessato.

Eppure, il patrimonio dantesco conferma la potenza delle grandi e profonde visioni, e che agiscono: sia nella formulazione nobile alta e sia nella vulgata mediocre o miserrima, nello schierarsi di élite e di masse, nelle figure del popolarismo, elitismo, populismo, demagogia; con l’ostinazione dei ruoli drammaturgici dei “reggitori”; nei furori miserrimi delle folle che conducono anche alle atrocità. L’ invettiva alta, del Poeta, evoca lunghi e sofferti pensieri ed esperienze, e li contrappone alle scorciatoie della cupidigia quotidiana.

La lettura di Dante rinnova le figure archetipiche di chi è pervenuto al sapere, e perciò il suo io è vincolato a non tradire il nitore intellettuale, ma a sottomettersi sempre al comandamento della verità. E che è capace, pertanto, di sprigionare la potenza del capo spirituale, come leader che esorta e che educa a perseguire mete alte: “fatti non foste a viver come bruti ma per servir virtute e conoscenza “.

E come non rivolgersi a scuotere dal collasso culturale della memoria le tradizioni civili e democratiche radicate nella storia d’Italia, il dantismo morale di Ugo Foscolo, nel suo discorso del 22 gennaio 1809, alla dell’Università di Pavia?

O Italiani, io vi esorto alle storie, perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla obblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri”, orazione inaugurale della cattedra di eloquenza dell’Università di Pavia, 22 gennaio 1809, “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura”[11].

Le forme del pensiero e dell’azione che sono esplose, poi represse, inabissate, e infine risorte nell’Italia hanno il loro archetipo nella sintesi mirabile che troviamo nell’eredità del Poeta. Chi, nella miseria del tempo che viviamo sul nostro suolo, non ha sentito risuonare nell’animo “ahi serva Italia di dolore ostello”?

Dante, dunque, e ancora Dante. Perché quel genio universale ci permette di cogliere il valore anche di opere, certamente importanti, ma non accostabili al lascito dell’Alighieri. Dante ci porta nelle pieghe dell’inferno con tutta la complessa fenomenologia dell’umano e del disumano. Disseminando nei gironi – e poi proseguendo nelle altre due grandi tappe – esperienze dell’umanità su figure di sintesi, da allora non più abbandonabili dai lettori (e sempre meno da quanti le hanno ascoltate da grandi interpreti attoriali) ci apre la vista delle idee su archetipi che altri ripetiamo: autori importanti ci hanno offerto alla pragmatica davanti alle urgenze del tempo presente.

Un accostamento non filologico, ma suggestivo: quello tra l’inferno dei comportamenti umani dantesco e le acquisizioni di Philip Zimbardo sull’effetto lucifero, ovvero sulla responsabilità nelle situazioni estreme dove l’individuo è schiacciato dall’autorità. Il conformismo malefico al potere costituito che induce nel sonno della coscienza persone ordinarie, e le spinge a essere esecutori scrupolosi di ordini atroci, tali da dissolvere ogni soglia tra umano e disumano. Gli esecutori dello sterminio nei campi di Auschwitz, nelle prigioni di Abu Ghraib . O i manganellatori della “macelleria messicana” nella scuola Diaz di Genova in quel luglio del 2001.

Dante Alighieri e Philip Zimbardo: come accostarli senza suscitare rifiuto per il collegamento? Nessuno lo pretende, è ovvio, ma l’operazione vale solo per una mera citazione di come l’universale si attualizzi di continuo, se si tratta veramente dell’universale. Valicare l’enorme teoria di tragedie e di passioni lungo sette  secoli, e pervenire  a noi, sempre incarnandosi in episodi della storia. E costantemente replicando la grande potenza ideologica , come Weltanschauung che ritorna.

Nella teca interiore ove custodiamo i riferimenti per i nostri sforzi di resistere al conformismo, alla miseria dei micro-compromessi quotidiani, i tanti feticismi disseminati nelle nostre esperienze – da quelle scolastiche a quelle professionali – nella continua spinta o induzione a vendere la nostra libertà all’ ottusità immanente delle organizzazioni, di ogni organizzazione, Dante è l’ancoraggio per non perdere la dimensione di fedeli osservanti della religione della libertà.

Per chi coltiva nel cuore , e a dispetto della crescente insistenza di manifestazioni mediatiche trash, la passione per la politica, intesa qual ideale illusorio dell’azione guidata dalla scienza, qual prendere posizione intellettuale e in pubblico sul problema perenne del potere civile, qual elaborare la cognizione di un legame di responsabilità tra la persona (a cominciare dalla propria) e il corso della storia – microstoria e macro storia – della propria contemporaneità, per chi insomma dedica comunque una parte dei pensieri e delle reazioni alla politica, la biografia di Dante ritorna costantemente qual ancoraggio intellettuale e morale a un tempo.

Ringrazio dunque per l’opportunità (e per la pazienza) che mi viene accordata per poter vergare in queste pagine un pensiero della politica, come di una immaginazione proiettiva agganciata a Dante, al suo archetipo di filosofo e attivista politico, che testimoniò fino all’ultimo, con la via dell’esilio e con tutta la conseguente umana sofferenza che connotò il suo “prendere partito”.

E dunque riferisco qui di seguito solo i pensieri, disciplinandoli in forma di tesi, che il ritornare a tratti della biografia del Poeta, del ritrovarsi di questi in passi della sua opera con universali definizioni, spinge a trasferirli nell’urgenza dei quesiti dell’oggi. E ne riferirò come permangono ancorati a ricordi danteschi nella passione politica, del modo che si suscita, dei legami con la biografia della persona che si rinforzano o, all’opposto, che si spezzano. Quando la passione politica comporta scelte costose, finanche capitali. E dunque si connette all’idea generale della vita, la mette persino a repentaglio.

E comunque alcuni li spinge persino all’estremo sacrificio: a subire torture e a salire al patibolo. Riprendo (e forse qui l’accostamento apparirà forzato) le riflessioni Di Philip Zimbardo e Zeno Franco sull’immaginazione eroica come una minoritaria chance che l’individuo incontra nell’affrontare il potere della situazione[12]. “La decisione di agire eroicamente – sostengono i due psicologi sociali statunitensi –  è una scelta che molti di noi saranno chiamati a fare prima o poi. Concependo l’eroismo come un attributo universale della natura umana, non come una caratteristica rara dei pochi ‘eletti eroici’, l’eroismo diventa qualcosa che appare nella gamma delle possibilità per ogni persona, ispirando forse non pochi di noi a rispondere a una siffatta chiamata”[13]. In modo analogo a quanto e come “le situazioni contano” nel male,” le situazioni sociali possono avere sul comportamento e sul funzionamento mentale di individui, gruppi e leader nazionali effetti più profondi di quanto non crederemmo possibile pronto alcune situazioni possono esercitare un’influenza così potente su di noi da indurci a comportarci in modi che non avremmo previsto, che non avremmo mai potuto prevedere”[14].

L’immaginazione eroica si può intendere quale combinazione di valori trascendenti così fortemente ancorati al proprio io con una forma speciale di autostima. Ma l’immaginazione eroica dopo che si è combattuto e perso, sperimentando la condizione estrema della solitudine e dei tormenti fisici e psichici, e l’antidoto alla cognizione di essere morti in vita . “tu lascerai ogni cosa diletta più caramente e questo è quello strale che l’arco dell’esilio pria saetta. tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale “

La profezia postuma dell’esilio funziona come chiave per nobilitare la passione politica, la quale non consente sconti e tantomeno gratuità. Già, ma come si forma l’impegno e quindi si radica la passione politica? Quali tappe attraversa divenendo un focus morale ineliminabile, un impegno indefettibile? Quando la sconfitta conosciuta a più riprese spinge a reperire sia  una perspicacia degli eventi – contemporanei o storici del passato remoto – e sia la sopportazione di immani sacrifici?

Dante, politicamente, è uno sconfitto, senza possibilità di rivincita. Sebbene ne abbia un’assoluta consapevolezza, non cessa però di elaborare un titanico, universale pensiero della storia. E qui il nostro andare per ricordi di continuo riaffaccianti, lo accosta ad Antonio Gramsci, come figura prototipale di un eroe morale della politica. E a Giordano Bruno o a Tommaso campanella quando quest’ultimo scrive in un madrigale:

 “Stavamo tutti al buio. Altri sopiti     

d’ignoranza nel sonno; e i sonatori    

pagati raddolcito il sonno infame.

Altri vegghianti rapivan gli onori,   

la robba, il sangue, o si facean mariti

d’ogni sesso, e schernian le genti grame.

Io accesi un lume; ecco, qual d’api esciame

scoverti, la fautrice tolta notte,        

sopra  me a vendicar ladri e gelosi,

e que’ le piaghe, e i brutti sonnacchiosi

del bestial sonno le gioie interrotte:   

le pecore co’ lupi fur d’accordo          

contra i can valorosi;                        

poi restar preda di lor ventre ingordo”[15].

È notevole il mutamento di sfondo sul quale si proietta il senso comune della psicoanalisi, nel tempo dell’inflazione del desiderio (imitativo, competitivo, appetitivo e delle altre varianti illustrate da Réné Girard) e dell’inaridirsi delle passioni politiche trascendenti il particulare[16]. Nei giganti fondatori, il progetto etico era quello di una filosofia morale, di un pensiero autoriflessivo che fondava il senso, la direzione di una pragmatica. Si era reso evidente, nelle immani tragedie del Novecento, come proprio l’implicazione della scoperta dell’inconscio aveva sollevato la violenta repressione che il totalitarismo muoveva contro tale approdo intellettuale e contro il realismo che ne conseguiva. La violenza, la coercizione fisica erano i mezzi impiegati per chiudere la bocca. La mobilitazione ideologica organizzata e capillare delle masse, ne corredavano la quotidianità come un gas asfissiante.

Nel tempo che noi viviamo ora, l’autocoscienza morale è invece il bersaglio dell’ “inverted totalitarianism”, concetto importante consegnatoci dal filosofo della politica, Sheldon Wolin, per inquadrare un tipo di potere che poggia su un “consenso ibrido”, alimentato da una pianificata narrazione mediatica (dai canali dell’informazione alle fiction, dai reality show alle situation comedy). In questa prospettiva l’idea del “reale” è alimentata da miti e da aspettative di una cultura “che privilegia il principio di piacere rispetto al principio di realtà, i desideri e i sogni di massa rispetto alla sobria analisi dei vincoli imposti e delle possibilità suggerite dalle condizioni storiche effettive[17]”. 

Disponendo di strumenti siffatti di manipolazione, chi detiene il potere è tentato a plasmare la realtà secondo la propria interessata visione del mondo, ad accrescere cioè sistematicamente la quantità e la qualità delle menzogne da sempre utilizzate per governare. Nella sostanza questo “totalitarismo” non sanguinario dissolve quel concetto di opinione pubblica, quale istanza collettiva di critica e controllo, e struttura sistematicamente una commistione tra sfera pubblica e sfera privata, tra politica e affari.

Ne è espressione un governo dei desideri e una simbolizzazione del desiderabile che avrebbe estinto l’inconscio e insieme la coscienza dello stesso soggetto “desiderante”[18]. Torna dunque d’attualità la ingiustamente dimenticata lezione della Scuola di Francoforte, sulla pianificata manipolazione delle menti che contrassegna le condotte politiche del potere, tanto con mezzi vistosamente autoritari quanto con il permissivismo, per l’appunto razionalmente governato. Con l’infosfera (L. Floridi, 2002) degli algoritmi dei pervasivi accessi digitali si perfeziona la “matematizzazione delle relazioni sociali” – istante per istante – grazie al pedinamento continuo della persona, alla quale somministrare stimoli e rinforzi, fin nella sfera più intima della soggettività, disegnandone costantemente il profilo nel suo evolversi, nelle esperienze, nelle sequenze selezionate delle sue interazioni personali e di ambiente.

Uno dei risultati è che la dimensione dell’homo politicus – il suo dover essere nel governo civile, dunque in una stato – è stata sottratta all’esperienza di massa che avevano ingenerato le tradizioni democratiche tra l’Ottocento e il Novecento, tra i moti rivoluzionari europei del 1848 e la dissoluzione dei partiti popolari della fine del XX secolo. Perciò è davvero utile anche ogni modesto contributo al rallentare l’oblio della storia della partecipazione politica, costruita con la diffusione di cultura della sfera pubblica, cioè della storia, della dimensione comune delle persone nella società che ha caratterizzato l’esperienza delle generazioni a cavallo tra le due guerre mondiali.

Soffriamo dell’espulsione da ogni luogo pubblico della gratuità della passione politica nutrita di ideali, elaborati con consapevolezza, onestà, sincerità, per essere proiettati nella responsabilità: ovvero il legame tra il foro interno e la sfera pubblica.

Spirito pubblico, eticità, impegno e disponibilità: Dante Alighieri che parla ancora oggi a questa sfera morale intellettuale che pur soffre per l’espulsione del dialogo dalla sfera pubblica. È stato sempre ricordato che tutto è politico anche nella commedia. La condizione di esule e la sofferenza per la patria Firenze , la psicologia del dissenso politico, anche se comporta costi estremi e non risarcibili mai in vita. Il tema della sconfitta in politica. L’orgoglio. La coppia di figure di Enea e di Dante. Esilio, ricerca di rifugio dopo la sconfitta. Dante imprime un carattere al patriottismo italiano, un carattere che permane tuttora.

[1] H. Arendt, La menzogna in politica. Riflessioni sui «Pentagon Papers», ed. it. Marietti, Torino 2006.

[2] Prendiamo il lemma da G. Sorel, Le système historique de Renan, Paris, Jaques, 1905 (cit. in F. Aqueci, Una cosa da nulla. il futuro della morale in George Sorel, «Critica marxista», 5/2007, pp. 41-48). La figura della coscienza “spirito di scissione” è ripresa da Antonio Gramsci, che ne fece un concetto esplicativo potente del dissenso irrevocabile e che spinge le persone e le classi a elaborare una visione del mondo in radicale dissonanza pragmatica dagli apparati ideologici dominanti: “Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico” (Quaderni del carcere, 3, 49, 332-3, B, a c. di V. Gerratana, Torino, Einaudi 1975).

[3] Archivio di Stato di Firenze, Il Libro del Chiodo, riproduzione in fac-simile con edizione critica, a cura di F. Klein, con la collaborazione di S. Sartini, Firenze, Edizioni Polistampa, 2004.

[4] Antonio Gramsci, Quaderno 28 (iii), pp. 10-13, edizione a c. di V. Gerratana. Einaudi, Torino, 1975.

[5]7. Nempe legum sanctiones alme declarant, et humana ratio percontando decernit, publica rerum dominia, quantalibet diuturnitate neglecta, nunquam posse vanescere vel abstenuata conquiri; nam quod ad omnium cedit utilitatem, sine omnium detrimento interire non potest, vel etiam infirmari; et hoc Deus et natura non vult, et mortalium penitus abhorreret adsensus”. Pubblicate in A. Montefusco, G. Milani (a cura di), Le lettere di Dante: Ambienti culturali, contesti storici e circolazione dei saperi, Walter de Gruyter GmbH & Co KG, 2020

[6] R. Mercuri, Genesi della tradizione letteraria italiana, in Letteratura italiana, dir. Da A. Asor Rosa, I – L’età medioevale, Einaudi, Torino 1987, cit. in G. De Marco, L’esperienza di Dante exul immeritus quale autobiografia universale, in “Annali d’Italianistica” 20 (2002)

[7] Convivio di Dante Alighieri, a cura di S. Gentili, in Letteratura Italiana, Le Opere, diretta da A. Asor Rosa, vol. II, Einaudi, Torino, 1992.

[8] Lo scontro avvenne l’11 giugno 1289 fra i guelfi fiorentini e i ghibellini di Arezzo. La vittoria dei guelfi segnò la svolta per l’egemonia di Firenze sulla Toscana.

[9] “… rationi magis quam sensui spatulas nostri iudicii podiamus” (De vulgari eloquentia, I, VI, 3°)

[10] Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo di Ugo Foscolo, considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, Rizzoli, Milano 1999.

[11] O italiani, io vi esorto alle storie… I Clarensi e il Risorgimento. Testimonianze inedite, edit. La Compagnia della Stampa Quaderni della Fondaz. Morcelli-Pinacoteca Repossi, 2011

[12] Dopo aver esaminato a fondo l’Effetto Lucifero, Zimbardo si getta con passione e lucidità al Progetto di una pragmatica dell’azione sociale terapeutica, cioè preventiva. E si pone qual consulente di “a collective social experiment called the Heroic Imagination Project, a nonprofit research and education organization dedicated to training people to act in more heroic ways”. Le azioni avvengono fuori del setting di “ambulatorio”, per venir collocate nelle istituzioni e nelle organizzazioni naturalmente “a rischio”, quali diverse agenzie governative. È il caso del Programma di orientamento e preparazione della polizia per comprendere meglio l’impatto dei pregiudizi sulle strategie di controllori, le tendenze di stigmatizzazione e il definirsi di protocolli di sicurezza inappropriati. L’iniziativa davvero originale ha ripreso slancio dopo l’uccisione assurda, nel maggio del 2020 a Minneapolis, del cittadino George Perry Floyd,  un uomo afroamericano di 46 anni, che ha suscitato il movimento spontaneo del “Black Lives Matter”.

[13] The banality of heroism, in “Greater Good Magazine”, Fall/Winter 2006-07, pp. 30-35.

[14] L. Ross, R. Nisbet, La persona e la situazione, ed.it.  Il Mulino, 1998, citato da Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero, ed. it. RaffaelloCortina Editore, 2008, pag. 319

[15] Commento dello stesso Campanella: “Narra che, stando il mondo nello scuro, e facendo tanto male ognuno al prossimo, e che gli sofisti ed ippocriti, predicando adulazioni, fanno dormir il mondo in queste tenebre; egli, accendendo una luce, ebbe contro gli ingannati e l’ingannatori ecc.; e che quelli, come pecore accordate co’ lupi contra gli cani, son devorate poi da’ lupi, secondo la parabola di Demostene”. Si trova nella biografia del Campanella, pubblicata con ampia selezione di testi poetici, da  Domenico Romeo, Stavamo tutti al buio, Città del sole edizioni, 2018

[16] L’ultima, moralmente autorevole del concetto di Guicciardini evocazione istituzionale risulta quella della Senatrice a vita Liliana Segre, “Confesso che il sentimento prevalente che mi muove è proprio quello dell’indignazione. Non riesco ad accettare che in un tempo così difficile, in cui milioni di italiani stanno facendo enormi sacrifici e guardano con angoscia al futuro, vi siano esponenti politici che non riescono a fare il piccolo sacrificio di mettere un freno a quello che Guicciardini chiamava il “particulare”. Tutti i governi del mondo hanno dovuto procedere per tentativi ed errori. Come anche la scienza, del resto” (Da “La Stampa”, 18 gennaio 2021)

[17] Sheldon Wolin (1922-2015), Democracy Incorporated: Managed Democracy and the Specter of Inverted Totalitarianism, University Presses of California, Columbia and Princeton, 2008, tradotto in italiano appiccicandoci il pessimo titolo Democrazia SpA, 2011, Fazieditore, pag 62-70. Al titolo sbagliato fa però da contraltare la bellissima prefazione di Remo Bodei.

[18] Un’eco, un’intuizione si ritrovano in M. Recalcati: “non è più in gioco primariamente il desiderio del soggetto come manifestazione principe del soggetto dell’inconscio, ma il suo annullamento nichilistico. E ci insegnano pure che questo annullamento tende a manifestarsi secondo due direttrici fondamentali: come rafforzamento narcisistico dell’Io che dà luogo a identificazioni solide che irrigidiscono  sterilmente l’identità soggettiva o come un’esigenza imperiosa di godimento che travalica ogni principio di mediazione simbolica per imporsi come un comandamento tanto assoluto quanto mortifero”, in L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina Editore, 2010.

Bibliografia

  1. Aqueci, Una cosa da nulla. il futuro della morale in George Sorel, «Critica marxista», 5/2007, pp. 41-48), Roma 2008.
  2. Asor Rosa (diretta da) Letteratura Italiana, Le Opere, vol. II, Einaudi, Torino, 1992.

Archivio di Stato di Firenze, Il Libro del Chiodo, riproduzione in fac-simile con edizione critica, a cura di F. Klein, con la collaborazione di S. Sartini, Edizioni Polistampa, Firenze, 2004.

  1. Arendt, La menzogna in politica. Riflessioni sui «Pentagon Papers», ed. it. Marietti, Torino 2006.

Tommaso Campanella, Stavamo tutti al buio, a cura di D. Romeo, Città del sole edizioni, 2018

  1. De Marco, L’esperienza di Dante exul immeritus quale autobiografia universale, in “Annali d’Italianistica” 20 (2002)

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Rizzoli, Milano, 1999.

Ugo Foscolo,  O italiani, io vi esorto alle storie… I Clarensi e il Risorgimento. Testimonianze inedite, edit.La Compagnia della Stampa Quaderni della Fondaz. Morcelli-Pinacoteca Repossi,  2011

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione a c. di V. Gerratana. Einaudi, Torino, 1975.

Istituto della Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Dantesca, Biblioteca Treccani, Roma 2005.

  1. Malato, Dante, in Storia della Letteratura Italiana, vol. II, Salerno Editrice, Roma, 1995.
  2. Mercuri, Genesi della tradizione letteraria italiana, in Letteratura italiana, dir. Da A. Asor Rosa, I – L’età medioevale, Einaudi, Torino, 1987.
  3. Montefusco, G. Milani (a cura di), Le lettere di Dante: Ambienti culturali, contesti storici e circolazione dei saperi, Walter de Gruyter GmbH & Co KG, 2020.
  4. Recalcati, L’uomo senza inconscio, RaffaelloCortina Editore, 2010
  5. Ross, R. Nisbet, La persona e la situazione, ed.it. Il Mulino, Bologna, 1998.
  6. Sorel, Le système historique de Renan, Jaques, Paris, 1905.
  7. Wolin (1922-2015), Democracy Incorporated: Managed Democracy and the Specter of Inverted Totalitarianism, University Presses of California, Columbia and Princeton, 2008, trad. it. Democrazia SpA, 2011, Fazieditore.
  8. Zimbardo, L’effetto Lucifero, RaffaelloCortina Editore, 2008,
  9. Zimbardo, The banality of heroism, in “Greater Good Magazine”, Fall/Winter 2006-07, pp. 30-35.

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